Me lo ricordo cosí Kamal Corbucci, fremente e appassionato che arringava una corte del tribunale di Roma. Era un processo per reati d’opinione, quelli che ricadrebbero sotto la nota legge 205/93 detta Mancino dall’ineffabile ministro dell’interno che la decretò e poi la fece convertire.
Imputati 4 musulmani, pareticamente due sunniti e due sciiti, materia incriminata testi che denunciavano la politica dello Stato d’Israele, pretesto un esposto/denuncia di due parlamentari forzisti in cerca di riconoscimento in quella comunità che sarebbe stata offesa, a parer loro.
Quando venne il suo turno Kamal alzó il tiro, sommerse la giudice di argomentazioni alte e altissimi riferimenti culturali.
Pur nel cinismo tecnico di chi per funzione deve imparzialmente giudicare e anche condannare, il monocratico magistrato ascoltava con attenzione e il linguaggio del corpo segnava approvazione.
Quando Kamal tacque lei si ritirò neanche il tempo di bere un caffè già servito: il fatto non sussiste… era evidente ma non scontato.
Noi quattro come molti altri, assolti con formula piena.
Ribadisco: un giusto, un buono, ci mancherà, Dio lo elevi al Firdaws (Il più alto grado del Paradiso)