In un recente articolo del The Guardian, Kenneth Roth – ex direttore esecutivo di Human Rights Watch – racconta così la vicenda di come le sue posizioni critiche nei confronti del governo israeliano sono risultate nell’interruzione della sua collaborazione con Harvard. Roth ha anche denunciato apertamente le pratiche di apartheid di Israele ricevendo il sostegno del Sindacato americano per le libertà civili in seguito all’interruzione della collaborazione con Harvard. Ecco la sua testimonianza.
Mi è stato detto che la mia collaborazione con la Kennedy School è stata interrotta a causa delle critiche che io e Human Rights Watch abbiamo fatto nei confronti di Israele.
Durante i tre decenni nei quali ho diretto Human Rights Watch mi sono reso conto che non avremmo mai ottenuto l’interesse dei donatori che volevano escludere il loro paese prediletto dall’applicazione oggettiva dei principi internazionali in materia di diritti umani. Questo è il prezzo da pagare per il rispetto dei principi.
Tuttavia, le università americane non hanno adottato una regola simile e non è nemmeno chiaro se ne stiano seguendo una. Questa mancanza di chiarezza dà l’impressione che i grandi finanziatori possano utilizzare i loro contributi per riuscire a bloccare le critiche su determinati argomenti, in violazione della libertà accademica. O addirittura che gli amministratori universitari possano anticipare le possibili obiezioni dei donatori alle opinioni di un membro della facoltà ancor prima che qualcuno abbia qualcosa da ridire.
Questo sembra essere ciò che mi è accaduto alla Kennedy School di Harvard. Se c’è un’istituzione accademica che può permettersi di attenersi ai principi, rifiutandosi di compromettere la libertà accademica su pressioni reali o presunte dei finanziatori, è proprio Harvard, l’università più ricca del mondo. Eppure il rettore della Kennedy School, Douglas Elmendorf, ha posto il veto ad una collaborazione sui diritti umani, che mi era stata offerta, per colpa delle mie critiche contro Israele. Per quanto ne sappiamo, quindi, la sua maggior preoccupazione è stata la possibile reazione dei donatori.
Poco dopo aver annunciato la mia uscita da Human Rights Watch, il Carr Center for Human Rights Policy della Kennedy School mi aveva contattato per discutere a proposito di una collaborazione. Da tempo ero informalmente coinvolto con il Carr Center, che mi sembrava il luogo adatto dove poter trascorrere un anno mentre stavo scrivendo un libro. Così ho accettato senza pensarci due volte. L’unico passaggio mancante era l’approvazione del rettore, e tutti pensavamo che si sarebbe trattato di una formalità.
In effetti, in previsione della mia permanenza nella scuola, ho contattato il preside per presentarmi. Abbiamo avuto una piacevole conversazione di mezz’ora. L’unico accenno ad un’eventuale problema è arrivato soltanto alla fine. Mi ha chiesto se avessi dei nemici.
Si è trattato di una domanda strana. Gli ho spiegato che ovviamente avevo dei nemici. Molti. È un rischio del mestiere di difensore dei diritti umani.
Ho spiegato che i governi cinese e russo mi avevano personalmente sanzionato – un distintivo d’onore, a mio avviso. Ho aggiunto che vari governi, compresi quelli del Ruanda e dell’Arabia Saudita, mi odiano. Ma avevo intuito dove volesse arrivare, così ho fatto notare che anche il governo israeliano mi detesta, senza alcun dubbio.
Questo si è rivelato essere il colpo di grazia. Due settimane dopo, il Carr Center mi ha chiamato per comunicarmi, con tono alquanto imbarazzato, che Elmendorf aveva posto il veto alla mia collaborazione accademica. Aveva detto alla professoressa Kathryn Sikkink, una stimata studiosa dei diritti umani affiliata alla Kennedy School, che il motivo erano la mia critica e quella di Human Rights Watch ad Israele.
È stata una rivelazione sconvolgente. Come può un’istituzione che pretende di occuparsi di politica estera – e che ospita persino un centro per i diritti umani – evitare di criticare Israele?
