Sono stati localizzati due siti, che si pensa possano contenere i resti di migliaia di siriani uccisi nei centri di detenzione amministrati dal governo del presidente Bashar Assad durante la Guerra civile.
Una serie di immagini satellitari mostrano lo scavo di nuovi fossati in un luogo che si sospetta ospiti una fossa comune scavata fra il 2014 e il 2016, che copre un’area di circa 4 ettari, a Outayfa, una cittadina a nord di Damasco. Un’immagine del 2019 mostra segni di attività sul luogo, ma nessuna espansione o nuovi fossati. Maxar Technologies, via Google Earth. CNES Airbus, via Google Earth.
Di giorno, gli operai usavano macchinari pesanti per scavare buche e fossati. Col calare delle tenebre arrivavano le salme, a volte arrivavano a centinaia in un solo colpo, stesi su barelle in veicoli militari o in camion frigorifici normalmente destinati al trasporto di derrate alimentari.
Secondo il racconto di due uomini che lavoravano in due fosse comuni in Siria, sotto lo sguardo di ufficiali del controspionaggio governativo, i morti venivano scaricati e poi sepolti in un terreno vicino a Damasco. A volte gli operai vi accumulavano sopra della terra per impedire ai cani di scavare e raggiungere i corpi.
Negli undici anni di guerra civile in Siria, gruppi di attivisti per i diritti umani e disertori governativi hanno documentato la frequente uccisione di civili ad opera delle forze di sicurezza nel tentativo di reprimere qualsiasi opposizione alla dittatura di Bashar al-Assad.
Il New York Times ha raccolto prove che gettano nuova luce su un tenace mistero di guerra: cosa è successo ai corpi di quelle molte migliaia di persone che sono morte o sono state uccise nei centri di detenzione governativi?
I colloqui tenuti per mesi con quattro siriani che hanno lavorato nei pressi o proprio nelle fosse comuni segrete, hanno condotto all’esame di immagini satellitari. Testimonianze e immagini hanno localizzato due siti, che secondo gli uomini che vi hanno lavorato, custodiscono migliaia di corpi, e secondo gruppi di attivisti per i diritti umani probabilmente contengono prove innegabili di crimini di guerra commessi dagli apparati di Bashar al-Assad; crimini che afferiscono alla tortura e all’uccisione sistematica dei detenuti.
“Se la questione dei dispersi e degli scomparsi non viene risolta, non potrà esserci pace in Siria,” ha dichiarato Diab Serrih, cofondatore di un’associazione di ex detenuti della famigerata prigione siriana di Saydnaya che ha lavorato per localizzare le fosse comuni. “Riceviamo quotidianamente chiamate di persone che vorrebbero sapere dove sono i loro figli,” ha aggiunto. Molti di loro dicono, “vorrei solo vedere una tomba per potere depositarvi un fiore.”
Dopo l’inizio della rivolta che è sfociata nella guerra nel 2011, al-Assad ha messo in funzione la sua rete di agenzie di sicurezza per reprimere il dissenso arrestando manifestanti, attivisti e altri dissidenti.
Il dipartimento del tesoro statunitense ha dichiarato l’anno scorso che almeno 14.000 di quei detenuti furono torturati a morte, ma il numero reale è quasi sicuramente molto più alto. Altri 130.000 sono scomparsi nei centri di detenzione, e molti di questi si presume siano morti.
Il governo siriano ha ripetutamente negato di aver ucciso gente tenuta in detenzione. Ma alcuni gruppi per la difesa dei diritti umani hanno ampiamente documentato questa pratica. Un importante corpus di prove è stato prodotto da un fotografo della polizia siriana, nome in codice “Caesar,” che è fuggito dal paese portando con sé l’immagine di 6.000 cadaveri, molti dei quali con evidenti segni di tortura.
Contare e identificare i corpi contenuti nelle fosse comuni sarebbe possibile solo scavando ed estraendoli. Ma ciò è molto difficile che diventi possibile finché al-Assad resta al potere. La Russia, il suo alleato più importante, continua ad appoggiarlo, e lui come i suoi alti ufficiali non hanno mai dovuto rendere conto di atrocità come l’uso di armi chimiche contro i loro stessi cittadini.
