Una delle cose che subito colpisce quando si fa visita ai cosiddetti paesi in via di sviluppo è come la gente sembri essere mediamente molto più felice rispetto a quella dei paesi occidentali, nonostante le condizioni di vita siano evidentemente per nulla semplici.
L’Etiopia è uno di questi paesi, per avere un’idea, in cui la mortalità materna per cause ostetriche è stimata essere circa cento volte maggiore rispetto a quella Italiana e sostanzialmente non esiste un servizio sanitario di soccorso di emergenza sul territorio essendo le infrastrutture non adatte a supportarne la realizzazione. In altre parole, in Etiopia morire di parto non è affatto una eventualità remota e ad esempio rompersi un osso per una banale caduta, rischia di diventare un problema irrisolvibile che può portare ad una invalidità permanente.
Dalla prospettiva etiope non si possono non apprezzare ancora di più sia il sistema sanitario italiano, il quale ha l’ulteriore grande pregio dell’universalità, sia le abilità medico chirurgiche della moderna medicina.
Arrivano i nostri?
Chiamati a cooperare per il miglioramento delle condizioni del sistema sanitario etiope si avrebbe voglia di intervenire alla maniera statunitense, ovvero all’’arrivano i nostri”, un approccio tanto muscolare quanto superficiale dettato da un sostanziale senso di superiorità. Esportare i nostri modelli “tout court” sarebbe infatti un approccio puerile e velleitario. Purtroppo però questo è ciò che più spesso accade nei cosiddetti programmi di cooperazione internazionale, per tale ragione capita di vedere ambulanze dove non ci sono le strade adatte affinché esse possano muoversi o macchinari complessi dove nessuno ha la capacità di farne l’indispensabile manutenzione.
Qualsiasi sistema sanitario deve necessariamente essere adatto al contesto economico, sociale e culturale nel quale si sviluppa, essendo esso in fondo una delle tante espressioni della condizione generale di una comunità. Ma questo non è tutto, perché proporre un sistema sanitario comporta in fondo proporre nel contempo un modello di medicina e quindi di società e pertanto questa operazione può essere considerata una forma di ingerenza non solo fallimentare nel suo aspetto pratico ma anche molto perniciosa da punto di vista etico.
Riconoscere i limiti del nostro modello di vita è un passo fondamentale per acquisire la lucidità necessaria a non volerlo riproporre interamente. Chi volesse cercare di contribuire al miglioramento del sistema sanitario nei paesi in via di sviluppo, dovrebbe avere la capacità di immaginare una organizzazione e una scienza medica diversi, o al minimo dovrebbe fornirsi di un po’ di umiltà e non considerare il proprio modus vivendi il migliore possibile.
Bisognerebbe finalmente superare quello stesso atteggiamento mentale e quelle modalità di agire che sono state il motore di coloro che hanno voluto e continuano a voler “esportare la democrazia” con i disastrosi risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Bisognerebbe lasciare aperta la porta alla possibilità che ciò che c’è di buono ed utile nelle acquisizioni della nostra civiltà, come le abilità chirurgiche in primis, si sappiano declinare naturalmente su presupposti socio economici diversi dai nostri.
Non è tutto oro quello che luccica
Sarebbe bello che paesi come l’Etiopia riuscissero a prendere ciò che di meglio e di più utile c’è per loro nei nostri modelli assistenziali e acquisizioni scientifiche senza nel contempo farne propri i numerosi difetti e limiti. Non mi sentirei affatto soddisfatto se nell’intenzione di aiutare i nostri fratelli e sorelle nell’umanità contribuissi a rendere la loro società una società assurdamente medicalizzata come la nostra.
La medicina occidentale è sempre più un disumanizzante regno della tecnica, la terra dei protocolli che ha messo al centro la malattia dimenticando l’uomo. Una medicina che ha perso il suo scopo originale per essere invece dominata dall’economia del profitto e quindi da tutto ciò che ne può conseguire. Una medicina che ha reso i suoi esecutori impauriti operatori d’ordine, sottomessi alle logiche della medicina difensiva. Per non parlare del ruolo di controllore sociale a cui la medicina si è prestata e la cui evoluzione è tuttora in divenire. La paura della morte e della malattia sistematicamente sollecitata in nome della salute non è che una sottile forma di terrorismo psicologico che rende le nostre vite sempre più tese ed infelici e di conseguenza la nostra salute più cagionevole.
Il modo migliore
La cooperazione internazionale è un incontro che abbisogna di prudenza da parte di tutti gli attori in campo. Una maggiore delicatezza e rispetto da parte di chi propone il proprio aiuto deve incontrarsi con un atteggiamento di critico controllo su tutto ciò che viene proposto.
Le società che oggi ancora non si sono completamente abbandonate al materialismo occidentale imperante, possano prendere il testimone delle moderne acquisizioni tecnico scientifiche in maniera intelligente ed innovativa, sviluppando una diversa attitudine verso la medicina in generale e una diversa idea di salute pubblica ed individuale, superando in tal modo gli evidenti limiti nei quali oggi le società cosiddette occidentali si trovano come imprigionate.