Da un lato The Guardian ha corretto il titolo dell’articolo inizialmente pubblicato per chiarire l’assenza di una relazione fra mondiali di calcio e morti di migranti dopo essere stato criticato per aver condiviso disinformazione mentre giornali come Repubblica hanno parlato senza mezzi termini di “dittature/teocrazie musulmane” e di “7.000 immigrati uccisi dalla follia di organizzare i Mondiali in un deserto”. In questo racconto ci sarebbe una strage dalle proporzioni bibliche in cui al Qatar viene attribuito il ruolo di Faraone e gli stadi del mondiale fanno la parte delle piramidi.
Nei concitati giorni dei mondiali di calcio in Qatar, resi incandescenti soprattutto dallo ”scontro di civiltà” sostenuto da alcuni media mainstream e politici occidentali, uno degli argomenti polemici è quello delle presunte migliaia di morti sul lavoro in relazione alla costruzione degli stadi.
L’attacco retorico-propagandistico è stato ripreso da moltissimi media e politici in tutto il mondo occidentale tale da essere ritenuto “un fatto” nel discorso pubblico, ma è davvero così?
Persino Repubblica sentenzia sulla questione affermando:
“Il numero esatto di morti non si saprà mai; ma grazie alle inchieste in Nepal e Pakistan di giornali come il Guardian e il New York Times e alle indagini di organizzazioni come Human Rights Watch e Amnesty International, sappiamo che sono probabilmente almeno 7.000 gli immigrati uccisi dalla follia di organizzare i Mondiali in un deserto.”
Una delle fonti primarie citate da Repubblica e altri media e politici è quella del The Guardian ma troviamo anche Amnesty International. Una analisi più accurata mostra invece come i dati siano stati gravemente travisati.
In particolare la stima di 15.000 migranti morti in relazione al mondiale proposta dal report di Amnesty e quella del Guardian che parla di 6000 vittime.
Né il Guardian né Amnesty hanno infatti affermato che queste persone sono morte nel contesto della costruzione degli stadi. I dati si riferiscono, come riporta anche l’analisi di DW, alle statistiche ufficiali delle autorità del Qatar sul numero di persone di nazionalità non qatarina che sono morte nel emirato dal 2011 al 2020.
La stima minore condivisa dal Guardian di circa 6000 decessi si riferisce ad un sottogruppo specifico di nazionalità che hanno condiviso i dati sui decessi dei loro cittadini che lavoravano in Qatar. Queste nazioni sono India, Nepal, Pakistan, Sri Lanka, e Bangladesh.
Un dato ancora più interessante nel contesto dell’attacco mediatico in chiave anti-Qatar e definito da molti critici come il giornalista Piers Morgan ipocrita è che i dati dell’OMS stimano il tasso di mortalità per i migranti in Qatar come più basso rispetto a quello dei lavoratori sui cantieri nei loro paesi di origine.
Inoltre, i diversi articoli condivisi dai media mainstream, inclusa Repubblica, mostrano di non aver semplicemente ignoranza dei fatti (cosa di per sé grave) ma di averli travisati. Repubblica, ad esempio, cita le statistiche condivise dal Guardian senza chiarire l’assenza di nesso causale fra la costruzione degli stadi e i decessi.
Uno dei motivi di tale approccio è da interpretarsi probabilmente nel contesto di uno scontro fra civiltà alla Huntington dovuto principalmente ai diversi valori e alla diversa cultura del Paese a maggioranza islamica, e più in particolare alla non normalizzazione delle istanze LGBT.
Repubblica non nasconde l’approccio ideologico affermando che:
“Proprio perché nessuno è senza peccato non si può pensare di assegnare i grandi eventi sportivi solo a Paesi con una patente di idoneità sui diritti civili. Chi rilascerebbe questa patente? Ma alcuni casi sono più eclatanti di altri.”
Quella sulla strage di lavoratori in Qatar è proprio una fake news, e considerando che Repubblica era ben conscia di ciò, quale altro peccato ha portato a tale mistificazione? La risposta è presto data e conferma le denunce di suprematismo islamofobo e neo colonialista da parte dei critici:
“Molti sembrano scoprire solo ora che nelle dittature/teocrazie musulmane come il Qatar l’omosessualità, soprattutto tra gli uomini, è vietata, e trovano giustamente questo inaccettabile.”
Quello che è giustamente inaccettabile sembrerebbe la mancanza di professionalità e l’incapacità di mostrare il tipo di tolleranza più importante: quello delle idee, dei valori, e delle culture altrui.