Come spesso affermato dai sapienti, non è consentito avventurarsi in una cosa senza prima avere appreso il giudizio (hukm) di Dio sullo stesso.
Se ciò vale, naturalmente, per le ‘ibādāt o atti di adorazione (preghiera, imposta rituale, digiuno, pellegrinaggio, voti e giuramenti, animali sacrificali, regole dietetiche, codice di abbigliamento, ecc.), cioè è ancora più necessario quando trattiamo argomenti compresi nell’altra metà della Legge, quasi il lato oscuro della luna ai nostri tempi, le mu`āmalāt o transazioni uomo-a-uomo.
Questa dimensione, diciamo così, orizzontale della Legge è diventata un tesoro nascosto, largamente ignorato dai più, la proprietà esclusiva di una nicchia di esperti – figurarsi poi in un paese come l’Italia dove scarseggiano le iniziativi serie che mirano ad educare i musulmani locali su aspetti cardini di tale metà del fiqh (la giurisprudenza islamica) –. Ciò è dovuto al fatto che, come enunciato da un famoso hadīth sahīh, il primo laccio o vincolo saldante del Dīn a venire sciolto sarebbe stato – come in effetti avvenuto – quello del hukm, inteso sia come potere politico-esecutivo che come autorità legale-giudiziaria.
I Compagni spendevano più tempo a padroneggiare le mu`āmalāt rispetto alle ‘ibādāt, perché le prime risultavano più pesanti per la nafs.
Nonostante il fatto che la famiglia costituisce il nucleo centrale della lecita interazione umana, ben poca attenzione è stata posta ai principi basilari e ai giudizi legali dettagliati che riguardano tale cruciale sfera del vivere.
In continuazione, poi, intercettiamo dolorose storie di problemi maritali e familiari, molte delle quali grondanti particolari che provocano sconcerto e sdegno. Il tutto, purtroppo, calato in un buco nero privo di qualsiasi forma di rimedio legale. Ma il problema a monte, ancor prima di concepire un’azione concertata per tracciare un tale percorso prognostico, è proprio la mancanza di una tensione, fra i musulmani locali, verso la conoscenza di questo ambito chiave del Dīn, che pure investe la vita quotidiana di tutti noi, in un modo o in un altro.
Ancor più pressante è il bisogno di rimediare al vuoto attuale se pensiamo che le donne italiane che entrano nell’Islam, e si inseriscono – o sono già inserite – in una situazione matrimoniale, non hanno alle loro spalle alcun sistema di supporto a loro linguisticamente e culturalmente affine, che possa appoggiarle durante la fase di contrattazione o proteggerle in seguito da scenari abusivi che solo la conoscenza anteriore del fiqh è in grado di fronteggiare.
È per questo, per colmare tale vistosa lacuna, che abbiamo approntato un corso sul fiqh degli affari familiari, partendo dal matrimonio per poi estenderci, se Allah vuole, ad altre aree tematiche come divorzio, custodia, mantenimento, aborto ecc.
Per ancorare meglio il discorso, abbiamo scelto un testo benedetto dell’Islam classico sunnita, apprezzato e utilizzato per secoli fino ai nostri giorni da innumerevoli musulmani su un’area geografica estesa: La “Risālah” di Ibn Abī Zayd al-Qayrawānī, il piccolo Mālik, come è stato soprannominato per esaltarne l’eccelso livello – che ha fra le altre cose il vantaggio di essere stato tradotto in italiano –. Si dice che la “Risālah” tramanda luce, la trasmette cioè nei cuori – e non solo nelle menti – di chi si applica al suo studio. Non ci limiteremo però ad esso, e spazieremo fra le varie scuole degli Ahl as-Sunnah nei limiti del possibile.
Il fatto che un tale capolavoro sapienziale sia stato composto da un diciassettenne, e scritto poi appositamente, come sottolineato nell’introduzione dall’autore stesso, per i ragazzi, per le persone in giovane età, pur comprendendo tutte le aree della Legge e pur contenendo tanta e tale scienza fra le sue righe – la dice lunga sul fatto che l’ignoranza non possa essere una scusa e che gli standard della nostra comunità vanno alzati di molti livelli, e sbugiarda la percezione che i musulmani europei di nuovo conio necessitano di una conoscenza superficiale solo degli atti di adorazione e poco altro.
Insieme a tale corso, ne abbiamo allestito un altro, lo studio approfondito della collezione di quaranta hadīth dell’Imam an-Nawawī. Per ogni hadīth incluso nella famosa compilazione ci soffermeremo sul vocabolario usato e in particolare sulle parole più inusuali, studieremo i principali elementi della catena narrativa (soprattutto i Compagni e i più importanti Seguaci), le fonti testuali del hadīth a cui ha attinto l’Imam an-Nawawī, spendendo alcune parole sugli autori originali, lo status qualitativo della narrazione – imparando nel frattempo alcune nozioni base delle scienze del hadīth –, il significato del detto Profetico in questione, i giudizi legali da esso derivati, e le lezioni estrapolabili per noi.
Cenni biografici sia su Ibn Abī Zayd al-Qayrawānī che su Muhyid-Dīn an-Nawawī accompagneranno i rispettivi corsi, essendo indispensabile sapere non solo su cosa facciamo affidamento, ma anche su chi.
Entrambi i corsi saranno condotti su Zoom, e consisteranno di 12 lezioni, di cui 9 registrate e 3 live, sull’ora e mezzo per le prime e di un’ora e rotti ciascuna per le seconde.
Alla fine dei corsi, si terrà un breve esame per testare l’avvenuto apprendimento da parte dei partecipanti.
Articolo pubblicato sull’edizione di ottobre della rivista La Luce30