Fedeli hindu in processione per celebrare il compleanno della divinità Hanuman si sono fermati fuori da una moschea e hanno iniziato a gridare Jai Shree Ram. Poco dopo alcuni membri del corteo hanno tentato di fare irruzione all’interno del luogo di culto islamico.
Jahangirpuri è un quartiere dove vivono hindu e musulmani nella parte nord-occidentale di Nuova Delhi, la capitale indiana. La sera del 16 aprile, mentre i residenti musulmani si stavano preparando per la rottura del digiuno nel corso del mese di Ramadan, una folla di fedeli hindu che celebrava il compleanno della divinità Hanuman si è fermata fuori da una moschea e ha iniziato a gridare Jai Shree Ram, in onore alla divinità Rama, divenuto ultimamente un grido di guerra per i nazionalisti hindu.
Testimoni oculari affermano che alcuni membri del corteo hanno tentato di irrompere all’interno della moschea e che i musulmani hanno, di conseguenza, opposto resistenza. Gli scontri si sono sviluppati con lanci di pietre e incendi dolosi. La polizia ha successivamente affermato che quattro veicoli sono stati dati alle fiamme e otto persone, tra cui sette poliziotti, sono rimaste ferite nei disordini. Almeno 25 persone sono state finora arrestate, la maggior parte delle quali sono musulmani.
Quello che è successo a Jahangirpuri è stata una delle numerose rivolte di massa che hanno sconvolto parti dell’India nelle ultime settimane, in coincidenza con il mese sacro del Ramadan. Hanno seguito tutte lo stesso schema: processioni hindu hanno marciato nei quartieri musulmani scandendo slogan pieni di odio mentre i partecipanti, vestiti di zafferano – un colore che è diventato il simbolo dell’estremismo hindu – brandivano spade e fucili. In alcuni luoghi hanno innalzato bandiere hindu in cima ai minareti delle moschee. Le provocazioni hanno generalmente portato a scontri. Risultato: distruzione, vandalismo, incendi, feriti e persino morti.
La violenza di massa non è una novità in India ma ciò che, in questo caso, è più preoccupante è stata la risposta della polizia e delle autorità civili. In primo luogo, la polizia è accusata di aver permesso alla folla di attaccare. In secondo luogo, assistiamo ad una penalizzazione ulteriore degli aggrediti in quanto la maggior parte degli arrestati sono musulmani.
Inoltre, negli Stati governati dal partito Bharatiya Janata del primo ministro Narendra Modi, si sono verificati episodi di giustizia sommaria (in cui erano coinvolte anche alcune autorità locali) ai danni di musulmani accusati di indulgere alla violenza: le loro case e negozi sono stati rasi al suolo. Ad esempio, il 10 aprile, dimostranti hindu hanno preso di mira alcuni musulmani e le loro case durante una processione in un quartiere musulmano nel distretto di Khargone, nel Madhya Pradesh. Il giorno successivo l’amministrazione civile, con il supporto della polizia, si è mossa con dei bulldozer e ha demolito proprietà nei quartieri musulmani.
I funzionari hanno difeso quest’azione repressiva sostenendo che si trattava di strutture costruite illegalmente, occupando strade e suolo pubblico. Ma politici e attivisti dell’opposizione hanno affermato che la demolizione era discriminatoria e repressiva nei confronti dei musulmani. Difatti il ministro che sovrintende all’ordine pubblico nello stato ha dichiarato ad una televisione indiana: “Se i musulmani compiono tali attacchi, non dovrebbero aspettarsi giustizia”.
Demolizioni simili sono state effettuate anche in altri stati colpiti da sommosse, ad esempio in Gujarat e a Delhi. Tutto ciò ha suscitato una massiccia indignazione pubblica e la Corte Suprema, ad aprile, ordinando alle autorità di Delhi di mantenere lo status quo, è riuscita a porre un parziale argine.
I funzionari hanno affermato che stavano intervenendo contro costruzioni illegali ma questo ha sollevato delle perplessità presso alcuni esperti legali che affermano che tali iniziative non possono essere prese a seguito di rivolte e che è, piuttosto, necessario seguire un giusto processo prima di usare i bulldozer.
Ashar Warsi, un avvocato che sta assistendo, presso l’Alta Corte di Indore, alcune vittime di queste azioni repressive ha definito le demolizioni effettuate dal governo “totalmente illegali”, “ingiuste”, “arbitrarie” e “volte a reprimere una particolare comunità”, quella musulmana.
“Le demolizioni che vengono eseguite ripetutamente non sono volte a difendere la legge o a tutelare il bene pubblico (sappiamo che l’India non ha mai brillato in questo senso), ma hanno un valore intimidatorio, lasciando intendere che il governo o l’amministrazione agiranno a proprio piacimento contro eventuali oppositori”, ha dichiarato Warsi a The Muslim Vibe.
Asaduddin Owaisi, il principale politico musulmano del Paese, ha definito le demolizioni una “violazione delle convenzioni di Ginevra”.
Nel momento apicale delle violenze anti-islamiche, una coalizione di 13 partiti di opposizione ha prodotto una dichiarazione congiunta, dai toni piuttosto accesi, di esplicita condanna delle gravissime provocazioni operate dagli estremisti hindu. Nella stessa dichiarazione vengono sollevati dei dubbi sul silenzio di Modi che confermerebbe il sospetto che gli estremisti godano del “patrocinio ufficiale”. La dichiarazione ha inoltre accusato il governo di utilizzare questi eventi di violenza di massa per “polarizzare la società civile indiana”.
Traduzione di articolo pubblicato su Muslim Vibe da Zafar Aafaq