Dall’inizio della pandemia la questione del ruolo della scienza nelle scelte politiche è diventata sempre più centrale. Se da un lato è importante informare il più possibile le scelte politiche che impattano milioni di cittadini basandosi sui fatti dall’altro è importante capire quali sono i limiti della scienza per evitare il rischio di cadere da un lato in una politica scientista che ignori i reali bisogni della società dipendendo eccessivamente dai dati e dall’altro per evitare che la politica si distacchi in toto dal potente strumento del metodo scientifico adottando misure scellerate.
Nonostante l’urgenza di discutere di queste tematiche nell’immediato, visto ad esempio la decisione di rendere de facto obbligatoria la vaccinazione imponendo l’uso del Green Pass per accedere a ristoranti, teatri ed altri spazi cittadini di base, dall’altro è utile fare un passo indietro e prendere il tempo per riflettere da una prospettivo a medio termine e intuire il livello di influenza che la scienza dovrebbe avere sulle scelte politiche partendo dalle fondamenta della scienza stessa.
Ciò che noi definiamo scienza infatti è un metodo che deriva dal cosiddetto metodo scientifico che mira ad adottare un approccio il più metodico possibile per comprendere il mondo e riuscire a sviluppare previsioni che ci permettano di adeguare il nostro comportamento per evitare pericoli e massimizzare il beneficio. Tralasciando l’importante ma non rilevante discussione su chi o cosa decida cosa costituisca un beneficio o un pericolo per la società (Alcolismo? Tasso di natalità in decrescita? Sopravvivenza? Felicità?), il punto di partenza della nostra riflessione è la filosofia.
Se da un lato alcuni scienziati scientisti adottano un approccio di hubris nei confronti della filosofia, molti altri più consci ne comprendono la rilevanza. Sì perché in questo caso non parliamo tanto del bisogno di forzare la filosofia nella scienza ma di ricordare (almeno nel caso di quei scienziati scettici della filosofia) quelle che dovrebbe essere lezioni di base in accademia quando si parla di scienza: la filosofia della scienza. Lo faremo capitalizzando su una serie di lezioni del Professore Paul Hoyningen-Heune e insegnate presso la Leibniz Universität Hannover nel 2010 nel suo corso di filosofia della scienza (Hoyningen-Heune, 2013)
La questione fondamentale della filosofia della scienza è capire cosa sia la scienza, realizzare perché il sapere scientifico è diverso da altre forme di conoscenza e chiarire le caratteristiche del sapere scientifico. Nell’ultimo secolo, la risposta a queste domande è venuta sotto varie forme: induttivismo, deduttivismo, teoria del paradigma, teoria della sistematicità. Partiamo dunque la nostra riflessione parlando di induttivismo.
Induttivismo
Nella scienza vi sono due tipi di affermazioni per capire se un fatto è veritiero: affermazioni singolari e generali. Le affermazioni generali si riferiscono a fatti singoli e circoscritti, misurabili e preferibilmente osservabili. Ad esempio, se dovessimo descrivere il nostro cane affermando che la lunghezza della su coda sia di 10 centimetri staremo esprimendo una affermazione veritiera su un fatto singolo nel momento in cui riusciamo ad osservare la coda ed osservarla. Ma tutti i cani hanno la coda lunga 10 centimetri? La risposta è no ed è qui che entrano in ballo le affermazioni generali con i loro problemi.
Le affermazioni generali sono di vari tipi, alcune di essere descritte da termini che molti di noi conoscono, come le teorie, le leggi naturali, le regolarità, i modelli. La peculiarità delle affermazioni generali è che essere non possono essere verificate come le affermazioni singolari perché si riferiscono ad un numero indefinito di casi ed è proprio sulla questione dell’ generalizzazione che i problemi iniziano. Pensiamo all’esempio del nostro fido visto in precedenza. Ipotizziamo di andare a spasso al parco col nostro cane dopo avergli misurato la coda e di vedere che molti altri padroni hanno preso la stessa decisione. Nel parco però notiamo qualcosa, tutti i cani hanno il pelo marrone. Ingenuamente armati del nostro primo arnese scientifico adottiamo il metodo dell’induzione generalizzando e ipotizzando che tutti i cani devono avere il pelo marrone.
