Gli eventi delle ultime settimane in Ucraina hanno scatenato da parte degli Stati e delle istituzioni europee una risposta intrisa di indignazione ma anche di doppiezza.
Interessi strategici e vicinanza geografica e culturale hanno fatto la loro parte con il risultato di una mobilitazione per rispondere alle conseguenze immediate della guerra in Ucraina sul territorio europeo e quindi ad una generale rivalutazione dell’accoglienza ai rifugiati a pieni diritti che non è stata affatto riservata ad altri profughi di guerra.
Similmente a quanto stiamo già osservando nei media, anche lo scenario politico europeo si sta armando, in risposta a quella che viene considerata propaganda russa e disinformazione, di parole che diventano anch’esse strumenti di una propaganda che si premura di sfruttare ogni occasione per promuovere la sua visione delle cose. Un linguaggio omologato, che dalle alte sfere politiche sempre più sistematicamente viene adottato nei discorsi ufficiali, negli incontri e nei comunicati stampa.
L’Unione Europea, che si vanta delle sue democrazie e della libertà di stampa, ha di fatto bannato i canali russi Sputnik e RT/Russia Today, anche se i comunicati ufficiali parlano di una “sospensione delle attività di trasmissione” per manipolazione delle informazioni.
Se Putin la chiama una “operazione militare speciale” di risposta, il Presidente del Consiglio europeo Michel e la Presidente della Commissione europea von der Leyen la definiscono ufficialmente in un comunicato stampa una “aggressione militare senza precedenti”, “ingiustificata” e “non provocata”, contro l’Ucraina.
Nel suo discorso al Parlamento europeo, von der Leyen non lascia molto spazio alla diplomazia e riprende le parole del giornale Kyiv Independent: “questa non è una faccenda confinata all’Ucraina ma un vero e proprio scontro tra due mondi, tra due assetti valoriali opposti”, facendone di fatto una guerra tra “libertà democratica” e “autocrazia” e stabilendo così la linea politica e il linguaggio da adottare nella sua istituzione, avendo la Commissione stessa al suo interno una struttura piuttosto gerarchica.
Lo scontro diventa anche linguistico, se politica europea e media sembrano già essersi uniti nell’appello ad utilizzare termini quanto più ucraini e quanto meno russi possibile, come Kyiv al posto di Kiev, per rendere l’Ucraina quanto più “indipendente” non solo come Stato ma anche dal suo passato, e scongiurare una pretesa storica della Russia sull’attuale territorio dell’Ucraina.
Scelte calcolate, dunque, perché definire Donetsk e Lugansk (o il più ucraino Luhansk) come due “regioni autonome” equivarrebbe a legittimarle, piuttosto meglio adottare “aree non controllate dal governo”, o “autoproclamate entità separatiste ucraine”, che evidenzia lo spirito ribelle nei confronti del governo ucraino e l’illegittimità di una volontà indipendente, anche se nel 2014 i separatisti hanno tentato un referendum per l’indipendenza ed una certa autonomia è stata messa al tavolo dei negoziati.
C’è una preoccupazione che però sembra non essere sfuggita rispetto ad un’aspra retorica anti-Russia può provocare: la creazione di una macchina dell’odio verso i russi tutti e la conseguente ostilità verso la cultura russa, con tanto di boicottaggio. La scelta di riferirsi alla guerra “di Putin” piuttosto che ad una guerra “russa”, Putin’s war invece di Russian war, va in questa direzione.
Saper riconoscere le scelte della sfera di influenza europea, del resto fortemente legata agli Stati Uniti, non significa automaticamente essere “pro-Putin”. Al di là degli schieramenti in bianco e nero e di una neutralità illusoria, poiché tutti siamo più o meno consapevolmente attori e spettatori di una narrativa, l’importanza di saper leggere le parole è chiave per navigare attraverso media e politica senza uscirne prodotti omologati di una visione semplicistica e politicizzata della storia.