Si è conclusa il 21 luglio 2022 l’esistenza terrena di Carlo Kamal Corbucci, avvocato che ha difeso la stragrande maggioranza degli imputati per presunto “terrorismo islamico” ma anche studioso di tante discipline relative alla civiltà islamica e alla spiritualità. La sua vita ha come filo conduttore la ricerca della giustizia e della verità a cui ha votato i suoi studi e la sua attività professionale.
Terrorismo, falsità e mistificazione
Tra le persone che hanno reso un enorme servizio alla comunità islamica in Italia l’avvocato Carlo Kamal Corbucci è sicuramente uno dei meno “famosi” ed il suo operato ancora troppo poco conosciuto. Eppure negli anni dei processi per terrorismo e delle legislazioni speciali, a seguito dell’11 settembre 2001, lui ha patrocinato nei pool difensivi di circa l’80% di questi processi ottenendo sempre l’assoluzione piena nei casi con accuse più gravi.
Le uniche poche condanne ricevute da suoi assistiti riguardano di solito il tentativo di entrare nelle fila della resistenza dei paesi invasi dagli Stati Uniti e dall’Occidente. La testimonianza di questa esperienza giudiziaria, che dimostra una verità nettamente in antitesi con la narrazione mediatica sul pericolo di terrorismo, in Italia come altrove, è riportata in un libro di oltre 1700 pagine dal titolo IL TERRORISMO ISLAMICO – FALSITA’ E MISTIFICAZIONE (Agorà, 2012).
L’importanza di questo libro risiede nel fatto che, a dispetto delle evidenze emerse nei processi, nella mente dell’opinione pubblica è stata comunque inculcata la paura di un pericolo esistente, reale, concreto. Abbiamo la memoria saturata dal racconto degli arresti eclatanti, dai titoloni e dalle edizioni speciali dei talk show appositamente andate in onda, ma non ci è mai stata raccontata la conclusione dei processi né ciò che emergeva durante lo svolgimento degli stessi e cioè una realtà “dominio della frode, della perversione dialettica, della mistificazione, del pragmatismo, degli incastri, delle alterazioni, degli intrecci e degli interessi di potere”.
Per Corbucci “serviva assolutamente che la gente si convincesse di un reale pericolo islamico all’interno del proprio paese, nel nostro caso l’Italia, affinché si rompessero gli indugi e si sposasse con convinzione e con la necessaria carica emotiva la causa della guerra contro l’Afganistan (in primis) e poi contro l’Iraq”. Queste sue certezze, per qualcuno sicuramente opinabili, discendono da casi processuali (riportati nel libro) che hanno tutti gli stessi pattern di menzogne certificate come tali dalle sentenze.
In più il nostro sostiene che a ragioni prettamente politico-economiche se ne affiancano altre di carattere più politico-culturale che mirano alla demonizzazione dell’Islam in quanto quest’ultimo costituirebbe l’ultima visione del mondo ancora in vita a potersi opporre alla “globalizzazione” massificatrice imperante. E’ una tesi questa sostenuta a suo tempo anche da Tiziano Terzani nel suo libro di risposte ai vomiti letterari di Oriana Fallaci purtroppo diventati best seller.
Non possiamo non evidenziare come la mancanza di consapevolezza delle verità processuali in questione (che accomunano l’Italia al resto dei paesi occidentali) abbia contribuito al fatto che nelle stesse comunità islamiche in occidente si sia invece radicata l’idea di un pericolo “interno”, congenito, connaturato alla propria religione. Le vittime di questa mistificazione si sono esse stesse convinte di essere portatori sani del male.
La morte dell’avvocato Corbucci lascia un vuoto tra i musulmani italiani nelle cui fila nessuno dei tanti laureati in giurisprudenza si è mai voluto occupare di queste questioni vitali.
La giustizia, la verità e la luce
Il primo caso giudiziario di cui si è occupato Carlo Corbucci, tra quelli raccontati nel libro, riguarda tre pescatori di Anzio arrestati perché in procinto, niente poco di meno che, attentate alla vita di George W. Bush. Abbiamo scelto questo caso perché di esso esiste anche un video racconto di Corbucci che può risultare più fruibile della lettura degli atti processuali.
L’avvocato riconobbe uno dei tre arrestati in TV in quanto questi era stato suo assistito in una causa di lavoro alcuni anni prima. La certezza della bontà di questa persona ed altri elementi gli fecero dichiarare da subito che si trattava di una grossa bufala. Ad esempio, la cintura porta documenti che si usa nel Pellegrinaggio a Mecca e che fu rinvenuta a casa degli arrestati venne inizialmente considerata come “cintura da kamikaze”.
