Il Papa Emerito è morto. Un uomo di età avanzata e in precarie condizioni di salute che viveva da anni in ritiro come un monaco, ma che continuava ad avere una grande influenza su una parte dei fedeli cattolici – in particolare su quelli più attenti alla dottrina, alla spiritualità e alla tradizione – anche se non riuscì mai a raggiungere la popolarità di Papa Wojtila.
Come teologo, il principale merito di Ratzinger fu dimostrare la coerenza tra fede e ragione, aprendo al dialogo anche con gli intellettuali laici e unendo il Dio della fede con il Dio dei filosofi.
Il luogo di incontro tra la visione filosofica e quella religiosa è la ricerca della verità, e in ciò non c’è spazio per il relativismo etico. Tale ricerca deve essere affrontata con grande serietà sia nel campo naturale che in quello religioso poiché la verità è una, anche se si manifesta in modi diversi. Ad esempio, l’essere umano è uno, ma può essere descritto dalla fisica in modo diverso da come lo farebbe la biologia o la filosofia. Quando questo avviene, le due ricerche sono destinate a incontrarsi e interagire, come è avvenuto nell’età dell’oro dell’Islam.
La ricerca filosofica nasce dalla dignità dell’uomo e dalla sua ragione, che vogliono comprendere la loro origine e il loro destino, mentre la filosofia moderna ragiona su un essere umano che ha perso completamente il senso del suo stare al mondo. La ricerca teologica conduce alla fede in Dio Creatore, un Dio personale che ha a cuore la sorte della Sua creatura, che gli va incontro e, secondo la teologia cristiana, che ama fino a condividerne la natura intrecciando con essa un dialogo d’amore. Da qui la grande e ineliminabile differenza tra pensiero umano e pensiero rivelato, all’origine di un dialogo che non può essere eliminato.
Papa Ratzinger invero era molto di più di un teologo. Egli è stato un Papa coraggioso, che non aveva paura di difendere i valori non negoziabili proposti dalla fede alla società moderna e di rivolgere domande scomode e irrituali, divisive, non per il gusto di farlo, ma per costruire l’immagine di una Chiesa combattente, anche se disarmata, la Chiesa di Cristo Re.
Nel 2008 durante un intervento all’ONU denuncia la logica del “relativismo morale” che domina l’ONU e gli organismi internazionali che stavano per diventare longa manus del progressismo dem-arcobaleno. “C’è un rifiuto,” disse “a riconoscere la centralità della legge morale naturale” – su cui si fonda il contratto sociale che lega tra loro gli esseri umani) – “e la difesa della “dignità dell’uomo”.
Le critiche del Papa erano assolutamente fondate e oggi vediamo i tristi effetti di questa deriva nella teoria del gender, nell’approvazione di comportamenti immorali che vengono considerati normali, e nell’appoggio dei cosiddetti “paesi liberi” alle guerre di aggressione e al dramma dell’aborto. Il Papa sottolineò che “le regole internazionali si basano solo su una ragione politica e non etica, portando a risultati amari”. L‘ONU reagì con indignazione e superbia alle critiche di Benedetto XVI.
Il Papa si oppose anche alla teoria del gender, affermando che “la Chiesa ribadisce il suo grande sì alla dignità e bellezza del matrimonio come espressione di fedele e feconda alleanza tra uomo e donna”. Egli spiegò che il rifiuto della filosofia del gender è motivato dal fatto che la reciprocità tra maschile e femminile è un’espressione della bellezza della natura voluta dal Creatore.
Benedetto aggiunse che “le ideologie che predicavano il culto della nazione, della razza, della classe sociale si sono rivelate vere e proprie idolatrie”, come pure il “capitalismo selvaggio con il suo culto del profitto, che ha causato crisi, disuguaglianze e miseria”.