Per richiamare l’attenzione su queste atrocità, il Syrian Emergency Task Force, un gruppo di difesa, ha portato questa settimana a Washington uno degli uomini intervistati dal New York Times per farlo conferire con alcuni membri del Congresso e altri personaggi a proposito delle fosse comuni.
Molti corpi di coloro che morirono in detenzione furono inviati in ospedali governativi, dove le loro morti sono state registrate, secondo i report di by Human Rights Watch e altri. I quattro uomini intervistati hanno raccontato cosa succedeva in seguito.
Tutti e quattro gli uomini intervistati lavoravano presso o nelle fosse comuni vicino a Damasco ed ognuno di loro è stato testimone di parte degli sforzi governativi per eliminare i corpi. Due di loro sono ora rifugiati in Germania, uno è in Libano e un altro è rimasto in Siria. Tre di loro hanno mantenuto l’anonimato per tema di ritorsioni da parte del governo siriano.
Il Times non ha potuto in modo indipendente confermare tutti i dettagli dei loro racconti, incluso il numero totale dei corpi che essi affermano di aver visto. E ognuno di loro vide solo una parte delle operazioni governative di tumulazione che, affermano i gruppi per la difesa dei diritti umani, probabilmente sono state ripetute in altre fosse comuni in tutto il paese.
Ma resoconti sono stati sostanzialmente coerenti fra di loro e rispetto ai report di gruppi per la difesa dei diritti umani che hanno documentato numerose morti in stato di detenzione e il trasferimento dei corpi negli ospedali.
Uno degli uomini intervistati ha testimoniato su ciò a cui ha assistito in un processo storico in Germania circa i crimini di guerra in Siria che si è concluso quest’anno con una sentenza di ergastolo per crimini contro l’umanità per un ex ufficiale del controspionaggio siriano.
Egli ha dichiarato di aver lavorato prima della guerra per il governo regionale di Damasco sovraintendendo alle sepolture civili. Verso la metà del 2011, ha detto di essere stato reclutato da elementi dell’intelligence per occuparsi dei cadaveri che dai centri di detenzione finivano negli ospedali. Ha svolto questo lavoro per sei anni presso i due luoghi dove si trovano le fosse comuni.
Ha detto che il primo sito dove si trovavano le fosse comuni in cui la sua squadra ha lavorato, dalla metà del 2011 fino agli inizi del 2013, è stato in un cimitero civile a Najha, una cittadina a sud di Damasco. In un primo momento ha supervisionato alcuni lavoratori che seppellivano un numero limitato di corpi. Ma con il conflitto che si faceva sempre più violento, il numero cresceva, ed egli divenne quello che lui stesso ha definito un ingranaggio nella grande burocrazia della morte.
Gli assegnarono un bus Nissan bianco decorato con le foto di al-Assad, un’uniforme militare e un lasciapassare che gli permetteva di attraversare i posti di blocco. Prima dell’alba trasportava più di una dozzina di lavoratori alle fosse comuni.
Separatamente, grandi camion frigo destinati al trasporto di alimenti portavano i cadaveri dagli ospedali alle fosse. Quando questi arrivavano, la sua squadra si occupava di gettare per terra i cadaveri. Molti corpi presentavano ferite, lesioni ed erano privi delle unghie, ed alcuni erano in stato di decomposizione- indicavano cioè che era trascorso molto tempo dalla loro morte.
Ha detto che non seppelliva lui i corpi, ma sovrintendeva i lavoratori e riceveva documenti dall’ospedale su cui era scritto quanti corpi provenivano da ogni singolo centro di detenzione. Ha registrato quei numeri in un registro del suo ufficio, ma quei documenti non ha potuto portarli con sé quando nel 2017 ha lasciato la Siria.
Ha poi detto che in alcuni momenti durante i sei anni in cui ha lavorato alle fosse comuni, la sua squadra scaricava due camion circa due volte a settimana, ogni camion poteva contenere da un minimo di 150 corpi ad un massimo di 600. La squadra riceveva anche ogni settimana qualche decina di salme dal carcere di Saydnaya, carcere che Amnesty International ha qualificato come carcere macello di esseri umani, un carcere dove la tortura era frequente e i prigionieri venivano spesso uccisi.