Ci vollero dei periti esperti di esplosivi per dichiarare che nelle tasche strette di quella cintura neanche troppi documenti potevano essere messi e che questa mai avrebbe potuto contenere panetti di tritolo. Lo stesso tritolo “trovato” insieme alla cintura, della stessa tipologia e nello stesso quantitativo, risultò essere stato sequestrato pochi giorni prima in un’altra operazione dagli stessi carabinieri che lo avevano ri-trovato a casa dei tre pescatori egiziani. Quando la corte chiese di poter visionare le due identiche quantità della stessa tipologia di tritolo queste risultarono non più disponibili.
Su indicazione di uno dei tre assistiti l’avvocato Corbucci chiese l’autorizzazione per entrare nell’appartamento in cui sembrava essere stato pianificato l’assassinio di Bush e verificò l’impossibilità fisica di nascondere tutto il rinvenuto materiale da kamikaze nel luogo dichiarato dai carabinieri. Si trattava dello spazio tra lo scaldabagno e il soffitto che era troppo stretto (la cosa venne filmata ed è visibile nel video). Quando la Corte decise di mandare i propri periti l’appartamento risultò ristrutturato dalla proprietaria e non era più possibile fare alcuna verifica (sulle “prove” del tentato omicidio del Presidente degli Stati Uniti d’America). “Nell’evidenziarsi dei fatti la cosa cadeva sempre di più nel drammatico e nel ridicolo”.
Il processo di primo grado, che smascherò i 5 carabinieri ed evidenziò l’operato dei servizi segreti, si chiuse con l’assoluzione piena dei tre pescatori, sia per la detenzione di armi ed esplosivi che per l’assurda accusa di progettare l’assassinio di George W. Bush. La Cassazione invece dovette annullare il processo di secondo grado in cui si palesò l’ingerenza estera (leggasi USA) e dove i tre furono condannati “solo” per la detenzione dell’esplosivo ma non per terrorismo (forse che col tritolo ci facevano i giochi pirotecnici).
Alla fine del video si evince ciò che aveva animato la scelta dell’avvocato Corbucci in favore della libera professione all’epoca in cui ricopriva la posizione di direttore presso Ministero del Tesoro. Si trattava di una vera e propria vocazione la sua: “la cassazione ha fatto giustizia piena. Delle volte c’è anche soddisfazione a fare questa professione, quando tu vedi che la verità viene fuori in modo (…a questo punto sospira e poi dice…) luminoso”.
La verità, tutta la verità, nient’altro che la verità
La ricerca della verità non solo giudiziaria ha caratterizzato gli interessi e gli studi di Carlo Kamal Corbucci che esulano dalla sua professione. Ha scritto articoli per riviste che si occupano di spiritualità ed ha pubblicato saggi su René Guénon e Ibn Arabi. Di particolare interesse ci è sembrato il libro Islam: Sunnismo e Sciismo (Irfan, 2017) perché ci risulta essere l’unica pubblicazione in lingua italiana, di un autore italiano, a trattare la questione dalla “prospettiva metafisica”.
Si tratta di argomenti specialistici quanto spinosi all’interno degli studi islamici e che animano dibattiti, quando non conflitti armati, da quasi millecinquecento anni. Non siamo in grado di stabilire quanto la verità ricercata dal nostro sia stata o meno trovata ma senz’altro l’intenzione della ricerca è scevra da ipocrisie o convenienze. A beneficio dei lettori musulmani riportiamo alcuni suoi inviti alla sincerità rivolti sia ai musulmani sunniti che ai musulmani sciiti, nel contempo ricorderemo alcuni aspetti dello scisma sunnismo-sciismo a beneficio invece di quei lettori che sono a digiuno sull’argomento.
Alla morte del Profeta Muhammad, (pbsl) restava “aperta” la questione della sua successione alla guida della comunità islamica e del neonato Stato. Nella prospettiva sunnita (maggioritaria) i primi 4 califfi che si susseguirono vengono ricordati come i “ben guidati” e dopo di loro vi fu la prima dinastia ereditaria, quella omayyade. Nella prospettiva sciita la prima successione spettava ad Ali, cugino del Profeta, che fu invece il quarto a succedergli, e poi ad altri membri della sua famiglia.
Al di là dei rispettivi contenuti dottrinali, Carlo Kamal Corbucci invita i sunniti a non minimizzare, e nei casi più estremi a non negare, che le divergenze sulla successione sussistettero fin dalla morte del Profeta e che quindi non si tratta di “invenzioni” postume degli sciiti come si afferma nella vulgata sunnita. Lo stesso Ali, considerato dai sunniti tra i 4 “ben guidati”, da califfo fu combattuto (militarmente) da Aisha, moglie del defunto Profeta.
