Di tanto in tanto si sente parlare di una nuova miracolosa cura contro il cancro. Per tale motivo è doveroso essere molto cauti sull’argomento. La notizia pubblicata il 5 Giugno scorso però merita una certa attenzione per diverse ragioni.
In primis la notizia è stata pubblicata sul NEJM (The New England Journal of Medicine), una delle più autorevoli riviste di medicina. In secondo luogo, anche se lo studio in questione ha coinvolto solo 12 pazienti per di più senza nessun gruppo di controllo, i suoi risultati sono talmente eclatanti che si può a buon diritto pensare che sarebbe non etico intraprendere uno studio del genere.
Stato dell’arte sul tumore del colon retto
Ad oggi i pazienti che soffrono di forme avanzate del cancro del colon retto vengono sottoposti a trattamenti adiuvanti chemioterapici e radioterapici prima di affrontare la chirurgia. Questo protocollo, che è il frutto di decenni di esperienze infruttuose, ha portato ad una sopravvivenza a 3 anni di distanza dalla diagnosi del 77% dei pazienti con questo tipo di lesione.
C’è da sottolineare come questo risultato oltre ad essere parziale nel numero e limitato nel tempo, solo 3 anni, è gravato da una quantità di danni iatrogeni legati soprattutto ma non solo alla chirurgia, come ad esempio disfunzioni sessuali e degli sfinteri o dolori cronici, che rendono la qualità di vita dei sopravvissuti da molto modesta a dire pessima. La chemioterapia e la radioterapia preoperatoria degli attuali protocolli avrebbero il ruolo di diminuire l’aggressione chirurgica e le sue nefaste conseguenze. Una parte di questi pazienti, che presentano una determinata alterazione geneticamente individuabile nella massa neoplastica (mismatch repair–deficient colorectal cancer), purtroppo non rispondere affatto alle terapie adiuvanti preoperatorie ed è quindi maggiormente soggetta ai danni prodotti dalla chirurgia.
Lo studio
Per questa ragione i ricercatori del Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York hanno pensato di sostituire, nei pazienti portatori di questa alterazione genetica, la chemioterapia con una nuova immunoterapia tramite anticorpi monoclonali specifici per la molecola PD-1, la quale presiede ad attivare il meccanismo dell’apoptosi o morte cellulare programmata, la quale in passato sembra già aver mostrato qualche buon risultato nel trattamento di altre forme di cancro in fasa metastatica sempre nei pazienti portatori di questo tipo di alterazione genetica.
Il farmaco utilizzato, il cui nome commerciale corrisponde a quello di “dostarlimab”, è stato somministrato ogni 3 settimane per 6 mesi. Il risultato è stato che a 12 mesi di distanza dall’inizio della terapia e quindi a 6 mesi dal termine di essa, nessuno dei 12 pazienti aveva alcun segno evidenziabile di malattia. Questo strabiliante risultato ha fatto si che nessuno dei pazienti sottoposti a questo trattamento, per altro con effetti collaterali che si possono dire trascurabili come pruriti e dermatiti, abbia avuto necessità di essere sottoposto ad ulteriori trattamenti.
Un cauto ottimismo
Sebbene questi risultati abbiamo dei limiti sia in termini di tempo, in quanto non si possano escludere possibili recidive future con un maggiore tempo di osservazione, sia in termini di indicazione, in quando la letteratura scientifica sembra indicare che solo i tumori con queste specifiche caratteristiche genetiche abbiamo sensibilità significativa a tale trattamento, sembra poter esserci finalmente l’apertura verso una realtà fatta di terapie più efficaci e meno traumatiche contro il cancro. Insomma forse questa volta potrebbe essere giustificato un cauto ottimismo.