I media occidentali non perdono occasione per definire l’Ucraina una democrazia, ma dopo 8 anni di guerra civile tra nazionalisti da una parte e il resto del popolo dall’altra, di questa democrazia non è rimasto nulla. Questo Paese, come del resto anche la vicina Moldavia, si reggeva di fatto sull’alternanza di potere tra filorussi e filo-occidentali, e sono stati questi ultimi a volersi impadronire del potere per gestirlo da soli, fomentati dalla NATO.
Addirittura l’attuale presidente Zelensky è stato eletto con un programma di riconciliazione nazionale, in cui denunciava l’estremismo di Petro Poroscenko (il presidente che aveva detto ai suoi cittadini di lingua russa che avrebbero vissuto con i loro figli nelle cantine). Una volta eletto, è diventato peggiore del suo predecessore, ed il programma di riconciliazione è stato completamente rimangiato, come del resto sono stati disattesi gli Accordi di Minsk (con il pieno accordo dell’UE, come ha confessato Angela Merkel).
Il Rapporto sulla situazione dei diritti umani in Ucraina dal 16 febbraio al 15 maggio 2016, pubblicato nel giugno 2016 dall’Ufficio delle Nazioni Unite dell’Alto Commissario per i diritti umani (OHCHR), ha affermato che “la detenzione arbitraria, la tortura e i maltrattamenti rimangono profondamente radicati pratiche” nella regione, suggerendo che questi problemi sono più diffusi rispetto al numero limitato di casi indagati da Amnesty International e Human Rights Watch.
Negli anni successivi, la situazione è peggiorata, con violazioni dei diritti delle minoranze etniche, principalmente contro i russi, ma anche contro altre minoranze, come romeni e ungheresi, tanto da provocare proteste da parte delle autorità di quei paesi a cui i cittadini vessati si sono rivolti. A tutto ciò si è aggiunta la guerra, che ha reso ancora più imprevedibile il comportamento delle forze di sicurezza, che possono agire senza le garanzie di uno Stato di diritto.
L’opposizione, che era composta otto anni fa da ben 14 partiti, è stata gradualmente messa fuorilegge con accuse di tradimento, e ci sono stati intellettuali pacifisti che sono stati uccisi in circostanze misteriose. Ad esempio, nessuno ha alzato un dito quando, nel 2015, gli squadroni della morte uccisero il noto giornalista televisivo Oleg Buzina, mentre contro Putin è accaduto il finimondo quando è stata uccisa Anna Politkovskaya.
Nel maggio scorso, Elena Berezhnaya, fondatrice e direttrice dell’Istituto di Politica Giuridica e Protezione Sociale ucraino, la più nota attivista ucraina per i diritti umani, è stata sequestrata dopo essere stata arrestata dalla polizia nel suo appartamento e portata al dipartimento di polizia del distretto di Goloseevsky. Dopo un giorno l’hanno poi portata alla SBU, i Servizi di Sicurezza, dopodiché nessuno ne ha saputo nulla. In due articoli, il sito Cambia il Mondo mette insieme un anno di sparizioni con persone comuni rapite dalla SBU nelle loro case per essersi opposte alla guerra e per essersi battute per la riconciliazione nazionale. (https://cambiailmondo.org/2022/05/30/la-piu-nota-attivista-ucraina-per-i-diritti-umani-e-sociali-elena-berezhnaya-e-stata-arrestata-e-sequestrata-a-kiev/)
L’assassinio del giornalista d’opposizione Buzina è stato l’ennesimo di una lunga serie. Il suo omicidio è avvenuto all’indomani dell’uccisione di un altro alleato del deposto presidente Victor Yanukovych, l’ex deputato Oleg Kalashnikov.
