I piccoli martiri di Gorla: quando gli USA bombardarono una scuola milanese

Noi, che la guerra non abbiamo mai vissuto, facciamo fatica ad immaginare quel mondo rovesciato, quel mondo dove i bambini vanno a scuola e magari capita che non tornino più a casa. Noi che la guerra abbiamo potuto vedere al massimo fugacemente e distrattamente all’ora di cena, senza troppo turbarci, vedendo scorrere sullo schermo TV qualche immagine dalla Siria, ormai vicenda molto malamente archiviata, e ora più recentemente dall’Afghanistan, non possiamo provare e neppure in fondo anche solo immaginare se non vagamente il terrore provocato da un bombardamento aereo. 

Anni fa, camminando per Milano, città che apprezzo e amo, malgrado che sia cosciente che a un giudizio superficiale possa sembrare priva di quel facile richiamo artistico e architettonico, cioè turistico, che offrono molte altre città italiane, mi imbattei per la prima volta della mia vita nel monumento eretto a Gorla alle vittime di un bombardamento aereo. Quella del bombardamento del quartiere milanese di Gorla era una vicenda che ignoravo totalmente, di cui mai avevo sentito parlare in televisione o ne avevo letto su qualche giornale. Questo il bilancio di morte: 184 bambini di una scuola elementare, i loro insegnanti, la direttrice, 4 bidelli, un’operatrice sanitaria. In tutto 204 vittime. 

Quel 20 ottobre del 1944, giorno di quelle bombe omicide piovute dal cielo, l’Italia di fatto non esisteva più, divisa com’era fra il sud in mano agli eserciti angloamericani e il nord ancora governato dai fascisti della repubblica di Salò, alleati dei tedeschi. 

Il nostro paese, come realtà politica indipendente e autonoma, aveva sostanzialmente cessato di esistere l’otto settembre del 1943 quando, dopo aver fatto in precedenza arrestare Benito Mussolini, il re Vittorio Emanuele III con tutta la sua corte, senza troppo darsi pena di quello che sarebbe stato il suo dovere di monarca, fuggì a Brindisi per consegnarsi alle truppe angloamericane lasciando privo di ordini e allo sbando quello che era stato il regio esercito e la regia marina italiana, e aveva dichiarato guerra alla Germania nazista, fino all’otto settembre formalmente alleata dell’Italia.

Il 20 ottobre del 1944 la città di Milano si trovava ancora sotto la giurisdizione della Repubblica Sociale Italiana, entità statale creata da Benito Mussolini e dai fascisti a lui rimasti fedeli, e che come noto si era schierata a fianco della Germania hitleriana. 

La mattina di quel 20 ottobre, mentre gli eserciti alleati risalivano lentamente ma inesorabilmente la penisola marciando verso nord, incontrando però un’ostinata e feroce resistenza, erano decollati da Foggia varie squadriglie di aerei B24, micidiali aerei bombardieri che avevano per missione numerose incursioni intorno a Milano, cuore industriale dell’Italia che ancora rimaneva in mano alle forze dell’Asse.  

Dovevano, raccontano le cronache, colpire con le loro bombe e i loro spezzoni incendiari il nord della città capoluogo della Lombardia, dove si trovavano alcuni tra i più importanti impianti industriali italiani. Nomi noti, il fior fiore della nostra industria dell’epoca: l’Isotta Fraschini, la Breda, l’Alfa Romeo. 

Colpire, disarticolare, terrorizzare, annientare quanto più possibile il nemico, e diciamolo senza falsi pudori e reticenze, gli alleati colpivano con tecnica terroristica le popolazioni civili per creare il massimo della confusione nelle retrovie e per suscitare e incrementare sentimenti di avversione e di odio al regime.  

Questi bombardamenti anche sulla popolazione civile erano dunque parte integrante di quella strategia di guerra volta a fiaccare la resistenza coriacea e pervicace che ancora in quei giorni i tedeschi e i fascisti, privati di fatto di una qualsiasi alternativa alla resa senza condizioni, opponevano.

La storia ufficiale di quella tragica giornata ci racconta che una di quelle squadriglie di aerei per sbaglio, pare che il carico fatale almeno secondo il resoconto ufficiale dovesse essere lasciato cadere in aperta campagna, cadde sulla città. Una di quelle bombe da 500 libbre centrò in pieno la scuola elementare Francesco Crispi. Del risultato si è detto sopra.

Danni collaterali anche quelli, come purtroppo, nonostante l’invenzione delle cosiddette bombe “intelligenti” sono piene le cronache delle guerre contemporanee: l’Iraq, la Siria, la Palestina, l’Afghanistan. Da allora, evidentemente le cose non sono molto cambiate.

In una sua struggente lirica, il poeta gallese Dylan Thomas ci racconta di un uomo di cent’anni caduto vittima di un bombardamento aereo. E ce lo presenta a simbolo di quell’assurdità atroce che è la guerra.

Pensate, ci dice il poeta, doveva vivere cent’anni per poi finire i suoi giorni straziato da una bomba. Che storia assurda. La guerra a Gorla quel giorno non ghermì la vita di uomini di cent’anni, ma quella di 184 bambini che nella vita erano appena entrati.