La guerra in Ucraina sta mettendo in seria difficoltà Ankara che, per guadagnare tempo e consenso internazionale, sta cercando di mediare tra i belligeranti. Ma i costi di questo conflitto sono altissimi.
Il Ministro degli esteri russo Lavrov e il suo omonimo ucraino Kubela si sono incontrati giovedì grazie alla mediazione del Ministro Çavuşoğlu al margine dell’Antalya Diplomatic Forum, un evento annuale che fa dialogare diversi leader, ministri e accademici da tutto il mondo. Questo è il primo incontro ad alto livello tra i due governi dall’inizio del conflitto.
Nessuno, però, aveva grandi aspettative sui risultati di questo summit, mentre Erdoğan si augurava almeno un cessate il fuoco. L’incontro, senza alcun dubbio è un ottimo risultato seppur provvisorio per la diplomazia turca che (come quella israeliana) non ha imposto sanzioni alla Russia e ha cercato di inventarsi un ruolo di mediatore. Un ruolo difficile visto il coinvolgimento di Ankara con entrambi i paesi.
Il risultato più importante per la Turchia è sicuramente quello di aver guadagnato tempo. Ankara è, dal 1952, membro della NATO e durante la Guerra Fredda ha giocato un ruolo importante grazie alla sua posizione strategica. Come gli altri membri della NATO, oggi, fornisce aiuti militari a Kiev e considera che la Russia rappresenti una minaccia per l’assetto in Europa orientale.
Poco prima e subito dopo l’inizio del conflitto, la Turchia ha fornito all’Ucraina i celebri droni armati Bayraktar TB2 che nel conflitto Azero-Armeno avevano assicurato a Baku una forte superiorità militare. In questo conflitto, però, i droni sono un’arma importante ma non hanno assicurato a Kiev alcuna superiorità, visto la tecnologia e le capacità delle forze armate russe.
Stanno, tuttavia, infliggendo perdite e hanno conquistato la simpatia degli ucraini tanto che hanno composto una canzone inneggiante ai droni Bayraktar. Negli ultimi giorni, poi, si sono moltiplicati i voli militari tra diverse basi militari in Anatolia e l’aeroporto polacco di Lotniczy Rzeszów-Jasionka a pochi chilometri dal confine con l’Ucraina. Anche se non è possibile confermare la natura del carico di questi aerei non è difficile immaginare che, come gli altri paesi NATO, la Turchia stia assistendo Kiev.
Bisogna ricordare ancora che Ankara non ha adottato nessuna delle sanzioni che quasi tutti i paesi europei hanno scelto. Gli aeroporti di Istanbul sono oggi un via vai di aeri provenienti da tutte le città della Russia, oggi quasi completamente isolata, e offre l’unico ponte per raggiungere l’Europa e il Nord America. Per ora la Turkish Airlines e Pegasus sembrano beneficiare della situazione ma, da questa crisi, i benefici, che il paese può trarre, sono ben pochi.
La Turchia è, tra i membri della NATO, tra i pochi paesi che è riuscito a mantenere buone relazioni con entrambi i belligeranti negli ultimi anni anche se non ha dubbi che l’espansione russa nei Balcani e nel Medio Oriente costituisca una minaccia per i propri interessi militari e culturali. Dai tempi della zarina Caterina II, i tentativi di espandersi verso il Mediterraneo hanno sempre minacciato i territori e gli interessi turchi. Ma non dimentichiamo neanche che l’Ucraina ha una popolazione etnica turca che è stata decimata dalle purghe staliniste e le successive deportazioni ma, quando il paese divenne indipendente, i Tatari di Crimea sono potuti ritornare per, poi, dover scappare nuovamente nel 2014.
Ma proprio per la sua posizione geografica, in tempi di pace, la Turchia ha da sempre cercato di mantenere buoni relazioni con Mosca. Seppur ben collegata con l’Azerbaijan, l’Iran e l’Iraq, e sia un hub energetico, Ankara è dipendente in buona parte dalla Russia per le forniture di gas e petrolio.