Non risulta agli atti quindi proprio un periodo di concordia idilliaca rovinata poi dagli sciiti. Allo stesso modo Corbucci invita gli sciiti a non riversare animosità, quando non ingiuria e scomunica, nei confronti dei califfi che precedettero Ali in quanto Ali stesso non vi si contrappose ed essere più realisti del re risulta in questo caso disdicevole. Nella vulgata sciita ci sono anche casi estremi di chi arriva ad ingiuriare il Profeta per non aver stabilito con inequivocabile certezza che la sua successione spettasse ad Ali ma non vale la pena commentare questa cosa. In nessuna compagine umana mancano gli incommentabili.
Per Corbucci, il cui funerale si è tenuto in una moschea sunnita, lo sciismo duodecimano (quello dell’attuale Iran per intenderci) è un’ortodossia dell’Islam così come lo è per il pronunciamento in merito dell’Università di al-Azhar da lui stesso citato nel libro ma che non costituisce parte essenziale della sua posizione. Si tratta di una fatwa risalente ai tempi di Nasser (1959) che ha risentito fino ai giorni nostri delle alterne vicende politiche dell’Egitto moderno. Corbucci invece prova a partire dalla Verità ontologica della Rivelazione Islamica che preesiste la forma assunta storicamente dall’ordinamento islamico ed esula certamente dal presente articolo.
Chi ha bisogno di aiuto può contattare l’avv. Carlo Corbucci
Tra i fedeli riuniti nella Grande Moschea di Roma per la Preghiera Funebre tante sono state le testimonianze sul bene operato dal compianto. Alcune persone originarie del sudest asiatico mentre erano in attesa hanno raccontato di averlo conosciuto decenni fa mediante “annunci” da lui appositamente lasciati “strategicamente” in zona Piazza Vittorio con su scritto “chi ha bisogno di aiuto può contattare l’avv. Carlo Corbucci al numero…”. La sua disponibilità era proverbiale e veniva profusa in tutti gli ambiti possibili dell’assistenza legale ed amministrativa per la quale il pagamento del suo dovuto compenso non era affatto un passaggio obbligato e comunque non è mai stato troppo oneroso.
Che si tratti del periodo fondativo dell’UCOI – Unione delle Comunità Islamiche in Italia (di cui è stato socio fondatore e membro del Consiglio dei Saggi) negli anni ’90 o delle prime riunione dell’allora nascente CAIL – Coordinamento delle Associazioni Islamiche del Lazio nel 2015, lui era sempre presente. Non che, soprattutto negli ultimi anni, fosse sempre interessatissimo alle dinamiche sociali della comunità islamica ma in qualsiasi iniziativa c’era sempre chi pensava di chiedere il suo supporto e lui non lo rifiutava mai.
Nella stagione della chiusura di moschee a Roma Corbucci ha ottenuto una delle storiche sentenze sul diritto al culto nella capitale adottando una strategia legale grazie alla quale la moschea da lui difesa è stata l’unica, di quelle finite nella morsa amministrativa, a rimanere aperta fino al verdetto del secondo grado di giudizio, quando fu poi stabilito che non avrebbe dovuto chiudere.
Una lectio magistralis for dummies è stata, per i pochi presenti all’episodio, la sua spiegazione del fumus boni iuris con cui ottenere la sospensiva anche nel ricorso al Consiglio di Stato (dopo aver perso in primo grado al TAR) in modo da consentire la continuazione delle attività del centro islamico durante i 4 anni in cui la giustizia faceva il suo corso. Altre moschee, poi comunque riaperte, rimasero chiuse in attesa della sentenza (fortunatamente di primo grado).
Non si contano poi gli statuti di associazioni che gestiscono luoghi di preghiera islamica, oppure atti notarili per l’acquisto degli stessi, che sono stati scritti da lui o che come minimo hanno avuto una sua supervisione. È praticamente impossibile però trovare qualcuno che possa raccontare di averlo pagato per questa tipologia di servizi e ciononostante dopo la preghiera funebre per la sua salma è stato letto un suo messaggio in cui chiede il perdono a tutti per eventuali torti commessi e dà indicazione di contattare la sua famiglia in caso qualcuno ritenesse di dover avere qualcosa da lui.
Non vi fosse la certezza della sua umiltà si sarebbe potuto pensare ad una delle sue trovate ironiche non di rado caratterizzanti le sue arringhe.