In questo periodo in cui la tempesta covid19 sembra stia dando un attimo di respiro, abbiamo ritenuto che fosse il momento adatto per fare una epicrisi di ciò che è successo in questi ultimi due anni dal punto di vista della comunicazione di massa. A tal fine abbiamo chiesto aiuto a David Conversi, Ph.D., Professore associato presso il Dipartimento di Psicologia della Sapienza, Psicologo – Psicoterapeuta cognitivo-comportamentale e docente di psicobiologia nel medesimo ateneo.
Il Prof Conversi nel suo intervento pubblico, nell’ambito del congresso nazionale dell’associazione “ContiamoCi!” tenutosi il 7 e 8 maggio scorso a Bergamo, ci ha colpito per la chiarezza dell’analisi sistematica delle varie fasi della comunicazione durante la pandemia, per cui abbiamo voluto approfondire alcuni aspetti del suo interessante discorso.
Professore, nella sua analisi della comunicazione avvenuta durante la pandemia Lei ha descritto almeno tre fasi distinte. La prima, la rassicurazione o minimizzazione di ciò che stava accadendo, lo “Start” del panico con l’introduzione immediata di tutto un lessico “pandemico” specifico, successivamente la fase dell’ “andrà tutto bene” ma anche del “niente sarà più come prima”, con le prime ricadute psicologiche individuali, ed infine l’inizio di un vero e proprio terrorismo mediatico, come momento di manipolazione psicologica, secondo la logica dello spaventare per persuadere.
Chi studia psicologia può facilmente intravedere, dietro alla comunicazione mass-mediatica ansiogena e martellante che ha caratterizzato il periodo pandemico, un’intelaiatura di “tecniche” di persuasione e modificazione del comportamento, le cui basi scientifiche sono rintracciabili, senza troppo sforzo, nella letteratura specialistica e anche in documenti pubblici dell’OMS. Queste tecniche sfruttano, ad esempio, l’induzione strategica di paura nelle persone (”fear appeals”) e l’incentivazione mirata dei comportamenti.
Come già ho affermato altrove, infatti, la comunicazione pandemica, più che informare, sembra aver voluto “stimolare” specifiche riposte nella popolazione. Tra queste riposte troviamo l’adesione incondizionata alle richieste del governo, declinata prima in termini di osservanza di restrizioni di dubbio valore sanitario (es. lockdown e mascherine), poi di trattamento ripetuto con farmaci sperimentali chiamati impropriamente vaccini, infine di partecipazione acritica a un sistema di “credito sociale” basato sull’identità digitale, di cui il green pass è l’insidiosa anticamera.
La pericolosa polarizzazione sociale tra “vaccinisti” e “no vax”, senza la possibilità di posizioni intermedie, più che un evento imprevisto, può essere letta come conseguenza attivamente ricercata, orientando la comunicazione mass-mediatica, dai decisori politici. A che scopo? Intimidire e marginalizzare quella minoranza di persone consapevoli che ha capito che si sta usando la pandemia come volano per imporre in modo tecnocratico profonde trasformazioni sociali globali.
Professore, ma come è potuto accadere che la maggioranza della popolazione sia invece caduta nella rete della paura?
In realtà, si capisce facilmente, se consideriamo un fatto fondamentale: noi tendiamo a sopravvalutare le capacità “razionali” della nostra mente che invece sono piuttosto limitate, sia perché soggette a “colli di bottiglia” inscritti nella nostra architettura neuro cognitiva, sia per l’interferenza degli stati emotivi. Nel loro complesso, questi fattori determinano distorsioni cognitive sistematiche, o bias, ben note agli psicologi, che rendono difficile, ad esempio, il ragionamento deduttivo e la stima della probabilità di eventi, soprattutto in condizioni di allarme. Nella maggior parte dei casi, infatti, la nostra mente valuta e decide in modo intuitivo seguendo “scorciatoie cognitive”, conosciute nella letteratura specialistica come “euristiche”.
Le euristiche sono processi cognitivi, veloci e a basso sforzo che permettono di prendere decisioni in situazioni la cui complessità o urgenza eccede le capacità di analisi accurata, lenta e controllata, dell’informazione disponibile. Faccio degli esempi: la facilità con cui rievochiamo alla mente un caso di Covid grave, o peggio fatale, di cui si è fatta esperienza diretta o che ci è stato riportato da fonti ritenute affidabili, porta spesso a una sovrastima della probabilità di ammalarsi e morire di Covid. La facilità di rievocazione si traduce così, indebitamente, in una “stima” di probabilità, che risulta del tutto infondata. La credenza nella validità predittiva di tale stima, inoltre, può essere mantenuta a dispetto di evidenze contrarie per la natura “confermazionista” della mente umana, che mantiene credenze iperprudenziali soprattutto quando teme esiti catastrofici (“better safe, than sorry“). Questo, ad esempio, spiega benissimo perché tanti operatori sanitari che hanno lavorato nei reparti COVID sono refrattari a qualsiasi messa in discussione della narrazione mainstream.
