Il Ramadan 2022 sta giungendo a termine e, con esso, la singolare esperienza di digiuno diurno cui molti musulmani si sottopongono. La pratica del digiuno è ancestrale e trasversale se non proprio a tutte le culture (difficile verificarlo) alla maggior parte di esse.
Troviamo forme di digiuno nello stesso mondo animale, legate ad un istinto di guarigione e utilizzate per far fronte a diversi malesseri.
Lanfranco Rossi (1955-2015), docente presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma e presso il Pontificio Istituto Orientale scrive nel suo testo I filosofi greci padri dell’esicasmo (Leone Verde, Torino, 2000):
“Nella Grecia antica al digiuno e alle astinenze veniva attribuito valore di purificazione e, talvolta, antidemoniaco; in particolare la pratica del digiuno poteva essere veicolo di entrata in una condizione di tensione profetico-sciamanica, come risulta da numerosi riferimenti presenti in scritti filosofici. Per Epitteto, portavoce di una concezione di vita che anima tutta la tradizione filosofica, l’astensione dal cibo è uno degli indicatori fondamentali per verificare se uno è filosofo solo a parole o nella realtà”.
(Lanfranco Rossi, I filosofi greci padri dell’esicasmo, pp. 83-84)
La pratica del digiuno era particolarmente valorizzata presso i Cinici — che si richiamavano ad un ideale di temperanza (enkrateia) e di rinuncia a tutto ciò che non era strettamente necessario per vivere — e presso gli Stoici per i quali l’eudaimonia, la felicità, consisteva nella capacità di vivere una vita del tutto razionale che non venisse turbata da emozioni e capricci.
Nel mondo antico le virtù del digiuno venivano riconosciute, oltre che nell’ambiente filosofico, anche in quello medico come attesta il conciso detto latino: Abstinentia totum corpus aequaliter purgat.
Considerando ora le tradizioni religiose, in particolare quelle afferenti alla cosiddetta “tradizione abramica”, il Giudaismo prevedeva (e per gli ebrei osservanti prevede ancora) circa ventiquattr’ore di digiuno obbligatorio in occasione della festa dell’espiazione, il giorno di Yom Kippur. Questo comincia al crepuscolo del decimo giorno del mese ebraico di Tishri (che cade tra settembre e ottobre del calendario gregoriano) e continua fino alle prime stelle della notte successiva.
Tuttavia, scrive il benedettino tedesco Anselm Grün in Digiunare per il corpo e per lo spirito (San Paolo Edizioni, Milano, 2003), “in segno di devozione i giudei digiunavano anche due volte alla settimana, al lunedì e al giovedì. Così facevano ancora i farisei del vangelo (Lc 18,12). Ma in occasioni importanti o in tempi di sciagure venivano indetti dei pubblici digiuni per implorare l’aiuto di Dio”.
L’uso di digiunare due volte a settimane, scrive sempre Anselm Grün, viene ripreso anche dalla Chiesa primitiva che, tuttavia, sceglie le giornate di mercoledì e venerdì per ricordare la cattura e la crocifissione di Gesù.
Giunse presto la tradizione di digiunare in preparazione alla Pasqua, “al principio soltanto da uno a tre giorni, poi per tutta la settimana santa e, dalla fine del terzo secolo, per quaranta giorni”.
Il digiuno completo, tuttavia, era richiesto solo per i due giorni precedenti la Pasqua mentre nei digiuni settimanali del mercoledì e del venerdì e in altri casi si digiunava fino all’ora nona (le tre del pomeriggio) oppure, come prescritto dalla regola di San Benedetto, fino a sera.
La pratica del digiuno si intensifica, nel mondo cristiano, con l’irruzione dei fenomeni dell’eremitismo, dell’anacoretismo, del cenobitismo fino al monachesimo.
Era pratica comune presso gli eremiti e i monaci non solo digiunare di frequente (c’era, tra di loro, chi mangiava ogni due giorni o, soprattutto nei periodi prescritti, solo il sabato e la domenica) ma anche mangiare in maniera molto frugale, rinunciando alla quasi generalità dei prodotti di origine animale ed al vino:
“La loro alimentazione abituale era fatta di pane, sale e acqua, insieme a legumi, cavoli, verdure e frutta secca, come datteri e fichi. “Gli eroi dell’ascesi monastica preferivano cavoli crudi e verdure cotte. Una frittata di verdure era già un piatto da festa””.
