Abbiamo voluto sollecitare un autorevole scienziato italiano sul tema della capacità della scienza nel prevedere l’insorgere di nuove epidemie. Una parte del curriculum del prof. Mariano Bizzarri basta da sola a mostrarne l’autorevolezza, professore di patologia clinica presso il dipartimento di Medicina Sperimentale dell’università di Roma “La Sapienza”, autore di numerose pubblicazioni sulle più blasonate riviste medico scientifiche, attuale consulente del governo in materia di sanità per il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, già presidente del Consiglio Scientifico dell’Agenzia Spaziale Italiana, autore di numerosi saggi, da ultimo “COVID19 un’epidemia da decodificare. Tra realtà e disinformazione” con una postfazione del filosofo Massimo Cacciari.
Prof. Bizzarri sembra oramai dato per scontato tra la popolazione che ci stiamo avviando verso un’epoca di continue epidemia/pandemie, almeno da quello che continuamente ci viene ripetuto da capi di stato come Biden o da grandi magnati come Bill Gates. Anche l’OMS sembra assecondare più o meno esplicitamente questa narrazione. In Italia vi è un’ininterrotta comunicazione da parte del nostro Ministero della Salute che mette in guardia nei confronti di quella che sarà l’inevitabile pandemia/epidemia dell’autunno prossimo venturo. A questo punto la nostra domanda sorge spontanea, quanto c’è di scientifico in tutto ciò, ovvero quanto dobbiamo dar credito a queste notizie/avvertimenti che ci vengono venduti come fondati su evidenze scientifiche?
Potrei riassumere la mia risposta con il detto latino “astra inclinant, sed non necessitant”. Esistono dei modelli che possono permettere di stimare approssimativamente la possibilità dell’insorgenza di epidemie future, ma sono solo dei modelli che non offrono certezza alcuna. Possiamo assimilare questi metodi a quelli che vengono utilizzati per le previsioni metereologiche, le quali appunto possono essere orientative ma non possono fornire alcuna certezza né informazioni specifiche sulle epidemie come il loro andamento, le eventuali resistenze o la durata delle stesse. Che ci sarebbe stata un’epidemia lo si stava annunciando sin dall’inizio di questo secolo, ci sono voluti poi quasi vent’anni prima che questa si verificasse.
Quello che dico è testimoniato da numerose pubblicazioni importanti, una tra tutte “SARS in China. Prelude to pandemic?” pubblicato nel 2005, è stata quindi una premonizione ma senza alcun carattere di specificità. Bisogna anche capire che ciascun patogeno tende a trovare nel tempo una forma di equilibrio con i propri ospiti, l’andamento di questa ricerca di equilibrio è difficilmente prevedibile perché coinvolge una quantità di fattori.
In altre parole le varie fasi della pandemia di COVID 19 con le sue “ondate” e l’emergenza di nuove varianti, non sono state altro che le varie fasi del processo di raggiungimento di questo equilibrio tra il virus e la popolazione.
Oggi infatti nonostante il gran numero di contagi, abbiamo un’occupazione delle terapie intensive praticamente trascurabile, siamo entrati cioè in una fase di maggior equilibrio con il nostro ospite. Come dicevamo, ci sono fattori però che influiscono su questo processo di adattamento, le politiche vaccinali sono state ad esempio uno di questi fattori. Nello specifico i vaccini hanno aumentato la pressione selettiva sulle popolazioni virali e quindi hanno favorito l’emergere di nuovi varianti. Ecco quindi che qualsiasi previsione risulta impossibile se non in termini del tutto approssimativi e generici, in altre parole io credo che non c’è nulla di scientifico nelle previsioni fatte da questi signori.
Allora, quali erano gli elementi che all’inizio di questo secolo hanno iniziato a far pensare che ci sarebbe stata una pandemia?
Uno degli elementi più importanti è stata la globalizzazione. Tutti sapevamo che il grande e continuo spostamento di persone e cose intorno al globo è un elemento che chiaramente avrebbe condizionato la diffusione delle malattie epidemiche. La globalizzazione ha intaccato degli equilibri naturali con tutti gli imprevisti che ne possono conseguire. Le faccio un esempio legato all’alimentazione. Quando sono a Roma mangio i prodotti locali, quando mi sposto per insegnare all’università di Riad, dove sono docente presso l’università, mangio i prodotti autoctoni di quella parte del globo del tutto diversi da quelli romani.
Questo cambiamento di alimentazione che vi è ad una diversa latitudine fa parte del normale equilibrio che c’è tra l’uomo ed il suo ambiente. Oggi a causa della globalizzazione tutto questo non esiste più, era quindi abbastanza ovvio aspettarsi dei cambiamenti globali anche dal punto di vista microbiologico. Poi c’è l’importante questione del salto di specie, il cosiddetto “spillover” per gli addetti ai lavori, cioè il trasferimento di un agente patogeno da una specie ad un’altra, anch’esso è un prerequisito per le genesi di nuove epidemie, esso può avvenire naturalmente o meno.
Non dimentichiamo che la maggior parte delle epidemie dell’ultimo secolo sono insorte in Cina nella zona del Guangdong, dove esistono da decenni numerosi laboratori che lavorano sulle modificazioni genetiche dei microorganismi in grado di potenziarne alcune caratteristiche o farne acquisire altre non preesistenti, processo conosciuto come “gain of function”.
Chi è del mestiere sa che l’attività di questi laboratori corrisponde ad un maggior rischio di epidemia. Ecco questi sono alcuni, ma non tutti, degli elementi che facevano temere quello che sarebbe accaduto in seguito. Rimane però che previsioni specifiche non è possibile farne come dimostrato da quelle prodotte in Italia dalla fondazione Bruno Kessler, le quali non sono state altro che un vero e proprio esercizio di terrorismo che ha avuto però il potere di condizionare le decisioni politiche, anche se poi si sono dimostrate, come preventivabile, totalmente inattendibili.
Insomma, allo stato dell’arte secondo Lei, dobbiamo preoccuparci dell’emergere nel futuro immediato di ulteriori epidemie?
Lo ripeto, non c’è nulla di scientifico nelle previsioni che vengono vendute dal main stream. Il punto però è un altro, non dobbiamo preoccuparci per il futuro ma occuparci di esso, anzi forse farei meglio a dire che dobbiamo occuparci del presente perché il vero nostro problema è già qui oggi con noi e non proiettato nel futuro. Il nostro problema più grande ed attuale è un sistema sanitario che non funziona ed è già perennemente in crisi, il quale quindi non sa né può rispondere a nessun tipo di emergenza sanitaria collettiva. Questo è il nostro vero problema e ciò di cui dobbiamo occuparci, qualsiasi anche piccolo evento può svelare l’insufficienza del nostro sistema sanitario mettendolo facilmente in ginocchio.
Poi c’è il problema più generale e globale dell’attività dei laboratori di ricerca che lavorano sulla “Gain of function” dei microorganismi. Credo ci sia bisogno di una moratoria internazionale che contempli un monitoraggio e un controllo di queste attività, che dovranno essere fortemente ridotte a livello globale a quelle strettamente necessarie. Anche questa è una necessità di cui dovremmo occuparci ma ho l’impressione che attualmente, nonostante l’evidente necessità di una simile presa di posizione, non ci sia nessun accenno da parte dei diversi organi internazionali in questa direzione.