Non si trattava semplicemente di supposizioni. Ad oggi, le prove sono chiare ed inconfutabili. Una ricerca di Human Right Watch denuncia Facebook e Instagram di aver rimosso contenuti dei palestinesi e dei loro sostenitori sulle violazioni dei diritti umani commesse in Palestina durante le ostilità di maggio 2021.
A parlare è Deborah Brown, ricercatrice senior sui diritti digitali e sostenitrice di Human Rights Watch, afferma: “Facebook ha soppresso i contenuti pubblicati dai palestinesi e dai loro sostenitori che parlavano di questioni relative ai diritti umani in Israele e Palestina”, “Con lo spazio per tale sostegno minacciato in molte parti del mondo, la censura di Facebook minaccia di limitare una piattaforma fondamentale per l’apprendimento e l’impegno su questi problemi”.
L’azienda ha ammesso i propri errori e ha tentato di correggerli ma questo è insufficiente data la gravità delle restrizioni sui contenuti segnalati. Il 14 settembre 2021, il Facebook Oversight Board, ha commissionato un’indagine indipendente sulla moderazione dei contenuti riguardanti Palestina e Israele, in particolare in relazione a qualsiasi pregiudizio o discriminazione nelle sue politiche, applicazione o sistemi, e di pubblicare le indagini risultati.
Dal giorno in cui è stata emessa la decisione, Facebook ha 30 giorni per rispondere alle raccomandazioni del consiglio. La denuncia di Human Rights Watch si riferisce in particolare al social Instagram, di proprietà di Facebook. Human Rights Watch ha documentato che il social ha rimosso i post, inclusi i repost di contenuti dalle principali organizzazioni di notizie. In un caso specifico, Instagram ha rimosso uno screenshot di tre articoli di opinione del New York Times. L’utente che lo ha pubblicato aveva aggiunto dei commenti che esortavano i palestinesi a “non concedere mai i loro diritti”.
In un altro caso, Instagram ha rimosso una fotografia di un edificio con una didascalia che diceva: “Questa è una foto dell’edificio della mia famiglia prima che fosse colpito dai missili israeliani sabato 15 maggio 2021. Abbiamo tre appartamenti in questo edificio”. La società ha anche rimosso la ripubblicazione di una vignetta politica il cui messaggio era che i palestinesi sono oppressi e non combattono una guerra di religione con Israele. Al tempo, i post erano stati rimossi perché, secondo Instagram, contenevano “incitamento all’odio o simboli”.
L’incoerenza e la falsità di queste motivazioni è stata subito smascherata. Difatti, questi tre post sono stati reintegrati dopo i reclami. E questo è un grave precedente, poiché suggerisce che i meccanismi di rilevamento o segnalazione di instagram sono difettosi e danno luogo a falsi positivi. E a niente serve ripristinare il materiale soppresso ingiustamente. Human Right Watch afferma che l’errore impedisce il flusso di informazioni sui diritti umani nei momenti in cui servirebbe più copertura mediatica possibile.
Oltre a questi due casi, sono migliaia i post cancellati, gli account sospesi o limitati, i gruppi disabilitati, la visibilità, ridotta, gli hastag bloccati. Sono centinaia gli utenti e le organizzazioni per i diritti digitali che hanno segnalato ciò. Ad esempio, il 24 maggio, Instagram ha apposto un’etichetta a più storie pubblicate da Mohammed el-Kurd, un attivista palestinese e residente a Sheikh Jarrah, inclusa una storia che conteneva un’immagine ripubblicata dal feed Instagram di un altro utente di un camion della polizia israeliana e un altro camion con scritte in ebraico. Inoltre, Instagram ha limitato l’hashtag #AlAqsa (#الاقصى o #الأقصى) e rimosso i post sulla violenza della polizia israeliana nella moschea di al-Aqsa a Gerusalemme, prima che Facebook riconoscesse un errore e, secondo quanto riferito, ripristinasse parte del contenuto.
Ma Human Rights Watch non è stata in grado di verificare che ogni caso costituisse una restrizione ingiustificata poiché facebook non ha consentito l’accesso ai dati necessari per la verifica. Per questo, oggi, è richiesta un’indagine indipendente. Ad aggravare la denuncia è l’accusa secondo la quale la società di Zuckerberg agisce per volere dei governi. In questo caso specifico, il governo israeliano è stato aggressivo nel cercare di rimuovere i contenuti dai social media.
L’Unità informatica israeliana, con sede all’interno dell’Ufficio del Procuratore di Stato, invece di passare attraverso il processo legale di presentazione di un’ingiunzione del tribunale basata sul diritto penale israeliano per eliminare i contenuti online, segnala e invia richieste direttamente alle società di social media per rimuovere “volontariamente” i contenuti. Un rapporto del 2018 dell’ufficio del procuratore di stato israeliano rileva un tasso di conformità estremamente elevato: il 90% su tutte le piattaforme.
Prendendo atto del ruolo dei governi nella rimozione dei contenuti, l’Osservatorio ha raccomandato a Facebook di rendere questo processo trasparente e di distinguere tra le richieste dei governi che hanno portato a rimozioni globali basate su violazioni degli Standard della community dell’azienda e le richieste che hanno portato alla rimozione o al blocco geografico basato su violazioni di diritto locale. Facebook dovrebbe attuare questa raccomandazione e, in particolare, rivelare il numero e la natura delle richieste di rimozione dei contenuti da parte della Cyber Unit del governo israeliano e come ha risposto ad esse, ha affermato Human Rights Watch.
Per tutti gli attivisti e coloro che hanno utilizzato i social per denunciare le politiche e le atrocità dello stato sionista, queste cose non sono nuove. Tutti abbiamo subito restrizioni o siamo stati bloccati, zittiti per aver parlato in favore della Palestina. Ma questa denuncia da parte dell’Human Rights Watch è cosa nuova e il fatto che Facebook stesso si scusi, anche. La strada è ancora lunga. Ma tutti, anche i percorsi più ardui e lunghi si intraprendono cominciando da un piccolo, silenzioso passo. E questo potrebbe essere il primo verso l’utopia di un mondo in cui si possa essere davvero liberi di esprimersi in favore della verità e degli oppressi.