(Anselm Grün, Digiunare per il corpo e per lo spirito, p. 10)
Non a caso tesse ampie lodi del digiuno Atanasio di Alessandria che visse a lungo nel deserto con il proprio maestro Antonio Abate (considerato il fondatore del monachesimo cristiano) di cui scrisse la celebre biografia.
Anselm Grün riporta la seguente citazione di Atanasio:
“Vedi dunque cosa fa il digiuno! Guarisce le malattie, libera il corpo dalle sostanze superflue, scaccia gli spiriti maligni, espelle i cattivi pensieri, dà allo spirito una più grande chiarezza, purifica il cuore, spiritualizza il corpo, in una parola fa accedere l’uomo dinanzi al trono di Dio…Grande forza è il digiuno, e porta a grandi vittorie!”
(Anselm Grün, op. cit., p. 17)
Padre Guidalberto Bormolini, dell’ordine dei Ricostruttori nella preghiera, laureato alla Pontificia Università Gregoriana in Antropologia teologica, intervistato a lungo da Mario Lancisi nel testo Questo tempo ci parla (TS Edizioni, Milano, 2022), si sofferma sulla figura di Basilio Magno — dottore della Chiesa e redattore della regola monastica precedente a quella di San Benedetto — che aveva intuito che il dominio della gola, ottenuto con il digiuno periodico, poteva aiutare a tenere sotto controllo anche le passioni bellicose, apportando potenzialmente cruciali cambiamenti sociali.
Sappiamo difatti che la pratica del digiuno ha avuto un suo ruolo non trascurabile nell’ambito dei movimenti non violenti, divenendo un’efficacia pratica militante con il Mahatma Gandhi, in India.
Oltre ad aver letto il libro-intervista a Guidalberto Bormolini ho avuto modo di intervistarlo per quest’articolo.
Parlando della pratica del digiuno nelle diverse tradizioni, Padre Guidalberto si è soffermato sul suggestivo concetto di “creazione del corpo di luce”, presente tanto nella cultura islamica (ne parla, in particolare, Henry Corbin) quanto nella mistica cristiana (l’argomento viene, ad esempio, trattato nella Filocalia, il manuale della meditazione cristiana).
Del resto è stato storicamente studiato, ad esempio dall’autrice inglese Margaret Smith, l’influsso reciproco tra monachesimo cristiano e Sufismo antico. Un fenomeno che non solo, mi diceva Padre Guidalberto, è del tutto credibile ma che oggi può servire come valida fonte di ispirazione “per muovere nella direzione di un’alleanza tra le mistiche delle religioni del libro che sono immediatamente compatibili, senza dimenticare altre importanti tradizioni religiose, con uno sguardo rivolto ad Oriente”.
“La preparazione del corpo di luce”, riprendeva Padre Guidalberto, “che è dono di grazia ma viene predisposta da ascesi, preghiera, meditazione e dalla recita dell’invocazione del nome divino, non omette mai il digiuno che, tuttavia, come tutte le pratiche ascetiche, deve essere mosso da carità, da amore, per cui è molto importante, nella tradizione di tutti i popoli, il fatto che digiunare, comportando un risparmio di beni, dovrebbe renderci più generosi con i più poveri, i più fragili, con gli ultimi e i dimenticati”.
I membri dell’ordine dei Ricostruttori nella preghiera digiunano regolarmente due giorni al mese, dedicando alla preghiera il tempo liberato dalle incombenze alimentari e praticano, ogni anno, una settimana di digiuno integrale nel loro monastero di Prato.
La settimana di digiuno (e di meditazione e preghiera) è aperta anche a partecipanti esterni che possono dunque beneficiare di una pratica integrale, di cura del corpo, della psiche e dello spirito.
A parere di Padre Guidalberto la pratica del digiuno andrebbe ri-attualizzata nella chiesa di oggi, potendo anche offrire una risposta alla crescente ricerca di stili di vita sani, sobri ed ecologici da parte di giovani e meno giovani.
