Nella realtà del calcio professionistico, una realtà nota per gli eccessi, le grandi quantità di denaro e i fenomeni di corruzione, fa specie notare le manifestazioni di religiosità da parte di alcuni giocatori tanto occidentali quanto orientali.
Se alcuni entrano in campo facendosi il segno della croce, altri ringraziano il Creatore prosternandosi sul terreno di gioco: dalle antiche olimpiadi ai moderni campionati mondiali di calcio, ecco la conferma che la natura umana resta profondamente legata e inevitabilmente soggiogata dalla superiore potenza divina.
Ma che legame esiste fra la cultura islamica e lo sport? Pochi, pochissimi anche fra gli stessi musulmani saprebbero rispondere in modo adeguato a questa domanda. Sembra che lo sport, già a partire dalla parola, sia un’altra invenzione tutta occidentale e che i paesi “illuminati” o meno dalla colonizzazione europea abbiano appreso dall’Occidente – assieme a tutto il resto – anche l’arte di passare il tempo libero mantenendosi in buona forma fisica e mentale.
Per ottenere una visione più obiettiva ci viene in soccorso Salim Al-Hassani, professore di ingegneria meccanica all’Università di Manchester, presidente della “Foundation of Science, Technology and Civilisation” (FSTC), fondatore del sito www.MuslimHeritage.com e principale curatore della celebre opera “1001 Inventions: Muslim Heritage in our World”.
Fra i tanti studi condotti, il prof. Al Hassani ha preso in esame anche il mondo dello sport, per mettere in luce come molte attività sportive siano nate fuori dall’Europa. È il caso, ad esempio, del cricket praticato in India già dal 700 d.C. e del polo nato e giocato fin da tempi remoti in Persia e in Afghanistan come testimoniato da miniature e disegni di artisti locali.
Come non ricordare che anche il Profeta Muhammad (Iddio lo benedica e gli dia la pace) amava la pratica sportiva, che praticava tanto in famiglia (celebri le sue corse con la giovane moglie ‘Aishah) che con i suoi Compagni. Le autentiche sentenze profetiche e le cronache di Ibn Kathir riportano l’episodio in cui il Compagno Ibn Rukanah al Qurashi sfidò nella pratica della lotta il Profeta Muhammad stesso. Alla terza prova, esausto, Ibn Rukanah si rivolse al Profeta dicendogli: “O Muhammad, nessuno mai prima di te era riuscito a mettermi a terra!”.
Sono parimenti attestate le esortazioni del secondo califfo dell’Islam, ‘Umar ibn al Khattab, all’allenamento ed all’istruzione dei giovani al tiro con l’arco, al nuoto, all’ippica. D’altro canto, sulla base dei principi islamici i sapienti hanno frequentemente ribadito l’importanza della pratica sportiva, ad eccezione di quanto può causare danni fisici, come non di rado avviene nella moderna boxe.
Allo sport, inteso quale attività di rafforzamento del fisico e della mente, la prospettiva islamica lega l’allenamento del carattere del giocatore per sviluppare qualità prettamente etiche come l’onestà, la condivisione, la generosità, la fiducia, il coraggio, l’altruismo.
Dello sport si sono occupati, perciò, sapienti musulmani fin dai tempi più remoti: l’esperto andaluso di lingua araba ibn Sidah (morto nel 1067 d.C.) nella sua opera “al Mukhassis” elencò ben 42 nomi di discipline sportive; dopo di lui il celebre Ibn Manthur (deceduto nel 1311) nel monumentale dizionario “lisan al ‘arab” aggiunse all’elenco molti altri nomi di discipline e attività sportive, accompagnandoli con la descrizione dettagliata delle regole di gioco.
Le cronache storiche riportano con frequenza l’interesse alla pratica sportiva anche da parte di califfi, sultani, condottieri, letterati e sapienti, in continuità con l’esempio profetico ed in applicazione della visione olistica dell’Islam, che mira al benessere umano in ogni aspetto dell’esistenza umana.
L’organizzazione da parte del Qatar dei mondiali di calcio sembra rievocare molti di questi aspetti della pratica sportiva, vista non come mero intrattenimento, ma strumento per raffinare e nobilitare il carattere di chi gioca e di chi osserva giocare. Certamente con l’esborso di enormi somme di denaro, ma anche con saggezza, i mondiali di calcio in Qatar sono stati l’occasione per far conoscere al mondo, ma in particolare al mondo occidentale, l’ospitalità araba, la ricchezza della cultura dei musulmani e la profondità della religione islamica.
Forse quello di più importante che questa manifestazione sportiva ha dato l’occasione di vedere è un aspetto diverso dell’Islam. Per molti occidentali, abituati a vedere l’Islam ed i musulmani rappresentati con stereotipi di ignoranza e violenza, questo evento ha forse aiutato a comprendere che, per il musulmano, l’Islam non è una semplice “religione” ma uno stile di vita, un modo naturale di esprimere l’amore per il Creatore e il bisogno naturale di sottomettersi a Lui in ogni momento dell’esistenza.
A questo hanno contribuito certamente anche i giocatori di squadre come il Marocco, che non hanno esitato a prosternarsi in campo per ringraziare Dio della vittoria ottenuta, come pure abbracciare e baciare i propri genitori per averli cresciuti ed educati secondo questa luminosa etica e questi nobilissimi principi.
Senza grandi discorsi, sono bastati pochi ed in apparenza umili gesti per segnare tutta la diversità fra una parte del mondo tronfia della sua superiorità materiale e tecnologica ma preda della decadenza morale più abbietta, ed un’altra parte che, con molta o poca ricchezza materiale, è stata capace di mantenersi sufficientemente fedele alla propria identità ed ai propri principi.