Macron e la triste abitudine al male minore

Come dev’esser triste uscire da casa, recarsi al seggio, mettere una x su un volto detestato e sapere che il giorno seguente nulla cambierà. Eppure non c’era scelta. Certo, eleggere significa scegliere, elevare ma col tempo ha finito con l’assumere un significato soltanto: evitare.

E così la Francia ce l’ha fatta ancora! Per la seconda volta consecutiva la patria della libertà, dell’uguaglianza e della fratellanza si è mostrata matura e responsabile perché ha evitato il Grande Male. Applausi, paese salvo, Europa Salva, il mondo può continuare a procedere felice. Eppure c’è qualcosa che torna, che ostinato, inevitabile continua a presentarsi ad ogni occasione. Quella francese, infatti, non è un’eccezione. Tutte le grandi scelte politiche degli ultimi decenni sono rette da un unico principio democratico: evitare il male. Che sia Le Pen, Berlusconi, Trump, estrema Destra, estrema Sinistra o le altre, infinite sfumature della parodia di un male che non esiste più, il risultato non cambia: dire sì a qualcosa di vago, di odioso, perfino di oscuro a costo di contrastare la reincarnazione di un vecchio incubo, cioè il colore nero del fascismo-nazismo, della peste, degli stranieri, della guerra.

Se l’opinione pubblica è ammalata di paura, la democrazia diventa allora il terreno della necessità. Non c’è più spazio per la scelta. Ne sa qualcosa l’Italia, maestra della democratica espressione di un no travestito da sì. Altro che progetti, idee, visioni, costruzioni. L’unica volta che il popolo si è illuso di esprimere una vera preferenza, è stato un vaffanculo gridato, che nel giro di pochi mesi si è tradotto in una presa per il culo sublime. Ma il meccanismo va oltre l’elezione.

Che dire dell’ultima guerra scoppiata? L’unica cosa che oggi bisogna davvero temere, così rappresentata: da una parte un nemico folle, un macellaio immaginato con i baffetti da dittatore e dall’altra parte un simpatico commediante pop, virtuoso e resistente. Non c’è scelta allora: bisogna mantenere in vita una guerra, con doni di armi, bollettini di multe che alla fine si ritorcono contro tutti.

Contro le vittime destinate ad aumentare e contro noi, spinti a percepire la realtà come un fumetto retto da eroi mentre ne paghiamo le enormi conseguenze economiche. E spingiamoci fino al più nero dei mali, che non ha più a che fare con la biografia ma con la biologia. Come tanti supereroi gobbi e rincoglioniti, siamo stati capaci di alternare clausura e miliardi riversati in beneficienza sociale e tane laboratoriali, piuttosto che affrontare in maniera adulta e soprattutto programmatica un nemico virale.

Gli esempi potrebbero procedere all’infinito per poi tornare in Italia, dove chi beneficia di questa lotta contro il Male oscuro e assoluto, è un partito che da anni nessuno vuole più, capace di suscitare un sentimento che sta a metà tra il ribrezzo e lo sfinimento; eppure nelle vesti di minore dei mali, sta sempre lì, davanti a tutti a guidare lo stanco carro della politica. E se non ce la fa da solo, dov’è il problema? Uno squillo e si chiama un tecnico, un idraulico o un elettricista della finanza, per riparare il guasto e lasciar correre incontrastato il male minore.

Uno scenario non troppo distante dall’illuministica e rivoluzionaria Francia, dove uno dei Presidenti più detestati della storia repubblicana, che ha vissuto cinque anni sull’orlo di una perenne protesta sociale, che non ha saputo elaborare una propria politica sanitaria e si è perfino fatto sbeffeggiare fino all’ultimo da Putin, uno che alle spalle non ha nemmeno la forza o il peso di un partito e di una tradizione, si ritrova a governare dieci anni non perché veramente scelto, ma in quanto chiave di volta da girare per evitare il Grande Male.

Allora sorge una questione. Ma siamo sicuri che il vero, grande Male sia quello visibile e pubblicizzato? Oppure un po’ di storia qua e là dovrebbe insegnarci l’esatto contrario? Che, evitato il grande abisso, leggera riprende la pratica di un’acuta sodomia politica quotidiana. Forse sotto sotto il colore nero fa comodo per portare avanti, promuovere un bianco che sa di sciattezza, di pallore, di laido potere e cadaverica vecchiaia. Bianco come l’insieme visibile e invisibile di una classe dirigente, che si muove secondo poche e semplici linee direttrici liberali: più privatizzazioni, meno Stato Sociale, neoglobalizzazione travestita da finta ecologia, impero digitale; in sintesi, il definitivo regno della produttività tecnica.