I rapporti tra Islam ed ecologia sono molto più profondi di quanto si possa pensare. Al momento la tematica è ancora poco esplorata. Si parla, da anni, di cambiamento climatico e di crisi ambientale ma la questione sta diventando parte integrante (perché non possiamo dire che già lo sia) dell’agenda dei governi mondiali solo in tempi molto recenti.
Fino ad alcuni anni fa, infatti, la questione ambientale trovava un suo spazio quasi solo nell’ambito della società civile. Si riteneva comunemente che l’ecologismo rientrasse nella rosa dei cosiddetti valori post-materialisti (usando qui una definizione del sociologo Ronald Inglehart), peculiari del capitalismo americano ed europeo.
I valori post-materialisti, infatti, sorgerebbero laddove i bisogni primari sono stati ampiamente soddisfatti e dove, dunque, le nuove generazioni di società opulente chiederebbero qualcosa in più: una migliore qualità della vita, una maggiore inclusività nei processi decisionali, parità di genere, maggior rispetto per le minoranze e, last but not least, una maggiore attenzione all’ambiente.
Tutto questo nell’ambito di collettività abbondantemente secolarizzate, avviate dunque, quasi ineluttabilmente, a divenire “orfane di sacro” e, di conseguenza, votate anche alla spasmodica ricerca di valori nobili “per colmare l’incolmabile vuoto”.
Diverso il caso del mondo islamico, quei paesi dove la maggior parte della popolazione è di fede islamica e delle minoranze islamiche in paesi a diversa prevalenza religiosa, dove, pur a fronte, negli ultimi anni, di deboli processi di secolarizzazione, la cultura, lo stesso senso comune sono ancora fortemente imperniati sulla centralità di Dio.
Probabilmente è in ragione anche di questo — in virtù, in altre parole, della grande risorsa sociale rappresentata da una fede ampiamente condivisa — oltre, naturalmente, alla presenza di tante, diverse problematiche di natura “materiale” che il mondo islamico si sta seriamente approcciando alle problematiche ecologiche con ritardo rispetto al “profano” Occidente.
Abbiamo tuttavia argomentato in altri articoli quanto l’Islam sia una religione “geneticamente ambientalista”.
Meglio di quanto possiamo fare noi, presenta l’ambientalismo come elemento intrinseco all’Islam il filosofo iraniano Seyyed Hossein Nasr, allievo del celebre tradizionalista Frithjof Schuon ed uno dei pionieri della cosiddetta eco-teologia.
Nel suo testo-cardine per chiunque si occupi di ambientalismo islamico, Man and Nature, Seyyed Hossein Nasr riconduce l’attuale, drammatica crisi ambientale alla crisi spirituale dell’uomo moderno, all’oblio di Dio e della sacralità della natura in quanto diretta espressione della Sua creazione e di cui l’uomo dovrebbe essere, Corano alla mano — «Egli è Colui che vi ha costituiti eredi della terra» (Sura 6, vs 165) — il custode (Khalifa).
All’origine della drammatica crisi ambientale contemporanea ci sarebbe dunque, nella prospettiva di Nasr, proprio la secolarizzazione, massima responsabile di quella che René Guénon, tra i primi europei convertiti all’Islam, definiva — per citare il titolo di un suo celebre testo — “la crisi del mondo moderno”.
In questo modo Nasr rovescia, in buona parte, la prospettiva di Inglehart che invece individua nella secolarizzazione il “terreno di coltura” dei valori post-materialisti, prodotti in risposta all’aridità e “ferocia” (contro l’ambiente oltre che contro l’essere umano) di una cultura puramente materialista e peculiari, come si accennava, di una società prospera (la cui prosperità, ahimé, l’ha sempre fatta pagare agli altri; l’intera, riprovevole storia del colonialismo e i molti problemi “materiali” di cui soffre oggi il mondo islamico ce lo ricordano costantemente) e laica.
Tra i valori post-materialisti rientrerebbe anche una sorta di “rinascita del sacro”, in forma non di rado del tutto edulcorata da un punto di vista anche solo minimamente tradizionale; la New Age, con i suoi “angeli da tavolo”, i suoi cristalli, le sue decontestualizzate meditazioni e il suo amore smisurato per l’ambiente (che qui, tuttavia, condividiamo) ne costituirebbe un’incontestabile prova.
Sia come sia il mondo islamico, da un punto di vista ambientalista, “par che dorma”, per citare un brevissimo passaggio della canzone Asia di Francesco Guccini ma “l’immensa, millenaria sua cultura” è in realtà al lavoro, in molti modi, per dare il suo contributo alla soluzione di un problema che sta diventando, oramai, questione di vera e propria sopravvivenza per le prossime generazioni.