Si tratta di meccanismi ancestrali, automatici, veloci e a basso sforzo, ma proprio questo soggetti ad errore, che si sono evoluti per aumentare le probabilità di sopravvivenza in caso di pericolo e non per analizzare correttamente numeri e grafici e astratte probabilità. L’operato di questi meccanismi prevale, dunque, su qualsiasi dato statistico, soprattutto in condizioni di allarme. Si capisce dunque che chi conosce questi meccanismi, può sfruttarli per manipolare le persone, ad esempio mantenendo artificiosamente uno stato di allarme, con l’esposizione continua a news e immagini ansiogene e fornendo un’unica, semplice raccomandazione salvifica: il vaccino. Per questo non si doveva lasciare spazio mediatico alle alternative terapeutiche, anzi si doveva demonizzare chi le proponeva e chi, nel segreto della sua relazione terapeutica col paziente, poteva farlo ragionare: i medici e gli psicologi. Quale motivazione sanitaria altrimenti può giustificare la sospensione anche dalla possibilità di svolgere la psicoterapia da remoto?
Un altro vincolo alla capacità umana di elaborare l’informazione è evidente nel fenomeno della cosiddetta “cognizione motivata”. La mente umana non è un elaboratore “neutrale” di informazioni; essa al contrario appare “interessata” a mantenere alcune credenze a dispetto dell’evidenza contraria, ad esempio, svalutando come eccezioni i dati di realtà che sembrano contraddirle, vuoi perché sottoporle a revisione creerebbe uno stato di destabilizzante “dissonanza” cognitiva, vuoi perché tali credenze hanno acquisito una funzione “identitaria” (“appartengo alla mia comunità”), di protezione dell’autostima (“sono un bravo cittadino”) e di regolazione emotiva (“il governo opera solo per il mio bene”).
Un altro fenomeno tipico della mente umana e animale che molto probabilmente è stato sfruttato deliberatamente dalla comunicazione di massa sul vaccino è il cosiddetto delay discounting, il fenomeno per cui preferiamo piccole ricompense nel “qui e ora” piuttosto che ricompense più grandi nel futuro, il cui valore, appunto, viene “scontato” secondo una precisa funzione matematica. Questo è il fenomeno per cui, per esempio, chi fuma preferisce fumarsi una sigaretta ora, che non ridurre la probabilità di avere il cancro in un lontano futuro, evento troppo astratto questo, difficile da rappresentare e anzi ansiogeno, quindi attivamente ricacciato nel subconscio.
Traslato sul vaccino, la comunicazione ha incentivato il prendere il vaccino subito, rassicurandosi di non finire “intubato” e di essere un “bravo cittadino”, piuttosto che preoccuparsi di astratti e difficilmente rappresentabili effetti collaterali futuri. Poco importa se la maggior parte dei tri dosati ha poi preso e trasmesso ugualmente il Covid, spesso più dei non vaccinati e con sintomi più gravi, facendo apparire ridicola l’affermazione di Mario Draghi “Non ti vaccini, ti ammali, muori o fai morire” e la presunta funzione sanitaria del green pass. Meglio l’uovo oggi che la gallina domani, insomma.
Va da sé che una comunicazione di massa orientata a incentivare sistematicamente e in modo sinergico tutti questi processi, ne ha amplificato notevolmente gli effetti, sia a livello individuale, producendo, ad esempio, esiti psicopatologici (es. ansiosi, depressivi, ipocondriaci e traumatici), che psicosociale, alimentando pericolosi processi di conformismo di massa e antagonismo maggioranza-minoranza.
Ecco qui tocca un punto importante. Chi sarebbe il mandante di tutto ciò?
Io sono per prima cosa uno scienziato e come tale ho il dovere di fare delle ipotesi da sottoporre a verifica empirica. La fase generativa delle ipotesi, tuttavia, precede quella della verifica e spesso parte da semplici intuizioni. Le mie ipotesi sul carattere strumentale della comunicazione di massa per fini politici più che sanitari, trovano conforto, da un lato nella sistematicità e omogeneità del comportamento dei mass-media a livello globale, dall’altro nell’esistenza di una documentazione scientifica e OMS che offre ai decisori politici raccomandazioni esplicite su come sfruttare la paura della morte per indurre cambiamenti comportamentali nella popolazione.
