La bocciatura del DDL Zan non avviene per il fatto che la classe politica sia più “indietro” del paese reale e nemmeno, perchè gli italiani siano un popolo di retrogradi, come in molti stanno affermando in queste ore, ma perché i suoi promotori hanno tentato di compiere un’operazione estremamente ideologica.
L’intento dichiarato di questa proposta di legge era quello di proteggere dalle discriminazioni i cittadini omosessuali e transessuali ma sin da subito è stato facilmente comprensibile come il valore di questa legge fosse assolutamente altro. Questo perchè per raggiungere lo scopo dichiarato sarebbe stato sufficiente estendere la legge Mancino a nuove categorie, operazione a mio avviso discutibile per varie ragioni ma comunque legittima, invece si è voluta piantare una bandiera e imporre per legge definizioni e concetti confusi, sui quali non esiste nessun consenso e che sarebbero stati forieri di enormi problemi e conflitti.
Così alla fine quando dall’altra parte si è andati a vedere le carte di Zan e del PD si è definitivamente mostrato quale fosse la posta in palio, i sostenitori della legge sono gli stessi che l’hanno affossata, pur di non rinunciare a ciò che realmente gli stava a cuore han deciso di sacrificare la tanto sbandierata necessità di difendere le persone omosessuali e transessuali dalle violenze e dalle discriminazioni. Di fatto queste persone sono state scaricate perchè erano solo un vettore per portare a casa un’operazione di ingegneria culturale calata dall’alto.
I contrari alla legge, sia dentro che fuori dal Parlamento, avevano chiesto di rinunciare ai punti più controversi del testo ovvero: gli articoli 1, 4 e 7 che nell’ordine introducevano una definizione quella di indentità di genere molto confusa e pericolosa, minavano la libertà d’espressione aprendo le porte ad una nuova inquisizione del pensiero unico e invadevano lo spazio educativo che deve restare riservato alle famiglie pretendendo di insegnare a scuola nozioni e visioni sulle quali non esiste nemmeno lontanamente un consenso.
L’articolo 1 definiva l’identità di genere come: “l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione” questa definizione oltre a non essere il frutto di un dibattito maturato in seno alla società italiana rappresenta un concetto molto problematico per la sua indefinitezza, per la sua totala inaderenza alla realtà biologica e per la portata distruttiva che avrebbe sulle fondamenta naturali del creato.
L’articolo 4 con una formula ambigua cercara di rassicurare rispetto alla libertà d’espressione ma con una sorta di excusatio non petita tradiva l’intento liberticida di una norma che avrebbe consentito a chi volesse farne un’interpretazione restrittiva di sanzionare chi avesse manifestato le proprie legittime opioni.
L’articolo 7 infine istituiva una “Giornata nazionale contro l’omotransfobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia” che sarebbe dovuta entrare nelle scuole con l’intento di catechizzare i bambini rispetto alla nuova fede gender fluid.
Insomma a parte i numerosi rilievi di carattere costituzionale che sono stati sollevati rispetto al disegno di legge, sono gli stessi punti di attrito che definiscono la natura e le vere finalità della legge: plasmare attraverso lo strumento normativo le coscienze, impedire sempre per legge di obiettare al riguardo e inculcare i nuovi dogmi fin dalla tenera infanzia.
Il tentativo di Letta, dei 5 stelle e di tutto il mondo che ha portato avanti questa campagna di incolpare gli altri del suo fallimento è un vero e proprio ribaltamento dei fatti che però sta avendo successo grazia alla schiacciante superiorità mediatica di cui dispongono ed è il preludio di una nuova battaglia alla quale bisognerà prepararsi.