“Le religioni”, sostiene Padre Guidalberto, “custodiscono un patrimonio di conoscenze e di pratiche che oggi la scienza sta scoprendo essere veramente efficaci (negli ultimi anni si sono difatti moltiplicati gli studi sulla validità di diverse forme di digiuno) e sarebbe bello sviluppare un dialogo con il mondo moderno proprio rinnovando il patrimonio antico delle religioni, non appiattendo le religioni alla modernità”.
Venendo al digiuno nel mese di Ramadan, Padre Guidalberto ne ha fatto esperienza in Egitto, alcuni anni fa, nel corso della stagione calda.
Riporto di seguito alcuni suoi commenti:
“Stando alla mia esperienza (ho digiunato l’intero mese di Ramadan, come prescritto ai fedeli musulmani) posso attestare che è veramente un esercizio ascetico che non va svilito dalla banalizzazione che si sente fare da alcuni cittadini occidentali. La sera, dopo il tramonto, mi ritrovavo in confraternite sufi a condividere il momento della preghiera e della rottura del digiuno ed è stato molto commovente, intensissimo. Anche per l’ospitalità che mi è stata riservata. Mi ricordo in particolare delle sere passate con membri di una confraternita nel cimitero del Cairo; persone di una devozione per il Dio unico veramente toccante, non la dimenticherò mai…quegli occhi lucidi di amore per Dio, la loro accoglienza…sono stato davvero trattato come un fratello, nella chiarezza, nella limpidezza (ho sempre dichiarato di essere cristiano ma amico dei fratelli musulmani) e devo dire che quei volti, quegli sguardi, quella luce negli occhi che ho visto in quelle sere mi accompagneranno per il resto della mia vita”.
Avvicinandoci alla conclusione dell’intervista, chiedo a Padre Guidalberto (attivista vegetariano, lo stesso ordine dei Ricostruttori nella preghiera segue la dieta vegetariana) un commento in merito alla necessità di ridurre il consumo di carne, in particolare durante il mese di Ramadan, per muovere verso un Islam maggiormente rispettoso dell’ambiente. Lui propone una riflessione di cui credo si possa far tesoro:
“Quello dell’alimentazione carnea è un tasto molto delicato. Sicuramente i cibi hanno un alto valore simbolico e penso che questo incida molto, presso certi popoli e certe tradizioni, sulla refrattarietà a ridurre il consumo di carne ma c’è un atto coraggioso cui ci possiamo sentire chiamati. Siamo tutti, difatti, chiamati alla sottomissione a Dio e al suo progetto e mi sembra di capire, leggendo l’Antico Testamento, che il progetto divino originario fosse quello di un totale rispetto per la vita. La rinnovata sensibilità ecologica ci può permettere di entrare in una fratellanza di tutti gli esseri viventi. Non va condannato il passato di alimentazione carnea ma, in nome di questa fratellanza universale, possiamo provare ad avere un rapporto più profondo con il creato che non è più qualcosa da sfruttare ma la bellezza divina messa al servizio dell’uomo in quanto tale e non in quanto oggetto e cibo.”
Avvicinandoci alla festa del sacrificio, credo la consapevolezza dell’universalità della pratica del digiuno possa aiutare anche i più reticenti a valorizzare l’astensione da acqua e da cibo durante il mese di Ramadan. La stessa universalità la possiamo ritrovare nell’esperienza egiziana di Padre Guidalberto, di condivisione del digiuno e della rottura serale dello stesso con i “fratelli musulmani”. Una condivisione che, in tempi dilaniati da guerre efferate e fratricide, può aiutarci a guardare nella direzione di quella profezia sociale che — pur a fronte di inevitabili differenze teologiche — accomuna tutte le grandi religioni e che rappresenta oggi una delle poche ancore di salvezza a nostra disposizione.
Forse il nostro futuro dipenderà proprio dalla capacità di lavorare insieme sotto l’ombrello di una comune profezia sociale, implementando una cultura di collaborazione tra le grandi tradizioni religiose, nel rispetto reciproco delle diverse prospettive teologiche.