Federico Faggin non è sicuramente un tipo banale. La sua traiettoria umana e professionale fanno di lui un personaggio con tutta probabilità destinato a lasciare un segno importante nella storia del pensiero occidentale. Vediamo perché.
Figlio di un filosofo, Giuseppe Faggin, traduttore tra l’altro delle Enneadi di Plotino, Federico, arrivato a quell’età della vita che segna il distacco dall’infanzia e introduce ai primi albori della giovinezza, dà una severa delusione alle aspirazioni paterne – i padri molto spesso tendono a volere figli, soprattutto se maschi, che riproducano la loro immagine magari migliorandola, e ahimè in questo sbagliano- e chiede di iscriversi all’istituto tecnico.
Superata la inevitabile ritrosia paterna ad avviare il suo ragazzo a studi che probabilmente considerava figli di un dio minore, Federico, trascorsi i regolamentari anni di studio, si diploma perito industriale, e dopo essere stato assunto all’Olivetti, si iscrive alla facoltà di fisica di Padova, la stessa dove tenne lezione Galileo Galilei, e nel 1965 vi si laurea con lode.
Il resto della sua biografia, che non vogliamo e non possiamo esaurire in questa sede, è punteggiata di successi e di imprese straordinarie. Federico Faggin, tanto per dare un’idea dello spessore scientifico e professionale del personaggio, è il padre del primo microprocessore, quell’oggetto che per molti è solo una misteriosa scatoletta indispensabile per far funzionare un computer, e ha anche contribuito allo sviluppo di tecnologie come il touchpad e il touchscreen; tecnologie che fino a qualche decennio fa avrebbero ben figurato in un romanzo di fantascienza; tecnologie che hanno prodotto sofisticati oggetti che la maggior parte di noi, poveri profani, considera distrattamente quasi fossero nati sugli alberi come le pere, e non prodotti che, come ad esempio gli smartphone, hanno richiesto invece per la loro realizzazione anni di studi e livelli di perfezione tecnologica elevatissimi.
Dunque l’uomo è questo, in una parola uno scienziato, un inventore e un imprenditore di grande talento trasferitosi negli Stati Uniti nell’ormai lontano 1968, anno che sappiamo, anche per altri e noti motivi, essere stato fatidico.
Da un uomo come lui, con queste credenziali e con questo curriculum, che ne fanno un più che rispettabile membro di quella che è oggi una vera e propria casta sacerdotale, quella degli scienziati, non ci si aspetterebbe certo un libro come Irriducibile (Mondadori), un libro che è un attacco frontale ad una concezione del mondo e della scienza che oggi va per la maggiore; una visione estremamente materialista e riduttivista della realtà, che i filosofi direbbero monista; visione secondo cui ciò che esiste è solo pura e dura materia, misurabile con criteri matematici, e osservabile in profondità solo con un microscopio elettronico o con un telescopio. Oltre a questi criteri rigorosamente materialisti, per la scienza ufficiale altre ipotesi relative ad un mondo che trascenda la materia sono solo favole e sogni buoni per i deboli di mente, per i preti e forse per i poeti.
Il premio Nobel italiano Giorgio Parisi si è espresso al riguardo affermando che Dio non è neppure un’ipotesi. E il pensiero? E la coscienza? Mah, solo epifenomeni, cioè fenomeni secondari e periferici di quella materia che costituisce tutta la realtà, e oltre alla quale nulla può esistere.
Fenomeni periferici dunque, creati da nient’altro che da impulsi elettrici, vibrazioni quantistiche, cose così, il tutto, secondo loro, spiegabilissimo con la Scienza, e se non proprio tutto tutto trova una spiegazione razionale, beh, non preoccupatevi, in futuro la spiegazione si troverà. Secondo costoro la Scienza è onnipotente.
In Irriducibile Faggin ribalta il dogma materialista affermando che il mondo nel quale siamo immersi è creato dalla coscienza, non il contrario; che la coscienza pervade l’universo e perennemente lo crea.
Proprio la coscienza, quella facoltà misteriosa che ci fa consapevoli della nostra esistenza, che ci dà il dono del libero arbitrio, e che in grado e misura differenti è presente in ogni essere vivente, proprio per trovare una ragione scientifica ad essa, Federico Faggin si immerse in un impegnativo lavoro volto a scoprirne i meccanismi e le ragioni più profonde.
Il suo ragionamento è stato semplice: se la coscienza è l’epifenomeno che dicono, originata e causata da sole e semplici basi materiali, allora sarà possibile operando correttamente produrre una macchina, un robot, un computer, un marchingegno insomma, capace di coscienza, capace cioè di essere consapevole di sé.
Ben presto Faggin si è reso conto dell’assoluta impossibilità dell’impresa; ed è giunto alla conclusione che nessun computer, per quanto sofisticato, per quanto quantistico, potrebbe anche solo lontanamente assomigliare, non si dice a quella cosa infinitamente complessa che è il cervello umano, ma neppure alle forme di vita più semplici, come ad esempio un’ameba o un batterio; che il salto che separa una macchina per quanto complessa e sofisticata da un essere vivente, fosse anche il più semplice, è abissale; non si tratta di una differenza quantitativa, ma di una differenza insuperabile, una differenza ontologica.
Federico Faggin nel suo libro non parla di Dio; Dio è una parola che non compare scorrendo le sue pagine neppure una volta. Ma seppure innominata, l’idea di Dio però vi aleggia costante, anche se Irriducibile non è un libro di teologia e non ha neppure la pretesa di esserlo.
L’autore si limita a raccontarci nella prefazione di una singolare esperienza di illuminazione, un lampo improvviso dell’anima venuto in una notte di solitudine dell’ormai lontano 1990 che ha fatto di lui un ricercatore inquieto, un uomo per il quale i dogmi, siano essi religiosi come pure scientifici non bastano più.Irriducibile è un’opera che attacca con argomenti piuttosto solidi l’edificio scientista-materialista, che stimola con un linguaggio tutto sommato accessibile- il libro ha anche in appendice un glossario, in cui il profano può farsi un’idea sommaria di parole per altro oscure come ad esempio entanglement quantistico o seity– in chi abbia il desiderio e la capacità di riflettere, pensieri importanti, pensieri che hanno la forza e il merito di interrogare il lettore, di portarlo in una dimensione altra, di elevarlo per fargli respirare aria di alta montagna, aria di vetta, aria sottile.