Quando ho incontrato un gruppo di fratelli e sorelle in una delle tante manifestazioni del sabato a Milano ho avuto chiara la sensazione che qualcosa di importante stesse accadendo. I fatti di Trieste, i comportamenti e le dichiarazioni dei partecipanti, non hanno che confermato questa impressione.
E che cioè questo movimento, in tutte le sue manifestazioni, crescendo stia sempre più mostrando una componente spirituale profonda.
Da questa consapevolezza è nato l’incontro che si terrà oggi venerdì 12 novembre dal titolo Fede e azione al tempo del capitalismo della sorveglianza.
All’incontro parteciperanno Paolo Rada, Direttore del Dipartimento Studi Storici del Centro Studi Dimore della Sapienza, il poeta e saggista Flavio Ferraro, il caporeddatore della rivista Idee&Azione Massimo Selis e il direttore del quotidiano La Luce Davide Piccardo.
Come giustamente notava Hamza Piccardo su queste pagine (nell’intervista a Bhante Dharmapala ndr) “La gestione della cosiddetta pandemia Covid-19 ha posto credenti e non di fronte ad una straordinaria, per quanto non inaspettata, accelerazione dell’aggressione alla persona umana, intesa olisticamente come un tutt’uno di corpo-mente-spirito, che la modernità sta portando avanti da oltre due secoli.”
L’impressione è che di fronte a questo rapido deteriorarsi del contesto (motus in fine velocior) una nuova consapevolezza stia nascendo.
Con i fratelli e le sorelle incontrati in piazza ci si è interrogati sul perché tanta parte della comunità, ma anche e soprattutto i sapienti, esprimesse una posizione chiara sul tema della privazione progressiva delle libertà, sulla fine dello stato di diritto, sullo stato delle cose. Perché tutto questo silenzio?
Questa acquiescenza verso la gestione della crisi sanitaria e il silenzio di fronte alla devastazione della società e del diritto che questi governanti stanno scientemente producendo deve essere indagata, forse compresa.
Non sfugge che per i fratelli e le sorelle musulmani di nascita, giunti in Italia, o forse italiani di seconda generazione, vi siano problemi diversi da gestire: l’integrazione, il doversi fare accettare, dover trovare un proprio ruolo in una società per molti aspetti disumanizzata. Esigenze, queste, che tagliano le ali ad altri pensieri, ad una coscienza critica, e che pur non impedendo di cogliere la drammaticità della situazione, sconsigliano, in nome del buon senso, chiare prese di posizione e inducono piuttosto una amara passività giustificata dal contesto.
Ecco che allora forse è giunto il momento di un passaggio di testimone. Ecco che, come a Yatrib al tempo dell’Egira, ai fratelli e alle sorelle italiani, agli “ospitanti”, è chiesta la consapevolezza di un ruolo storico, quello cioè di essere avanguardie e “consiglieri” politici nelle comunità.
Ne consegue, evidente, la necessità storica di un Islam italiano (ed europeo), che sappia operare una sintesi tra l’anelito di giustizia del messaggio divino e le lotte e le rivendicazioni sociali patrimonio della tradizione italiana ed europea.
Un Islam “politico” che sappia dialogare alla pari con le dottrine sociali delle altre religioni. E sappia con esse trovare sintesi, oltre che nel dialogo, anche nella militanza e nella azione sociale.
Goethe auspicava un “Islam mitigato dal sole del Mediterraneo”.
Noi, aggiungiamo, auspichiamo l’emergere e il consolidarsi di un Islam italiano ed europeo che ci unisca nella resistenza e nella rinascita che, a Dio piacendo, arriverà.
L’incontro “Fede e Azione al tempo del capitalismo della sorveglianza”, Insha Allah, vorrebbe essere un umile contributo a questi temi.
Riponiamo fiducia nell’Altissimo affinché ci protegga, consolidi i risultati dei nostri infimi sforzi e ci mostri chiaramente la strada da seguire.