Questi documenti possono essere trovati facilmente nei motori di ricerca bibliografica delle scienze biomediche e psicologiche. Non è difficile imbattersi, ad esempio, in raccomandazioni su come usare la comunicazione per favorire trasformazioni sociali legate al cambiamento climatico o a una non meglio specificata “transizione” da un mondo pre-Covid a un modo post-Covid, o per incrementare il tasso di vaccinazione anti-Covid globale. Oppure specifiche indicazioni su quanti contagi al giorno vanno comunicati tramite i bollettini dei tg perché la gente sia disposta ad accettare le restrizioni pandemiche. Ho raccolto diversi di questi documenti e sto lavorando ad una pubblicazione che ha lo scopo di esporre e denunciare l’uso delle scienze comportamentali per manipolare le persone, fatto secondo me gravissimo, anche se ammantato di “tutela della salute pubblica”, indice di una deriva tecnocratica e paternalistica, se non francamente totalitaria. L’uso persuasivo della paura è controverso non solo dal punto di vista etico, ma anche dal punto di vista pratico, perché sembra funzionare bene in chi è già spontaneamente motivato a lasciarsi persuadere e poco o nulla in chi ha una posizione refrattaria.
Naturalmente, si potrebbe obiettare che la vaccinazione era necessaria per uscire dalla pandemia e che dunque era necessario persuadere più persone possibili a vaccinarsi, anche con mezzi manipolativi. È la tipica posizione utilitaristica. Tuttavia, questo ragionamento potrebbe essere parzialmente valido solo a fronte di una malattia davvero gravissima per la maggior parte della popolazione (cosa che il covid non era nemmeno nelle sue varianti iniziali), e di vaccini perfettamente sicuri e in grado di bloccare la trasmissione del virus in ogni sua variante.
Non è valido, invece, a fronte di una malattia che è innocua per oltre il 99% dei contagiati, percentuale ancora più alta sotto i 60 anni, e di pseudo vaccini come i farmaci genici a mRNA, che sono stati sperimentati su un campione troppo ristretto per poter cogliere effetti avversi rari ma gravi che invece si sono ineluttabilmente moltiplicati vaccinando miliardi di persone. Come scienziato penso che i vaccini in generale abbiano avuto un notevole successo nell’eradicare alcune gravi malattie infettive, ma sono anche consapevole che oggi ci sono interessi economici e geopolitici enormi che usano la leva vaccinale per scopi politici. Dobbiamo capire che siamo entrati in una fase politica , che si avvarrà sempre più di un metodo di comunicazione che fa leva sulla salute per far accettare radicali trasformazioni sociali alla popolazione.
Oltre che uno scienziato, sono anche un clinico e devo dire che i nostri governanti hanno dei profili psicologici nient’affatto rassicuranti, perché privi di empatia. Solo così si spiegano provvedimenti vessatori e antiscientifici che costringono intere famiglie a perdere il proprio sostentamento e ad essere discriminate per non avere accettato di sottoporsi, dietro ricatto, a una vaccinazione sperimentale, incapace di prevenire la trasmissione del virus, quindi priva di benefici collettivi, e associata a gravi eventi avversi. Ciò che è accaduto dimostra che i nostri governanti sono disposti a calpestare i più elementari diritti umani fino alle estreme conseguenze. Cosa succederà alle famiglie di chi non si piegherà al ricatto vaccinale? È stata comminata loro una pena di morte sociale per esclusione, se non fisica per inedia. C’è da chiedersi dove sia la Magistratura. La storia ci insegna che, nella fase del consenso, i dittatori si sentono onnipotenti e sono ciechi alle conseguenze del loro operato, ma quando poi il consenso viene meno, gli stessi sudditi che si erano spellati le mani ad applaudirli si trasformano nei loro carnefici.
Lei, tra le altre cose, ci ha spiegato come la storia dell’obbligo vaccinale e degli effetti che questa imposizione forzata ha avuto sulle persone, è in estrema sintesi la storia di un abuso con tutto che questo comporta in termini psicologici. Però d’altra parte Lei ci ha anche spiegato come la strategia comunicativa è stata portata avanti secondo uno schema che ha condotto le persone a vaccinarsi volontariamente. Non vi è contraddizione in questo?
Il filosofo stoico del primo secolo Epitteto affermava che gli uomini non soffrono delle cose in sé ma dell’opinione che essi hanno delle cose. Coloro che sono stati persuasi della bontà della vaccinazione, con la leva della paura della morte, in termini psicologici, non hanno subito alcun abuso, perché non l’hanno vissuto come tale. L’abuso dell’obbligo vaccinale è stato subito da coloro su cui il tentativo di manipolazione mediatica non ha avuto presa. Perché ci siano persone più resistenti a un certo tipo di manipolazione psicologica non lo sappiamo con certezza, ma sappiamo che esiste una parte della popolazione che non risponde a questo tipo di persuasione, similmente a quanto accade per l’ipnosi, che in fondo opera secondo dei meccanismi per certi versi simili.