Il paese non è dipendente dalla Russia solo per gli idrocarburi, l’anno scorso la Turchia ha sofferto una delle peggiori siccità della sua storia contemporanea. In modo particolare beni fondamentali come il grano, i legumi e l’olio di semi sono venuti a mancare e la Russia ha fornito gran parte di questi beni. Già nel 2020, ben il 65% delle importazioni di grano provenivano dalle campagne russe e il 13% da quelle ucraine.
La guerra sta minacciando, dunque, non solo il costo dell’energia ma anche quello dei beni alimentari. Prima ancora del conflitto, la Turchia si trovava a fare i conti con una crisi economica molto forte ed un’inflazione che è impennata (nel mese di febbraio) al 54%. La crisi è stata scatenata dagli effetti globali della pandemia e dalla scelta di Erdoğan di abbassare il tasso di interesse al 14% così da creare un tasso negativo che avrebbe (teoricamente) favorito le esportazioni ed investimenti.
Il tutto in linea con il modello economico islamico (col quale non tutti sono d’accordo qui in Turchia) che vieta il tasso d’interesse. Il tasso di interesse reale, oggi, a -40% ha causato una perdita del valore della lira da ottobre di circa il 60%, una inflazione incontrollabile e il crollo del consenso per il governo. Inoltre, il cosiddetto “Modello economico turco” era basato sulla prospettiva di una bilancia dei pagamenti positiva entro l’estate grazie alle esportazioni e il turismo. Con la guerra questo modello è sprofondato.
Il mercato russo e ucraino, infatti, sono molto importanti soprattutto per i prodotti agricoli. Nel 2021, solo le esportazioni turche verso la Russia ammontavano a 4,9 miliardi di euro e quelle verso l’Ucraina a 2,4 miliardi. Inoltre, nonostante la pandemia, l’anno scorso, ben 4,7 milioni di russi e 2 milioni di ucraini erano venuti in Turchia per turismo. Con il rublo in caduta libera e l’impossibilità dei trasferimenti bancari è molto difficile che i turisti russi arrivino in gran numero sulle coste di Antalya (gli ucraini, poi, hanno ben altre difficoltà). Lo stesso discorso vale per le esportazioni di prodotti turchi verso questi due paesi. Gli esportatori turchi in questi giorni sono alla disperata ricerca di sistemi alternativi allo SWIFT per i pagamenti.
L’importanza della Russia, però, va anche al di là di tutto questo. A preoccupare il governo e l’opinione pubblica è ugualmente la delicata situazione in Siria e, in modo particolare, ad Idlib. In questa provincia martoriata centinaia di soldati turchi costituiscono una buffer zone e proteggono milioni di profughi dalla repressione del regime di Damasco.
Tuttavia, questi soldati non sono protetti dall’aviazione turca che non può operare nello spazio aereo siriano. Nel febbraio del 2020, 34 soldati turchi, appartenenti ad un battaglione di fanteria meccanizzata, furono vittime di un deliberato bombardamento aereo russo, un episodio che mostra come le truppe turche in tutta la Siria settentrionale siano alla mercè di Mosca.
La Turchia oggi ad Antalya ha sicuramente guadagnato tempo. Ma, nell’eventualità di un confitto prolungato, sarà obbligata a schierarsi più apertamente con l’Ucraina dalle pressioni occidentali e dall’opinione pubblica interna che sembra favorire gli ucraini. Sarà difficile, tuttavia, che la Turchia riceva alcun sostegno sulla Siria, visto che la sua politica è stata apertamente condannata in Europa e a Washington ma, oggi, anche dall’opinione pubblica.
Comunque vadano le cose, infine, i costi della guerra per la Turchia saranno altissimi e provocheranno un ulteriore rincaro dei prezzi. Insomma, quest’ulteriore crisi nella regione ha creato l’ennesimo vicolo cieco per la Turchia.