Ovviamente questa è una affermazione che difficilmente si può provare come veritiera ed infatti se dovessimo osservare un po’ meglio, magari andando in un altro parco vedremo cani con pelo diverso, dai maculati, al bianco e al nero. Anche se per assurdo dovessimo ipotizzare che il processo evolutivo dei cani abbia portato solo a cani col pelo marrone sul nostro pianeta, il colore del cane costituisce un fatto che in filosofia definiamo come contingente (cioè non necessario) e magari in un altro pianeta o un’altra galassia potremmo trovare un altro cane formatosi diversamente ed in un ambiente diverso ma con un corredo genetico uguale a quello del nostro pianeta se non per il colore del pelo. Questo è un problema squisitamente filosofico e questo problema è quello che viene chiamato “il problema dell’induzione”.
Gli induttivisti però hanno elaborato dei metodi per assicurarsi che l’induzione sia la più accurata possibile: bisogna osservare i fatti singoli senza pregiudizio teorico, prendere nota delle caratteristiche che vogliamo generalizzare e poi passare alla generalizzazione assicurandoci di avere un campione molto ampio, di testare l’osservazione in diverse condizioni e di non trovare alcuna contraddizione in fase di osservazione. È chiaro che questi passi ci possano aiutare ad arrivare a conclusione più accurate ma sicuramente non necessariamente veritiere al 100%. Perché dunque l’insistenza nel generalizzare nonostante questo problema, almeno nell’induzione?
La generalizzazione è vitale in scienza perché ci permette di sviluppare predizioni che possono poi avere applicazioni tecniche ad esempio in ingegneria. Anche se non saremmo mai sicuri di aver osservato tutti i fatti singolari che vorremo poi generalizzare se notiamo che le nostre osservazioni riescono a produrre predizioni che funzionano il beneficio che deriva dall’applicabilità tecnica ci porta ad adottare quella spiegazione generalizzata che in alcuni casi può raggiungere il livello più alto di spiegazione in scienza: quello di teoria. La teoria però non sempre è veritiera anche se riesce a predire con perfezione moltissimi fatti. Un esempio è la teoria della gravità di Newton, considerata veritiera per anni e che ha prodotto moltissime predizioni corrette ma che è stata poi sostituita con quella di Einstein della relatività.
È interessante notare che la teoria di Newton è talmente utile nella sua capacità di predire che viene ancora oggi insegnata ed utilizzata per fare delle predizioni altrimenti complesse nella teoria di Einstein, che a sua volta oggi è considerata inadeguata ed insufficiente per spiegare il mondo quantistico e per questo oggi si ricerca una nuova teoria della gravità quantistica che riesca a spiegare anche la gravità a livello macro. La conclusione che permea un’analisi della filosofia della scienza è che il metodo scientifico è uno strumento utile ma limitato. In alcuni casi, altri strumenti come l’inferenza in campo metafisico ad esempio o in quello modalistico risultano molto più affidabili (ma al contempo meno utili in applicabilità tecnica).
La comprensione di questa limitatezza della scienza non deve essere vista come un attacco ma come un ridimensionamento utile a rendere la scienza sana e libera dallo spettro sello scientismo e di una sua influenza in politica.
Michael Friedman tenta di sviluppare una epistemologia scientifica post-kantiana adattata alle rivoluzioni scientifiche degli ultimi anni. Per Friedman la parola chiave è infatti “dinamicità” e più nello specifico il bisogno di superare i problemi degli sviluppi scientifici dopo Kant abbattendo l’idea di una razionalità scientifica universale, trans-storica e fissa sviluppata durante l’illuminismo ed espressa all’atto pratico dalle scienze matematiche come la fisica (Friedman, 2001:117-118).
Per Friedman oggi bisogna sviluppare una versione più dinamica e che dia la dovuta importanza alle scienze matematiche, ma che al contempo non cada in un becero realismo scientifico, una posizione che afferma che il mondo descritto dalle teoria scientifiche sia reale e che bisogna credere alle teorie scientifiche ed ai fatti osservabili e non che essere descrivono (Stanford Encyclopedia of Philosophy, “Scientific Realism”) Il realismo scientifico fa parte ancora una volta di una discussione della filosofia della scienza e che ha alternative come l’antirealismo scientifico, che invece afferma che le realtà non osservabili dai nostri sensi ma considerate reali dal metodo scientifico come i quark, o come lo strumentalismo che adottano un approccio “agnostico” sulla vicenda.
Bibliografia
- Friedman M. (2001), Dynamic of Reason, pp. 117-118, CSLI Publications, Stanford.
- Hoyningen P. (2013), Introduction to Philosophy of Science, https://www.youtube.com/watch?v=tP8teUgZcBY&list=PLGV2ddg-PFGvWKDeTyrUji7TXY8y1SHjl&ab_channel=PaulHoyningen accesso 24/07/2021
- Stanford Encyclopedia of Philosophy, Scientific Realism, https://plato.stanford.edu/entries/scientific-realism/ accesso 24/07/2021