Tra le vittime degli arresti da parte della SBU c’è anche il regista cileno Gonzalo Lira, che aveva denunciato su Twitter gli arresti arbitrari di sindacalisti, politici, giornalisti e attivisti per i diritti umani. Aveva dichiarato: “Volete sapere la verità sul regime di Zelensky? Cercate su Google questi nomi: Vladimir Struk, Denis Kireev, Mikhail e Alexander Kononovichi, Nestor Shufrich, Jan Taksyur, Dmitry Dzhangirov, Elena Berezhnaya”. Qui potete trovare una lista impressionante di arresti arbitrari di attivisti. (https://cambiailmondo.org/2022/08/01/arrestati-perseguitati-braccati-retate-e-rappresaglie-in-ucraina-ii-parte/)
Finalmente, è scoppiato il caso sulla stampa mainstream della revoca dei permessi per alcuni giornalisti freelance, tra cui 8 italiani, da parte del regime ucraino, che li avrebbe addirittura accusati di collusione con i russi. Questi casi hanno portato alla luce la mancanza di libertà di stampa di associazione per qualunque opposizione a Zelensky, compresi i pacifisti fautori della non violenza, che devono sfuggire alla repressione e agli arruolamenti forzati.
Dopo il bando di 215 cittadini stabilito per legge ai tempi di Poroshenko, la nuova legge sulla regolamentazione dei media, varata appena un mese e mezzo fa, pone tutte le trasmissioni televisive, radiofoniche, mezzi di informazione online e cartacei, singoli giornalisti, blogger e attivisti sui social media sotto la pesante mannaia della censura preventiva del NSDC – Consiglio nazionale per la sicurezza e la difesa (controllato dalla fazione neonazista del partito “Servitori del Popolo”), che ora ha il potere di multare i media, revocare le loro licenze, bloccarli online, senza un ordine del tribunale, qualora “osassero” proporre un’informazione non “consona” alla propaganda di regime.
La stampa è già di fatto sotto il controllo dei potentissimi servizi segreti della SBU, gli stessi che hanno stilato le liste dei nemici dell’Ucraina, infilandoci dentro persino Henry Kissinger e Al Bano, solo per aver cantato in Russia diversi anni orsono. Sono circa 4000 i giornalisti, i politici, gli artisti schedati, tra cui anche il nostro Andrea Rocchelli, assassinato assieme al cameramen dall’esercito di Kiev nel Donbass diversi anni fa e sulla cui foto c’è scritto “liquidato”. Anche lui, come gli altri, è classificato come nemico del popolo ucraino per aver descritto in modo imparziale la guerra civile e le sue atrocità. La motivazione che ricorre anche nel caso dei cronisti italiani è che si siano recati almeno una volta nel Donbass ribelle. E non importa quanto questi nostri cronisti siano filo-ucraini o neutrali (fino al punto che non volevano nemmeno dare visibilità al loro caso per non danneggiare la causa gialloblu).
Dall’ottobre scorso, nella famigerata blacklist del sito Mirotvorets, assieme ad altre 4000 persone, figura anche il nome del Cavaliere nel silenzio della politica italiana. Le accuse per Silvio Berlusconi e per molti altri sono:
- Complice degli invasori e dei terroristi fascisti (sic) russi.
- Complice dei crimini delle autorità russe contro l’Ucraina e i suoi cittadini.
- Violazione deliberata del confine di stato dell’Ucraina (Yalta, Repubblica autonoma di Crimea, 09/11/2015), insieme a Vladimir Putin.
La schedatura comporta un rischio personale da non sottovalutare, e basta niente per finirci dentro. Quando qualcuno viene ucciso, come è accaduto a Daria Dugina, scrivono semplicemente “liquidata”.
Il governo e il parlamento italiano non hanno nulla da dire riguardo ai cittadini italiani schedati dal regime ucraino, mentre Giorgia Meloni si è precipitata a Kiev ad abbracciare Zelensky, promettendogli un sostegno imperituro, passando sopra alla corruzione ben nota del regime. Come dicevano i neocoon del dittatore di Panama Noriega: è un figlio di…, ma è il nostro figlio di…, e come lui ce ne sono stati molti altri. Dittatori e presidenti che combattevano guerre per procura, come quello del Vietnam del Sud mollato dagli americani da un giorno all’altro nel 1975 ed ucciso in circostanze misteriose.
È possibile vedere qui l’intera blacklist: https://myrotvorets.center/criminal/berluskoni-silvio/.
Quando giornalisti come Giorgio Bianchi o attivisti come Sara Reginella e molti altri denunciavano la reale natura del regime di Kiev e i bombardamenti sulla popolazione civile del Donbass, venivano classificati come putiniani e le loro dichiarazioni diventavano fake news. Ma come sempre, la verità prima o poi sale a galla.
