“Gli israeliani, i palestinesi e i giordani possono unirsi per combattere il nostro comune Armageddon del cambio climatico”. Lo scrivono sulla prestigiosa rivista The Economist.
È notorio che una delle zone maggiormente colpite dal cambio climatico è il Medio Oriente dove si registra un aumento di 2 gradi centigradi rispetto al 1950 ed un ulteriore aumento di 4 gradi centigradi è previsto per la fine del secolo, viene riportato nell’articolo in analisi: A “green-blue deal” for the Middle East. Del resto, non si può dire che in Medio Oriente manchino ben altri problemi, ad esempio la paralisi del processo di pace israelo-palestinese; una beffa cui si aggiunge il danno di un costante peggioramento delle condizioni di vita dei martoriati palestinesi. In altre parole, sembra piuttosto evidente che il processo di pace invece di andare avanti stia andando drammaticamente indietro.
Ma andiamo per gradi e raccogliamo la sfida dell’Economist a pensare positivo: La parte “verde” dell’accordo prevede l’implementazione di fonti di energia rinnovabile mentre il “blu” riguarda un’altra questione spinosissima: la progressiva carenza di acqua nella regione cui si vuole ugualmente far fronte. Il verde ed il blu insieme potrebbero, nella migliore delle ipotesi (seguendo lo spirito dell’articolo), essere i primi colori di una bandiera della pace in quella regione martoriata.
Il Deus ex machina sarebbe l’organizzazione no profit EcoPeace Middle East che ha tre co-direttori: Gidon Bromberg (israeliano), Nada Majdalani (palestinese) e Yana Abu Taleb (giordana).
L’organizzazione viene fondata nel 1994, raccogliendo fondi per la rigenerazione del fiume Giordano, investendo inizialmente 100 milioni di dollari per depurare le acque dagli scarichi fognari. L’iniziativa ha presto successo, unendo diverse comunità locali israeliane, giordane e palestinesi. Ora, sostengono a EcoPeace Middle East, bisogna rivelarsi all’altezza di sfide più impegnative.
Citando direttamente l’articolo:
«I recenti progressi tecnologici nella produzione di energia solare e nella desalinizzazione dell’acqua offrono prospettive interessanti ed i presupposti per un accordo di cui possano beneficiare tutte le parti coinvolte».
La Giordania, in virtù delle sue estese aree desertiche può essere, dei tre, la capofila nella produzione di energia solare mentre Israele e quel che rimane della Palestina, per il loro accesso al Mar Mediterraneo, possono produrre acqua potabile attraverso i processi di desalinizzazione. Il circolo virtuoso consisterebbe in un mutuo appoggio per cui israeliani e palestinesi possano beneficiare dell’approvvigionamento di parte dell’energia solare prodotta in Giordania e i giordani di parte dell’acqua potabile prodotta in Israele e in Palestina, rigorosamente con impianti fotovoltaici. Ciascuna delle tre parti, commentano sull’articolo, avrebbero dunque qualcosa da vendere e qualcosa da comprare e, di conseguenza, da questa iniziativa avrebbero tutti da guadagnare.
«I nuovi impianti palestinesi e giordani di trattamento delle acque reflue, le fattorie “solari” e sapienti tecniche agricole che riescano a contenere gli effetti negativi del cambio climatico possono poi portare ad un buon incremento di produzione alimentare» con tutte le ricadute possibili in termini di benessere generale.
Questa cooperazione dal basso contro un comune nemico, conclude l’articolo, potrebbe aumentare la fiducia reciproca tra i popoli minata da decenni di guerra e occupazione.
Infatti proprio EcoPeace Middle East afferma:
«Dai nostri uffici a Tel Avivi, Ramallah ed Amman rivolgiamo a tutti un invito, specialmente ai giovani che vivono in Medio Oriente (da Rabat a Teheran e da Beirut ad Abu Dhabi) ad unirsi ai nostri attivisti e a spingere i diversi governi dell’area a dare le risposte adeguate. Abbiamo bisogno di un ampio green-blue deal. La nostra comune sopravvivenza dipende da quello!».
Senza ingenuità ma senza nemmeno pessimismo potrebbe essere un’organizzazione da monitorare.