Nell’udienza preliminare, Majid Khan racconta di essere stato sottoposto a waterboarding, aggredito sessualmente e fisicamente nelle carceri segrete della CIA.
Un prigioniero trattenuto nel centro di detenzione di Guantanamo Bay ha fornito, davanti ad un tribunale degli Stati Uniti, il primo resoconto pubblico delle torture avvenute in una struttura segreta della CIA durante la decennale “guerra al terrore” di Washington.
Majid Khan, un ex-residente di un sobborgo di Baltimora, ha raccontato di essere stato sottoposto a waterboarding, abusato fisicamente e sessualmente e di aver subito altre forme di tortura in una struttura clandestina della CIA, utilizzata dagli Stati Uniti dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001.
La testimonianza resa giovedì scorso da Majid Khan, arrivata durante un’udienza preliminare del tribunale per crimini di guerra avvenuti nella base americana a Cuba, rappresenta la prima volta che un ex-detenuto del “carcere segreto” ha descritto pubblicamente gli abusi subiti nell’ambito delle cosiddette “tecniche avanzate di interrogatorio” dell’agenzia statunitense dello spionaggio, secondo quanto riportato dal New York Times.
Khan si era già dichiarato colpevole per le accuse relative al suo ruolo di corriere e organizzatore di al-Qaeda.
“Pensavo che sarei morto”, ha detto Khan durante la testimonianza, descrivendo nel dettaglio le varie tecniche di tortura, tra cui stare appeso nudo ad una trave del soffitto per lunghi periodi, essere ripetutamente bagnato con acqua ghiacciata rimanendo sveglio per giorni, avere la testa bloccata sott’acqua fino al punto di annegare, per poi vedersi versare altra acqua nel naso e nella bocca quando le persone che lo interrogavano lo lasciavano risalire.
Khan ha detto che, durante i suoi circa tre anni di detenzione nelle carceri della CIA, è stato picchiato, sottoposto a clisteri forzati, aggredito sessualmente e affamato. E’ stato trasferito al centro di detenzione militare statunitense a Cuba nel settembre del 2006.
“Li pregavo di fermarsi e giuravo loro che non sapevo nulla”, ha detto. “Se avessi avuto delle informazioni da dare le avrei già date, ma non avevo niente da dire”.
Mentre alcuni dei trattamenti subiti da Khan erano già stati raccontati nel dettaglio in un rapporto del 2014 della Commissione Intelligence del Senato degli Stati Uniti – che accusava la CIA di essere andata ben oltre i suoi limiti legali nel tentativo di carpire informazioni su al-Qaeda – le testimonianze personali in pubblico, rese da detenuti di alto livello, erano finora praticamente inesistenti.
“Più collaboravo e parlavo con loro, più venivo torturato”, ha detto Khan alla corte, apparentemente in accordo con la conclusione del rapporto di intelligence del Senato, secondo il quale la condotta degli agenti statunitensi non solo era disumana, ma spesso inefficace.
Gli osservatori per i diritti umani hanno continuato incessantemente a chiedere conto degli abusi commessi nelle carceri segrete al relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura, Nils Melzer, che già nel 2017 aveva affermato che la condotta era una “chiara violazione della Convenzione contro la tortura e sta inviando un pericoloso messaggio di compiacenza e impunità ai funzionari negli Stati Uniti e nel mondo”.
Inoltre, hanno sempre continuato a chiedere al presidente degli Stati Uniti Joe Biden di porre fine alle detenzioni a tempo indeterminato a Guantanamo, qualcosa che il suo precedente capo, l’ex-presidente Barack Obama, aveva promesso e non ha fatto.
Patteggiamento
Khan, leggendo da un documento di 39 pagine, ha parlato il primo giorno di quello che dovrà essere una udienza di due giorni. Si è dichiarato colpevole nel febbraio 2012 per le accuse che comprendono cospirazione, omicidio e fornitura di materiale di supporto al “terrorismo”.
Un gruppo di ufficiali militari selezionati da un funzionario legale del Pentagono – noto come autorità giudicante – è pronto a condannare Khan ad una pena che va dai 25 ai 40 anni di carcere. Tuttavia, egli sconterà molto meno grazie alla sua ampia collaborazione con le autorità statunitensi, compreso il caso contro i cinque uomini, attualmente detenuti a Guantanamo, che sono accusati di aver pianificato e fornito supporto logistico per gli attacchi dell’11 settembre.
In base al patteggiamento, del quale i giurati non sono stati informati, la condanna di Khan da parte della giuria sarà ridotta a non più di 11 anni dall’autorità giudicante, e gli verrà riconosciuto uno sconto di pena per il tempo già trascorso in custodia dal momento della sua dichiarazione di colpevolezza del febbraio 2012.
Ciò significa che dovrebbe essere rilasciato all’inizio del prossimo anno, reinsediato in un terzo paese, ancora sconosciuto, perché non può tornare in Pakistan, dove ha la cittadinanza.
“Cercare di rimediare alle cose brutte”
Nato in Arabia Saudita, Khan è arrivato negli Stati Uniti con la sua famiglia negli anni ‘90. Si è diplomato alla scuola superiore nei sobborghi di Baltimora ed ha svolto un’attività nel settore tecnologico a Washington, dove stava lavorando anche durante gli attacchi dell’11 settembre.
Ha detto di essersi avvicinato ad al-Qaeda dopo la morte di sua madre, che ha descritto come la persona più importante della sua vita.
Ha ammesso di aver consegnato fondi per 50.000$ ad al-Qaeda, utilizzati per compiere un attentato all’interno dell’hotel Marriott a Giacarta, capitale dell’Indonesia, nel 2003, anche se in precedenza aveva affermato di non sapere come sarebbero stati utilizzati i soldi.
Il quarantunenne ha anche ammesso di aver pianificato altri attacchi in collaborazione con la presunta mente dell’11 settembre, Khalid Sheikh Mohammed.
Durante la testimonianza, Khan ha chiesto perdono per le sue azioni, aggiungendo di aver perdonato egli stesso i suoi carcerieri.
“Ho cercato anche di rimediare alle brutte cose che ho fatto”, ha detto. “Per questo motivo mi sono dichiarato colpevole ed ho cooperato col governo degli USA”.
Attualmente, gli Stati Uniti detengono 39 uomini presso il centro di detenzione Naval Station Guantanamo Bay. Khan è il primo dei molti detenuti cosiddetti di “alto livello” che sono stati sottoposti ai programmi di interrogatori della CIA per essere incriminati e condannati.
Il processo ai cinque uomini coinvolti negli attacchi dell’11 settembre, tra cui Khalid Sheikh Mohammed, è ancora nella fase istruttoria e un giudice ha detto che inizierà non prima del prossimo anno.