Secondo fonti ben informate, dietro il sito c’è l’intelligence USA, per ammissione di uno di loro, Andrew Weisburd, che aveva iniziato a collaborare già nel 2015.
I cronisti italiani si sono accorti solo adesso della situazione, rifiutandosi di vedere quello che cozza con la narrazione mainstream, finché come adesso sono costretti a farci i conti.
“Noi crediamo”, afferma Salvatore Garzillo, uno dei freelance finiti nella lista nera del regime, all’ANSA, “che l’Ucraina, che è un Paese che sta tentando con grande coraggio e tenacia di entrare in Europa, non possa avere una blacklist. Perché nelle regole d’ingaggio dei Paesi in Europa non ci sono le blacklist.” E afferma anche: “Non so onestamente perché io possa essere ritenuto un nemico dell’Ucraina, visto che in questi anni non ho fatto altro che raccontare, da cronista, il conflitto, stando sempre dalla parte della popolazione”. In realtà, basta nominare di sfuggita la guerra civile del Donbass per essere schedati, anche se si tratta di giornalisti mainstream allineati con la narrazione ufficiale. E del resto, gli americani sono degli esperti di liste nere, dai tempi del maccartismo fino al Muslim Ban, e il regime di Zelensky segue fedelmente le loro orme sporche di sangue.
Andrea Sceresini, un altro degli 8 giornalisti italiani ai quali è stato ritirato l’accredito, afferma: ‘L’Ucraina dovrà dimostrare che non è un Paese come la Russia: queste cose accadono in Russia’ (fonte Tag 24 / Unicusano). In realtà, è un Paese ben peggiore della Russia oggi da molti punti di vista, a partire dagli indicatori economici, visto che ci sono quasi tre milioni di ucraini emigrati in Russia volontariamente negli ultimi dieci anni. Le varie denunce sottoposte al Parlamento Europeo dall’IMI – Institut Masovoi Informacii (Istituto dei mass media ucraini) e da Reporters Senza Frontiere sono state frettolosamente archiviate, come denuncia F. Beltrami su Il Faro di Roma. Nel solo 2019, l’IMI segnalava 229 casi di violazioni di libertà di parola e 171 casi di aggressione fisica ai danni dei giornalisti, con diversi casi di assassinio perpetrati in via extragiudiziale da veri e propri squadroni della morte in stile latino americano.
Il blogger ucraino Gleb Lyashenko, oppositore di Zelensky, è stato arrestato a Leopoli ed accusato di alto tradimento e rischia 15 anni di carcere. Il suo ‘crimine’ è aver scritto: ‘Per 8 anni la Russia ha chiesto e persino implorato l’Ucraina di cambiare rotta… l’Ucraina ha rifiutato per 8 anni. Ed ecco il risultato.’ Su questo caso, i debunker stranieri hanno anche tentato di far passare questa notizia come disinformazione, asserendo che il blogger avrebbe inventato notizie delle quali si sarebbe servita la propaganda russa. Da quello che possiamo vedere dall’articolo di Butac, il blogger avrebbe semplicemente espresso una narrazione differente da quella ufficiale, cosa che è molto diversa dall’inventare notizie di sana pianta. Anche perché seguendo questo ragionamento, ad esempio, chi attribuisce la strage di Bucha agli estremisti neonazisti invece che ai russi sulla base di ragionamenti e prove dovrebbe andare in prigione ed invece così non è in una democrazia. Invece, in Ucraina basta molto poco per finire in carcere o al cimitero.
In questo passaggio si fa riferimento alla situazione dei giornalisti italiani che lavorano in Ucraina e alla preoccupazione per la loro sicurezza, in particolare dopo la promulgazione di una legge che permette di vietare i partiti politici.
Si evidenzia anche l’arresto di Anatoli Sharí, un noto giornalista ucraino critico nei confronti del regime di Kiev, che è stato accusato di “alto tradimento” e “violazione della parità dei diritti dei cittadini per motivi di razza, nazionalità, convinzioni religiose, disabilità e altre caratteristiche”. Si afferma che queste accuse sono assurde, dato che il governo ucraino si basa sull’odio etnico e ha portato avanti una guerra civile. Si conclude con la frase “Come sempre la prima vittima della guerra è la verità”, sottolineando la difficoltà di ottenere informazioni accurate e oggettive in situazioni di conflitto.