Non va difatti dimenticato, come evidenzia Abdul Matin nel suo libro Green Deen: What Islam Teaches About Protecting The Planet che uno dei principi fondamentali dell’Islam è quello di Mizan: equilibrio.
«In nome di Allah, il Compassionevole, il Misericordioso. Il Compassionevole, ha insegnato il Corano, ha creato l’uomo e gli ha insegnato ad esprimersi [Lett. «gli ha insegnato il “bayân”», cioè il discorso chiaro ed esauriente]. Il sole e la luna [si muovono] secondo calcolo [preciso]. E si prosternano le stelle e gli alberi. Ha elevato il cielo e ha eretto la bilancia, affinché non la frodiate: stabilite il peso con equità e non falsatela!». (Il Corano 55:1-9)
In Italia se ne sa ancora poco ma in nome del rispetto dell’equilibrio (tra uomo e ambiente in questo caso) si stanno attivando teorici e organizzazioni islamiche per tentare di arginare gli effetti nefasti del cambio climatico e per contribuire a inaugurare un, mondiale, Green New Deal.
Per fare alcuni esempi concreti, nel 2015 è stata redatta The Islamic Declaration on Global Climate Change, la Dichiarazione Islamica sul Cambiamento Climatico Globale. Potete leggerla, in italiano, a questo link.
Due redattori della Dichiarazione Islamica sul Cambiamento Climatico, l’amico Professor Ibrahim Özdemir e lo studioso srilankese, naturalizzato britannico, Fazlun Khalid sono anche coinvolti nel progetto internazionale (sotto la supervisione e la guida dell’UNEP) Al Mizan: un patto per la terra.
Al-Mizan presenta una visione islamica dell’ambiente nel tentativo di rafforzare le azioni locali, regionali e internazionali che si oppongano al cambiamento climatico e ad altre problematiche di natura ecologica. È uno sforzo globale per coinvolgere, in questa missione, studiosi ed istituzioni del mondo islamico.
Il progetto, inoltre, considera la dimensione etica che dovrebbe ispirare il modello sociale dell’esistenza umana.
Principi riconducibili allo stesso profeta Muhammad che aveva stabilito una serie di regole per uno stile di vita che fosse realmente olistico.
Questo si basava sul Corano e poteva essere sintetizzato in tre categorie: incoraggiare il bene pubblico, vietare l’azione sbagliata ed agire sempre con moderazione:
«Sorga tra voi una comunità che inviti al bene, raccomandi le buone consuetudini e proibisca ciò che è riprovevole». (Il Corano 3,104).
Esistono inoltre molte organizzazioni islamiche, a livello internazionale, costantemente impegnate nella salvaguardia dell’ambiente. Ho stilato un primo elenco nel post: Islam ed ecologia, ovvero l’ecologia dell’Islam.
Vorrei qui concludere questo primo articolo, introduttivo, per La Luce, menzionando alcune iniziative importanti del Sustainability and Climate Change Team (di cui faccio io stesso parte) del Muslim Council of Britain: un’organizzazione ombrello che coinvolge circa 500 organizzazioni islamiche del Regno Unito (moschee, scuole, organizzazioni di beneficenza e network professionali), di vario orientamento e alla cui segreteria generale è stata recentemente eletta Zara Mohammed.
Mi limiterò a menzionare le ultime in ordine di tempo contando di poter dare degli approfondimenti in prossimi post.
In occasione della conclusione dei lavori di COP26, cui MCB ha partecipato, ha visto la luce la sua guida, in sei punti fondamentali, per la realizzazione di moschee eco-sostenibili (il lavoro sarà, in buona parte, di conversione delle moschee già esistenti).
La guida vuole essere “una risorsa per accrescere la consapevolezza riguardo gli effetti del cambio climatico nell’ambito delle moschee e delle comunità islamiche del Regno Unito, fornendo suggerimenti concreti per renderle maggiormente eco-sostenibili”.
Il lavoro che si prospetta sarà dunque rivolto alla base del mondo islamico britannico, coinvolgendo la dimensione individuale e famigliare accanto a quella comunitaria.
Proprio in conclusione, considerando che il mese di Ramadan si sta lentamente avvicinando, il Muslim Council of Britain ha collaborato alla realizzazione della Guida ad un Ramadan eco-sostenibile (dando precise indicazioni su come evitare l’utilizzo di plastica e materiali non compostabili durante le cene di Iftar, gli sprechi di cibo e sensibilizzando all’utilizzo di minori quantità di carne, privilegiando Iftar “vegetariani”, per fare solo pochi esempi).
La guida è stata già tradotta in italiano e speriamo di divulgare presto la sua versione nella nostra lingua.