Alla nostra comunità che si spende sui social piace appassionarsi polemicamente a un paio di argomenti ricorrenti, l’inizio/la fine di Ramadan e le festività di fine anno solare.
A Ramadan mancano quasi tre mesi, ne parleremo magari a suo tempo.
Nel Paese in cui viviamo, e in generale nel comparto culturale che chiamiamo Occidente, fine dicembre è il momento degli auguri di Natale e di buon anno. E noi? Non celebriamo la natività dei profeti in generale (e perfino per il profeta Muhammad la discussione in proposito è sempre accesissima), al capodanno nostro poi, mancano quasi sette mesi e quindi di cosa stiamo parlando?
Parliamo del fatto che qui intorno a noi, nell’italico stivale, per ogni musulmano presente ci sono 20 non musulmani, in massima parte cristiani, oltre l’82%, nella quasi totalità cattolici, il cui capo supremo vive in un’enclave nel ventre molle della stessa capitale.
Si potrà mai non tenerne conto? Si potrà mai trascurare il fatto che nelle scuole pubbliche, dalle elementari alle medie superiori è previsto l’insegnamento della religione cristiana cattolica? Non volendo “avvalersene” tocca dichiararlo ogni anno in sede d’iscrizione, da parte di chi esercita la patria potestà o dagli studenti stessi nelle scuole superiori.
Corollario di questo stato di cose la quasi immancabile presenza del crocefisso nelle aule scolastiche, i presepi, le recite di Natale e altre pervasività del fatto religioso cattolico.
Da genitore musulmano mi sono confrontato spesso con tutto ciò, senza tuttavia essere certo che quello che stavo facendo fosse la cosa giusta. La prima a rassicurarmi fu la maestra d’asilo del mio figlio maggiore. Vivevamo in un paesino di poche centinaia di abitanti nell’immediato entroterra ligure, l’unica scuola materna era quella gestita dalle suore di un piccolo convento. Il parroco, libanese per altro, andava una volta la settimana a fare due chiacchere con i bambini. Si chiamava Giorgio, don Giorgio per tutti, naturalmente. Venne un giorno la maestra e mi raccontò questo siparietto tra il parroco e il mio virgulto che aveva 5 anni più a meno… “Ma dimmi un po’ Davide, perché tu mi chiami sempre Giorgio e non don Giorgio?” e Davide: “Ma è vero che don significa signore?”, “Si viene dal latino domine e significa signore” “Noi siamo musulmani – gli sparò Davide – Signore lo diciamo solo a Dio”.
Capii che quello che stavo insegnando a mio figlio era stato recepito correttamente e lui lo aveva fatto suo. Sapendo che lo mandavo in un ambiente diverso da quello famigliare non dovevo solo insegnargli i fondamenti dell’Islàm, ma renderlo fiero di esserne portatore, senza complessi e senza aggressività. Beh, qualche volta sulla questione del maiale si lasciò andare a qualche paragone sconveniente tra quello che si mangia e quel che si è, ma anche questo in fondo ci stava.
Insomma quello che è giusto fare con i nostri figli e insegnar loro a vivere con gli altri senza doverli imitare in quello che è estraneo o contrario alla nostra religione e senza per questo sentirsi esclusi o discriminati. E allora no a “tu scendi dalle stelle” e le recite presepiali, ma va bene l’albero di Natale la cui religiosità è nulla.
Idem per il crocefisso a scuola, ho spiegato a tutti i figli che quel simulacro per i loro compagni cristiani rappresentava il profeta Gesù ma che noi non credevamo che fosse stato ucciso in quel modo e che comunque questo non era molto importante al momento, era importante che noi e loro rispettassimo il messaggio che quell’uomo aveva portato e gli leggevo e spiegavo passi di sura Âl-‘Imrân, Al-Mâ’ida, Maryam.
Abbiamo nel Corano e nella tradizione del Profeta Muhammad (la sunna) insegnamenti immensi e precisi. Conoscerli, praticarli e insegnarli è sufficiente sforzo per guidare i nostri figli. Capita talvolta, anche spesso purtroppo, che alcuni di loro non vogliano seguirci su queste benedetta via, ebbene pregheremo per loro, sempre.