Nella sua sintesi di come sia stata articolata la comunicazione durante la pandemia ha indicato anche l’introduzione di un determinato lessico come momento saliente della strategia di manipolazione psicologica.
In pochi giorni abbiamo avuto tutto il lessico che ci siamo poi portati dietro per anni, “lockdown”, “distanziamento sociale”, “nuova normalità” e… siamo sempre li, torniamo sempre al tema della sopravvalutazione della capacità della mente umana di elaborare l’informazione, il controllo del linguaggio fa parte delle tecniche manipolative di cui sopra. Ci sono dei manuali, “Psychiatry of Pandemics “ uscito nel maggio del 2019 e “The Psychology og pandemics: preparing for the next Global Outbreak of infectious disease” uscito nell’ottobre 2019, che non sono altro che dei manuali di comunicazione, dove vengono descritte delle tecniche comunicative per convincere le persone a vaccinarsi in caso di pandemia. A parte il sospetto tempismo di queste pubblicazioni, tutto ciò è contro qualsiasi deontologia psicologica, non è giusto usare “tecniche” per manipolare le persone ad assumere farmaci genici sperimentali, quali sono i cosiddetti “vaccini” anti-Covid, soprattutto quando in gioco ci sono rischi di eventi avversi gravi, che vengono minimizzati o disconosciuti, e mancano i presupposti di efficacia per un reale beneficio collettivo. Si pensi alla mancanza dell’immunità sterilizzante e alla breve durata della protezione dai sintomi gravi, che decade rapidamente costringendo ad assumere nuove dosi.
Non mi rimane da chiederle se secondo Lei c’è un modo per difendersi da tutto ciò.
Attivare intenzionalmente degli stati cognitivi emotivi profondi nell’uomo è una cosa alquanto facile per chi conosce le leve di comando della psiche umana e questo chiaramente dovrebbe essere soggetto a stringente controllo. Le scienze psicologiche sono molto potenti in questo senso e possono essere utilizzate in modo malevolo, e a mio parere ciò sta avvenendo esattamente in questo momento storico, anche se ammetterlo è difficile ai più per le ragioni appena accennate. Non è facile difendere il cittadino dall’uso malevolo delle tecniche di comunicazione di massa senza cadere a nostra volta nella censura. Si potrebbe pensare di istituire delle agenzie pubbliche che espongano “alert” quando un certo contenuto mediatico sembra avere un fine manipolativo. Ma si tratta di un’utopia, perché queste agenzie sarebbero facilmente corrotte dalle stesse lobby di potere multinazionale che hanno interesse a manipolare le persone.
Certamente bisogna sforzarsi di promuovere il pensiero critico a partire dalla scuola e diffondere conoscenze scientifiche sui limiti stessi dei processi cognitivi umani, in modo che le persone siano maggiormente consapevoli di quelle “vulnerabilità” cognitive che li espongono al rischio di manipolazione. Purtroppo, invece, si assiste alla trasformazione della scuola e dell’università in luoghi di indottrinamento, in cui invece di stimolare ed educare all’autonomia di giudizio basata sull’analisi razionale, si impone un’ideologia politicamente corretta, dogmatica e “scientista”, che letteralmente disonora la dignità del pensiero umano.
Forse, una strada da percorrere è quella di una sorta di “rieducazione alla mortalità”, il che è molto difficile in una società materialistica, che, come ha intuito Giorgio Agamben, ha elevato la nuda vita biologica a valore assoluto. Questo perché solo accettando la morte come normale e ineluttabile conseguenza della vita, e “decatastrofizzandola” o elaborandone un significato trascendente, si può inibire il potere persuasivo di chi la agita come spauracchio per ottenere obbedienza. “Si vis vitam, para mortem” diceva Freud, parafrasando l’antico detto latino “si vis pacem, para bellum”. Forse per lo stesso motivo Platone fa dire a Socrate, nel Fedone, che “coloro che fanno filosofia si esercitano a morire”.
Non è un caso, forse, che questa situazione stia spingendo molte persone verso un ritorno a forme di spiritualità, se non di religiosità vera e propria, che di per sé costituiscono una neutralizzazione almeno parziale della paura della morte. Il pensiero religioso, non a caso, è sotto attacco da secoli nella società occidentale, credo proprio perché esso ha l’intrinseco potere di attenuare la paura della morte che sempre è stata utilizzata per il controllo delle masse. Forti convinzioni religiose rendono le persone più autonome e meno condizionabili dal potere. Questo porta a chiedersi, come mai le autorità delle maggiori religioni del pianeta, salvo poche eccezioni, abbiano aderito supinamente al mainstream, senza cogliere l’occasione di mettere in discussione lo scientismo materialista imperante e le sue implicazioni antiumane e antireligiose.