“Questa sentenza per me è una riabilitazione completa, e ne approfitto per ringraziare il sistema giuridico svizzero, che ha dimostrato che è in vigore la separazione dei poteri, un aspetto importante e indispensabile della democrazia».
È con queste parole che shaikh Samir Jelassi, l’imam della moschea di Lugano-Viganello ha commentato la sentenza con cui il Tribunale Amministrativo federale ha deliberato che la decisione del Segreteria di Stato della Migrazione (SEM) di revocare la sua naturalizzazione era illegittima e ha intimato che la pratica fosse riesaminata con maggior oggettività.
Quando lo intervistammo, poco più di due anni orsono la sua determinazione era incrollabile e vi ha dato seguito. Shaykh Samir Jalassi, imam della moschea della Lega dei Musulmani in Ticino, ha segnato un punto importante nella sua battaglia per far riconoscere il suo buon diritto ad essere a pieno titolo anche cittadino svizzero
Implicitamente la corte ha ritenuto che quanto sostenuto da sh. Samir Jalassi e dalla sua difesa era corretto e cioè che le motivazioni della revoca erano viziate da informazioni del SIC (Servizio delle attività informative della Confederazione) che “rasentano la speculazione e che essa non puo essere accettata”.
L’imam aveva esplicitamente accusato esponenti dei servizi segreti confederali di aver fatto pressioni sul Servizio della Migrazione per vendicarsi del suo rifiuto di diventare un loro informatore.
Un’accusa molto grave nei confronti di soggetti che istituzionalmente non devono mai provare le loro tesi e che tuttavia influenzano quelle stesse istanze che hanno invece regole di comportamento che discendono dalla legge e dalle procedure legali e amministrative.
In particolare la minaccia che Jalassi avrebbe costituito per la sicurezza della Svizzera si basava su due circostanze. La prima relativa alla frequentazione della moschea di Lugano da parte di persone che avrebbero poi raggiunto DAESH, l’altra in merito al finanziamento della moschea sul quale l’imam sarebbe stato reticente.
A suo tempo Jelassi ebbe a dichiarare: “Ci sono stati due casi di giovanotti che facevano trasparire tendenze cosiddette jihadiste, un ragazzo marocchino espulso dall’Italia che aveva comunque un permesso di soggiorno regolare nella Confederazione e un giovane di cittadinanza elvetica.
Il primo acclarò il suo modo di pensare e l’ho diffidato da avere comportamenti e azioni che potessero danneggiare la comunità, il secondo invece frequentava la moschea e non aveva mai destato sospetti finchè un giorno il padre disperato venne alla moschea preoccupatissimo perché temeva che il figlio volesse partire per il Medio Oriente per combattere. C’erano elementi di reale preoccupazione e dopo un periodo di sei mesi in cui cercai di dissauderlo in ogni modo lo segnalammo alle autorità. Purtroppo entrambi misero in atto i loro propositi e sono morti in quella guerra infame”
A proposito del denaro che sosteneva le (poche) spese della moschea sh. Samir aveva detto: “Mi hanno chiesto di fornire loro l’elenco dei credenti che con il loro obolo più o meno regolare sostenevano le spese della nostra moschea. Si è parlato anche da noi di molti soldi che sarebbero dovuti arrivare dal Qatar ma invero non abbiamo mai visto un franco.
La richiesta dei nomi di quelli che versavano, più o meno regolarmente le loro quote, era del tutto irricevibile e posta anche in modo arrogante, con un tono di minaccia neppure molto velato. Se si fosse trattato di un ordine dell’autorità giudiziaria non avrei potuto far altro che acconsentire ma in quei termini, l’ho già detto, era irricevibile”.
Ora il Segreteria della Migrazione dovrà appunto riprendere in mano il dossier e ottemperare alle indicazione della giustizia amministrativa che ha scritto chiaramente: «Qualora voglia confermare il diniego, alla SEM è richiesto di avvalorare la proprie argomentazioni sulla base di riscontri oggettivi e di considerazioni giuridiche e fattuali chiare, non speculative e non arbitrarie».