Ha continuato dicendo che i corpi provenienti da Saydnaya spesso sembravano appartenenti a persone decedute da poco e ha aggiunto che su alcune salme c’erano segni di corda intorno al collo e ferite da arma da fuoco. A volte gettavano i corpi in fossati e li ricoprivano con della terra. Altre volte accatastavano otto cadaveri in fosse che avrebbero potuto contenerne uno solo.
Le immagini satellitari del cimitero di Najha di quel periodo mostrano tombe che si stanno riempiendo, e un’immagine del 2012 mostra un camion con la parte posteriore rivolta verso le tombe e un altro veicolo nelle vicinanze, probabilmente un autobus.
Durante il processo in Germania all’ex ufficiale dei servizi siriani condannato per crimini contro l’umanità, altre due persone hanno testimoniato al riguardo delle fosse comuni di Najha.
Uno di loro era Eyad al-Gharib, un ex agente siriano condannato l’anno scorso per complicità in crimini contro l’umanità per aver condotto manifestanti che erano stati arrestati in un centro poliziesco noto perché vi si praticava la tortura. Egli ha riferito alla corte che detenuti morti erano sepolti a Najha quando i loro corpi mostravano segni di tortura.
Un altro uomo intervistato dal New York Times era il conducente di un bulldozer che ha lavorato nel cimitero di Najha per sette mesi nel 2012. Ha riferito che agenti del controspionaggio che sovrintendevano alle tumulazioni gli ordinarono di scavare grandi fossi quadrati.
Anch’egli ha riferito di camion frigo che giungevano più di una volta per settimana durante tutto il tempo in cui ha lavorato in quel luogo; portavano centinaia di corpi che i lavoratori gettavano per terra. Egli li ricopriva di terra, ha detto, a volte passandovi poi sopra col bulldozer per comprimerli strettamente e impedire ai cani di dissotterrare i corpi.
Ricordava che l’odore di morte era così forte da farlo svenire.
Una volta arrivarono in un camion, che avrebbe dovuto trasportare gelati, sette cadaveri tra cui quelli di due donne e di un bambino. Quella vista continua a tormentarlo dieci anni dopo in Germania, dove si è rifugiato. “Non posso più mangiare gelati,” ha detto.
Nei primi mesi del 2013, l’uomo che guidava il bus bianco ha dichiarato che il governo aveva iniziato lo scavo di una nuova fossa comune vicino ad una base dell’esercito siriano a Qutayfa, una città a nord di Damasco.
Là, uno scavatore motorizzato scavava fosse lunghe fino a più di 90 metri. Quando il camion frigo arrivava, inclinavano le barelle per far cadere i cadaveri ad un’estremità della fossa. Se restavano bloccati, i lavoratori li trascinavano nella fossa, dove lo scavatore li seppelliva.
Il seguente gruppo di cadaveri veniva messo appena più in là nella stessa fossa, un processo estenuante ripetuto fino al completo riempimento della fossa. Poi, lo scavatore avrebbe scavato un altro fossato.
Basandosi sul suo racconto, il New York Times ha localizzato il sito ed esaminato le immagini satellitari di quel periodo, immagini che mostravano fossati che erano gradatamente riempiti con della terra. Alcuni immagini mostrano uno scavatore sul posto, ed almeno una mostra un autobus bianco.
Walid Hashim un ex soldato che ha prestato servizio a Qutayfa prima di disertare alla fine del 2012, ha identificato quel luogo come una fossa comune. In un’intervista telefonica, ha detto che il sito era un poligono di tiro e dove il governo ha fatto scavare per seppellirvi i corpi di gente deceduta mentre era prigioniera.
L’area è stata strettamente sorvegliata per tenere la gente lontana, ha detto, ma tutti nella base sapevano bene che cosa celasse.
Hashim ha detto che, “Non ne parlavi e non ne chiedevi, ma chi vi aveva lavorato sapeva del cimitero.”
Articolo di Di Ben Hubbard and Marlise Simons pubblicato su The New York Times