Il movimento no green pass e l’urgenza di avere un servizio d’ordine

A quei tempi c’era una dimensione militare oltre che militante. Tutte le formazioni che scendevano sul terreno politico avevano cioè servizi d’ordine strutturati con lo scopo di tutelare la sicurezza dei cortei ed impedire che partecipanti disomogenei agissero, individualmente o in gruppi organizzati, stravolgendo i fini preordinati o mettendo in atto vere e proprie provocazioni.

Li aveva il Partito Comunista, i sindacati e vieppiù i movimenti detti extraparlamentari, Lotta Continua, Potere Operaio, Avanguardia Operaia, i vari marxisti-leninisti e certamente il Movimento Studentesco di Capanna, i temibili Kantanga (spranga spranga arriva il settimo katanga). Anche a destra non erano da meno, ma per loro era una dimensione intrinseca: Ordine Nuovo di Graziani, Avanguardia Nazionale di Delle Chiaie, il FUAN e anche il MSI di Almirante, che parlamentare era, li avevano. 

Va da sé che nella logica “la miglior difesa é l’attacco” tutti quei giovanotti non si limitavano alla mera vigilanza, difesa e autotutela ma erano spesso utilizzati in veri e propri raid contro gli antagonisti, anche interni, della loro specifica parte politica. 

Tutte queste milizie erano disciplinate e coese, avevano i loro ufficiali e sottufficiali, si addestravano e disponevano di “santuari” e armerie anche se fino alla fine degli anni ‘70 comprendevano solo robusti bastoni e qualche grossa chiave inglese (un cult era la Hazet 36, lunga 45 cm, peso 3,5 kg).

Poi vennero i cosiddetti “anni di piombo” e vennero fuori a sinistra le armi da fuoco delle Brigate Rosse, Prima Linea, Autonomia, NAP… a destra le avevano sempre avute e le tirarono fuori anche loro.

Come andò a finire lo sappiamo tutti, anche lo Stato entrò nella dimensione militare e vinse, ma questa é un’altra storia e con i servizi d’ordine non ha nulla a che fare.

Oggi dopo la manifestazione del 9 ottobre a Roma e l’assalto alla CGIL, la questione è tornata d’attualità. Al netto degli infiltrati professionali (ci sono video che testimoniano di almeno un agente “sotto copertura” che prima partecipa all’aggressione di furgone di colleghi suoi e poi s’accanisce a tal punto con pugni e calci su un manifestante a terra da dovere essere trattenuto in qualche modo dai celerini stessi), al netto di questi che sono una minaccia costante, c’è anche l’azione di altri infiltrati nel senso che partecipano ai movimenti di piazza con fini “altri” rispetto alla stragrande maggioranza dei partecipanti.

C’erano anche questi un tempo e i servizi d’ordine erano preparati e capaci di isolarli fisicamente e cacciarli al margine delle manifestazioni, proteggendo i cortei e marcando una netta separazione tra la gente loro e i provocatori. Con le buone talvolta, con le cattive spesso.

Il movimento che in questi mesi sta manifestando contro la gestione governativa della pandemia e la conseguente grave restrizione delle libertà fondamentali dell’individuo, capisaldi della Costituzione repubblicana del 1948, proprio per la sua genesi, al di fuori delle ideologie e dei partiti consolidati, non si è ancora dotato di strumenti di tutela e difesa efficaci ma sarebbe il caso che cominciasse a pensarci ed emarginare senza tentennamenti sia politicamente che operativamente quelli che vorrebbero cavalcare la protesta per scopi loro, implementando metodi inaccettabili di contestazione violenta di stampo squadristico.

Per far ciò non sarebbe male se una piattaforma comune sui fini e i metodi fosse redatta e diventasse il manifesto di chi si oppone in cento piazze d’Italia a questa degenerazione del nostro sistema di vivere insieme. E’ un auspicio, senza dimenticare che lo Stato, che per primo sta picconando la Costituzione fosse chiamato a risponderne.