I Rondoni è l’ultimo romanzo di Fernando Aramburu, quasi settecento pagine che mi hanno fatto compagnia per più di un mese, e di cui ho sentito la mancanza una volta finalmente letta l’ultima pagina.
Un lungo e un po’ estenuante racconto; la vita di un certo Toni, -con tutta probabilità un alter ego dell’autore- , del suo mondo, delle persone che gli ruotano attorno; della sua famiglia di origine: il padre, uno strano tipo di comunista egocentrico e autoritario, la madre sottomessa al marito ma senza amore, e un fratello da lui male amato. E poi, la famiglia che si è formato da adulto: la moglie Amalia e il figlio Nikita. Altri personaggi, indispensabili allo svolgersi delle pagine, completano il quadro narrativo; sono il suo unico amico Bellagamba, -Patachula nell’originale spagnolo-, e una donna che da sempre ama Toni non ricambiata, Àgueda; non bella, non attraente, priva di ogni attrattiva erotica, però positiva, in possesso di un’anima amorevole e di un desiderio inappagato di trovare qualcuno su cui riversare il suo amore.
A dare calore e senso alle giornate di Toni, c’è di fatto solo Pepa, una cagnetta di razza non definita, le cui sembianze sono lasciate all’immaginazione del lettore, che sembra l’unico essere in grado di alleviare il terribile spleen esistenziale che accompagna la vita del protagonista; a essere precisi forse non l’unica, perché c’è anche una bambola in silicone a grandezza naturale di nome Tina che, come dichiara il protagonista, è in grado di dargli una vita sessuale intensa ed appagante. Sic.
Toni è un intellettuale, un professore di filosofia con la casa piena di libri, con un matrimonio fallito alle spalle; sua moglie Amalia, donna tanto bella e superficialmente attraente quanto umanamente e intellettualmente insignificante, lo ha lasciato per un’altra donna. Quanto fu profetico il senator Fanfani quando ai tempi del referendum sul divorzio del 1974 vaticinò la moglie in fuga con la cameriera, ma questo è un altro discorso.
Dal suo matrimonio con Amalia è nato un unico figlio che ha tradito tutte le sue aspettative, diventando un adulto piuttosto grossolano, leggermente ritardato, attratto dal denaro, senza qualità particolari, però Toni a quel figlio in fondo vuol bene.
I Rondoni è il libro il cui protagonista principale è un ateo dichiarato, anzi più che un ateo direi un nichilista. Dice infatti di se stesso: Non sono cattolico, non sono marxista, non sono nulla, solo un corpo con i giorni contati come tutti. Se la prende poi con Spinoza perché, nonostante tutto, crede in Dio, lo perdona solo perché è un uomo del XVII secolo, quindi non intelligente e illuminato come noi moderni: [Spinoza] concepisce l’uomo separato da Dio e questo mi infastidisce; quantunque sia stupido da parte mia esigere un certificato di ateismo da un europeo del XVII secolo per quanto fosse un razionalista e avesse criticato la stessa idea di Dio. Dio è la ragione principale per cui l’uomo non ha raggiunto la maturità.
E ancora, commenta così il suo incontro con un uomo anziano che ancora si appassiona alla vicenda dell’indipendenza catalana: credo che a molti spagnoli bisognerebbe insegnare che la morte significa la fine di tutto.
La visione della vita che lo pervade è una visione assolutamente disperata e disperante, un ateismo tetragono senza neppure un barlume di luce, impermeabile anche al più che legittimo sospetto che la vita abbia un creatore e, per quanto misterioso, un senso; ed infatti tema conduttore delle pagine del romanzo è un cupo progetto di suicidio del quale Toni ha fissato la data in un mese di un luglio prossimo venturo. Il romanzo è diviso infatti in dodici lunghi capitoli, ognuno dei quali porta il nome di un mese; da agosto a luglio, dodici mesi, un anno che scorre verso il progettato suicidio. Così Toni, in questo supportato dal suo amico Bellagamba che intende compiere lo stesso gesto, come il Kirilov dei Demoni di Dostoevskij, pensa al suicidio come estremo gesto di libertà di fronte al nulla e all’insensatezza del mondo e della vita.
Tuttavia Toni in fondo è un essere umano al quale a ben vedere nulla di davvero essenziale è mancato, la sua vita come quella di altri milioni, miliardi di esseri umani. Ha avuto una famiglia, quella di origine, certo non perfetta ma nemmeno completamente, come si dice oggi, disfunzionale. Ha potuto andare all’università e conseguire una laurea in filosofia, ha trovato lavoro nella scuola come insegnante di filosofia, professione che ha esercitato senza particolare slancio, ma senza neppure soverchi problemi. Ha sposato la donna di cui si era innamorato, e da lei ha avuto un figlio. Con tutti i limiti e la banalità della sua vita, potrebbe, non dico esserne appagato, ma perlomeno accettarla.
Aramburu è senza dubbio un grande narratore. Patria, libro scritto nel 2016 è un capolavoro che ha per tema principale la guerra civile che ha per decenni insanguinato il paese basco; cinque anni dopo ha scritto con I Rondoni un romanzo completamente diverso per tema e per contenuti. Personalmente, per quel che può contare, li ho amati entrambi. I Rondoni mi ha spesso irritato per il nichilismo che lo pervade, nichilismo che però a pensarci bene in fondo si stempera, si stempera negli uccelli che danno titolo al libro, che appaiono volando alto nel cielo qui e là nelle sue pagine, quasi a testimoniare che si può volgere lo sguardo in alto, che non tutto quaggiù è fango e cupezza.