In contrasto con alcuni prelati che si piegano al mondo per farsi accettare, il Papa sapeva che c’è una lotta in corso tra cielo e terra in cui i perversi non avranno mai la vittoria. Egli comprese in modo diverso da Papa Francesco la portata storica della lotta tra il Bene e il Male nella società odierna, in una Chiesa che non parla più di salvezza dell’anima, ma di problemi sociali.
Negli ultimi vent’anni abbiamo assistito a una decadenza del ruolo dei cattolici e del potere effettivo dei Papi rispetto ai tempi di Giovanni Paolo II. Ci sono stati anche alcuni scivoloni da parte degli ultimi due Papi. Ogni volta è toccato alla diplomazia vaticana, una delle migliori al mondo, stemperare le crisi e rinsaldare rapporti incrinati.
Credo che nessuno dei due abbia eguagliato la saggezza di Paolo VI, che senza cedere al mondo evitava di contrapporsi ad esso senza valide argomentazioni, o di Papa Wojtyła, che non ha mai giocato alla guerra di religione, anche partendo da posizioni molto conservatrici avversate dal mainstream e dalla sinistra.
Ora abbiamo, dopo un Papa decisamente islamofobo pronto a dichiarare guerra durante la lectio magistralis tenuta a Ratisbona nel 2006 citando chi avena definito l’islam una “religione malvagia e disumana, che cerca di diffondere la fede con la spada”, ne abbiamo uno probabilmente massone (ma lo era anche Giovanni XXIII, il “Papa buono”) che proclama apertamente l’affetto per la Pachamama (la Madre Terra) e si schiera apertamente nel conflitto ucraino. Egli afferma pubblicamente tutto il suo disprezzo razzista per i ceceni e i buriati, accusandoli di essere stati inviati in guerra contro il regime neonazista ucraino, credendo ciecamente a quanto scritto sui giornali liberal. Nemmeno durante la guerra contro Hitler si era visto qualcosa del genere.
Il Pontefice accusa Mosca di essere responsabile della guerra, ma dice che “i più crudeli sono quelli che sono della Russia ma non della tradizione russa, come i ceceni, i buriati e così via”. Un’affermazione degna di Mariuccia del bar sotto casa! Poi si è dovuto scusare, ma ovviamente la gaffe ha minato la credibilità della Sede Apostolica in un’eventuale mediazione per la pace.
Ratzinger, a differenza di Bergoglio, non si è scusato, ma ha espresso vivo rammarico per le reazioni sdegnate del mondo musulmano, poi fu, come detto più sopra, la diplomazia vaticana a ricucire lo strappo.
L’impressione è quella di una Chiesa sempre più debole, sottomessa ai poteri minoritari, sia in termini di reale partecipazione dei fedeli, sia in termini di capacità di difendere la tradizione di fronte alla sfida del transumanesimo e alla dittatura della tecnologia. Il nemico è l’ateismo dei detentori del potere transnazionale, le loro armate e i loro miliardi, e non ha senso impegnarsi in inutili guerre dottrinali.
Tra l’originale e la fotocopia, tutti scelgono l’originale, quindi, se si deve parlare solo di questioni sociali, tanto vale andare a fare volontariato in un’ONG. A che serve pregare?
I cristiani poi, hanno parlato e parlano di religione dell’amore, ma si sono anche massacrati tra loro in maniera eclatante, prima nel IV secolo dopo Cristo, quando i trinitari hanno distrutto militarmente gli unitari, e poi nel XVI secolo, con le guerre di religione in Europa. Hanno espulso per secoli i musulmani dall’Europa e perseguitato gli ebrei. Non è bastato? Ricordate la caccia alle streghe?
Hanno condotto nove crociate, perdendole rovinosamente, e negli ultimi 200 anni stanno letteralmente dissolvendosi nel mondo o assumendo posizioni revansciste.
È vero che se Atene piange, Sparta non ride, ma c’è anche una carenza di leader, e siamo ancora molto lontani, sia come uomini che come donne di religione, dal poter rispondere pienamente alle domande dell’uomo di oggi, nonostante le chiese siano vuote e le moschee piene.