Pare che Albert Einstein abbia detto che la peggiore cosa che possa accadere ad un genio è quella di essere compreso. Luc Montagnier non era forse un genio, ma incompreso lo è stato di certo, almeno da un certo punto della sua carriera in poi.
Il premio Nobel per la medicina, vinto nel 2008 per i suoi studi sul virus HIV, gli ha probabilmente concesso l’autorevolezza necessaria per potersi battere ad armi pari con un mondo che non può e non vuole vedere ciò che non concepisce, e su questo Einstein aveva di certo ragione, essere compresi dalla massa non rappresenta di per sé un merito e potrebbe essere addirittura un sintomo preoccupante.
Più che un genio Montagnier è stato forse semplicemente un preconizzatore del cambio di paradigma della scienza e di quella medicina che probabilmente non ci sarà mai, ma che sarebbe auspicabile. Cosi si espresse, durante una sua visita in Italia in occasione di un giro di conferenze a proposito del controverso tema della memoria dell’acqua nel 2014: “I miei lavori pongono molti problemi a certe persone che dovrebbero cambiare di paradigma iniziando a pensare che le onde elettromagnetiche hanno un ruolo nella vita e nel suo funzionamento quotidiano.”
I suoi contatti con l’Italia non sono stati affatto episodici, la collaborazione con il noto fisico E. Del Giudice, scomparso nel 2014, è culminata nella pubblicazione nel 2001 del lavoro “DNA waves and water” , il quale ha segnato un punto di rottura definitivo del premio Nobel con il “sacro dome” della comunità scientifica internazionale. L’insanabile frattura con la gran parte del mondo accademico e della comunità scientifica internazionale maturava però da anni e aveva già addirittura suggerito al nostro di emigrare il proprio laboratorio di ricerca a Shangai.
Libero da condizionamenti è stato quel tipo di scienziato per niente chiuso nel proprio ambito ma capace di spaziare dalla speculazione ontologica alle problematiche del mondo moderno, cosi lo si poteva sentir sostenere una sua propria idea sull’origine panspermica dell’universo e poco dopo sottolineare come l’industria farmaceutica mondiale fosse bloccata nel vicolo cieco della chimica. A chi, in virtù della sua ecletticità, lo sollecitava su temi al limite del fantascientifico rispondeva “Se si va troppo veloci, si viene attaccati e trattati da ciarlatani, ma noi siamo prudenti”.
Se ne andato M. pochi giorni fa, all’età di 90 anni, preconizzando quella che lui chiamava la medicina delle 4 “P”: Predizione, prevenzione, personalizzazione, partecipazione. Insomma L.M. sognava un mondo migliore che la maggior parte di noi non saprebbe nemmeno immaginare. Una medicina non più basata sulla chimica ma sulla fisica. Senza più farmaci tossici ma benefiche onde elettromagnetiche, non più procedure diagnostiche dolorose ed invasive ma esami veloci ed innocui grazie all’identificazioni dei segnali elettromagnetici emessi dal nostro corpo. Sosteneva che “il medico è oramai un tecnico che applica modelli insegnati” e per questo vedeva nel medico omeopata il medico del futuro capace di vedere il paziente nella sua integrità psicofisica.
Forse i più hanno sentito parlare di Montagnier in virtù delle sue recenti posizioni eterodosse in merito al covid e alle politiche vaccinali ma, la sua è stata una lotta ben più lunga testimoniata dalle pubblicazioni non solo brillanti ma anche rigorose. Una lotta che è durata un lungo arco di vita iniziata con la scelta di studiare medicina dopo la laurea in biologia in seguito alla morte del padre per tumore con il fine di potersi dedicare a studi in ambito oncologico.
Ci piace ricordare la faccia bonaria e serena con cui affrontava indifferentemente i suoi interlocutori che fossero suoi detrattori o meno, un volto che lasciava però trapelare tutta la tenacia di un uomo che si è speso fino a pochi giorni prima del suo ultimo viaggio per indicare al prossimo, contro tutto e tutti, la direzione verso un’idea di mondo migliore.