Elmendorf non ha difeso pubblicamente in alcun modo la sua decisione, quindi possiamo solo ipotizzare cosa sia successo. Non è noto al pubblico che abbia mai preso posizione sulla situazione dei diritti umani in Israele, quindi è difficile immaginare che il problema siano state le sue opinioni personali.
Ma come ha dimostrato il Nation nel suo articolo sul mio caso, diversi importanti finanziatori della Kennedy School sono grandi sostenitori di Israele. Elmendorf si è consultato con questi donatori o ha previsto che si sarebbero opposti alla mia nomina? Non lo sappiamo. Ma questa è l’unica spiegazione plausibile che ho udito a proposito della sua decisione. Il portavoce della Kennedy School non ha smentito.
Alcuni difensori del governo israeliano hanno affermato che il rifiuto di Elmendorf alla mia collaborazione è dovuto al fatto che Human Rights Watch, o io, dedichiamo troppa attenzione a quel che accade in Israele. L’accusa di parzialità è pesante se proviene da persone che non criticano mai Israele e che, utilizzando di solito nomi di organizzazioni dal suono neutro, attaccano chiunque osi criticare Israele.
Inoltre, Israele è uno dei circa 100 paesi di cui si occupa regolarmente Human Rights Watch, quindi Israele rappresenta una minima percentuale di tutto il suo lavoro. E nel contesto israelo-palestinese, Human Rights Watch non si occupa soltanto della repressione israeliana, ma anche degli abusi dell’Autorità Palestinese, di Hamas e di Hezbollah.
In ogni caso, probabilmente questi critici non sarebbero soddisfatti neanche se Human Rights Watch pubblicasse un numero minore di rapporti su Israele o se io pubblicassi meno tweet. Non vogliono meno critiche contro Israele. Vogliono nessuna critica contro Israele.
L’altro argomento avanzato dai difensori di Israele è che Human Rights Watch ed io “demonizziamo” Israele, o cerchiamo di “suscitare repulsione e disgusto” nel pubblico. Di solito questo è un preludio all’accusa di “antisemitismo”.
La difesa dei diritti umani si basa sul documentare e rendere pubblica la cattiva condotta di un governo per indurlo a smettere. Questo è ciò che fa Human Rights Watch nei confronti dei governi di tutto il mondo. Equiparare tutto questo lavoro all’antisemitismo è assurdo. E pericoloso, perché sminuisce il gravissimo problema dell’antisemitismo riducendolo alla sola critica contro Israele.
Il problema ad Harvard va ben oltre la mia collaborazione accademica. Riconosco che, in quanto figura affermata nel movimento per i diritti umani, mi trovo in una posizione privilegiata. Il fatto che mi venga negata questa collaborazione non ostacolerà in modo significativo il mio futuro. Ma mi preoccupo per gli accademici più giovani e meno conosciuti. Se io posso essere cancellato a causa delle mie critiche ad Israele, loro rischierebbero di affrontare la questione?
La domanda finale riguarda la censura dei donatori. Perché un’istituzione accademica dovrebbe consentire la percezione che le preferenze dei donatori, espresse o presunte, possano limitare la ricerca e la pubblicazione accademica? A prescindere da ciò che è accaduto nel mio caso, la ricca Harvard dovrebbe prendere l’iniziativa.
Per chiarire il suo impegno nei confronti della libertà accademica, Harvard dovrebbe dichiarare apertamente che non accetterà contributi da sostenitori che cercano di utilizzare la loro influenza finanziaria per censurare il lavoro accademico, e che nessun amministratore sarà autorizzato a censurare gli accademici a causa delle possibili preoccupazioni dei donatori. Ciò trasformerebbe questo episodio profondamente deludente in qualcosa di positivo.
Kenneth Roth è stato direttore esecutivo di Human Rights Watch dal 1993 al 2022. Attualmente sta scrivendo un libro.
Articolo tradotto da originale pubblicato dal The Guardian.