Va da sé che per i musulmani dovrebbe valere sempre la saggezza contenuta nel hadith in cui il Profeta Muhammad invitava i credenti a sostenersi nel bene e nel male. Quando i Compagni gli chiesero come avrebbero potuto sostenere qualcuno nel male, rispose che dovevano impedirgli di farlo. Pertanto è legittimo l’invito che Abde Elbakki Rtaib, dalle digitali colonne di questo giornale ha rivolto ai musulmani affinché non sostengano il governo talebano nella sua recente decisione di proibire l’accesso all’università alle studentesse.
Lo dice l’autore e mi piace ricordare che lo scrisse anche l’algerinoʿAbd al-Ḥamīd Ibn Bādīs (1889-1940), luminosa figura di intellettuale islamico, “Se insegni ad un ragazzo avrai istruito un individuo, se istruisci una ragazza avrai educato un popolo”. Sono le madri infatti che in massima parte trasmettono valori e cultura ai loro figli, nell’età in cui questa trasmissione è più feconda e durante la quale generalmente, e in particolare in certi Paesi, la presenza paterna è quasi nulla. E come dimenticare che il Profeta Muhammad ebbe a dire che la ricerca della conoscenza era un dovere per “tutti i musulmani e le musulmane” citando espressamente i due generi e non a caso.
Il contesto dell’Afghanistan post-invasione
Detto ciò rimane da considerare, quale insegnamento, da parte di chi, in quali condizioni può essere impartito alle giovani afghane, considerando che:
– l’87% delle donne che vivono in quel martoriato Paese sono analfabete (contro il 57% dei maschi),
– il Paese è uscito l’altro ieri da quasi 40 anni di guerra, anche civile, ed è devastato, insicuro, da ricostruire; a partire dalla convivenza tra etnie, tra vincitori e quelli già conniventi con gli occupanti, tra un accenno di borghesia compradora (sono le loro figlie che vanno all’università) e un popolo che soffre con meno di due dollari pro capite di PIL al giorno (Italia 100$).
Queste le difficilissime condizioni in cui si trova a operare il governo di Kabul (a cui, tra l’altro, non importa una beata dell’opinione occidentale), quando si è reso conto che nelle università miste si stavano sviluppando e rafforzando tendenze oggettivamente contrarie all’impostazione etico-religiosa implementata con la vittoria sugli occupanti… per evitarle hanno, rozzamente, tagliato la testa al toro, con un provvedimento esiziale per quel poco di simpatia di cui ancora godevano fuori dal Paese.
Un rozzo approccio utilitaristico da contestualizzare
Per loro si è trattato, rozzamente, lo abbiamo già detto, di preservare il Paese dalla fitna (corruzione dei costumi in questo caso) che era stata imposta e consolidata anche da tutta una pletora di ONG, che foraggiate dall’Occidente, sostenevano un cambiamento di cultura generale e che avevano formato in loco, o presso altre università straniere, parte importante di quei docenti che oggi insegnano in quegli stessi atenei.
Nostro limite, siamo tutti un po’ vittime di eurocentrismo e influenzati dall’orientalismo, pensare ai diritti in senso assoluto, come se non si dovessero rapportare con le situazioni reali. È come credere che basti avere una pluralità di testate per garantire la libera informazione, senza contare che la stragrande maggioranza di esse ha un referente unico, politico e ideologico e che, inoltre, la gente non vi può accedere (ogni afghano consuma 4,4 KWh annui, ogni italiano 4.500, mille volte di più).
Detto questo, con mattarelliana prosopopea, auspico che nel più breve lasso di tempo il governo di Kabul possa riorganizzare il suo sistema educativo, generalizzarlo e aprirlo a tutti i suoi cittadini e cittadine in condizioni di sicurezza etica, che i programmi d’insegnamento possano essere consoni alle scelte generali, che non sia solo una infima minoranza di ragazze a poter frequentare l’università ma che tutti i figli e le figlie di quel Paese possano elevare il loro livello culturale e con loro l’intero popolo afghano.