Sono trascorsi ormai quasi ottant’anni da quei terribili giorni di una primavera ormai matura, quando il nord Italia fu travolto da un’ondata di esecuzioni e di atrocità, di cui la macabra e raccapricciante esposizione dei cadaveri dei gerarchi fascisti, di Benito Mussolini e di Claretta Petacci, appesi a testa in giù alla tettoia di un distributore di benzina di piazzale Loreto a Milano, costituisce l’episodio più emblematico e famoso, ma certo non l’unico.
Non ci fu pietà per chi aveva combattuto dalla parte sbagliata della Storia, cioè dalla parte degli sconfitti. E per anni su quelle vicende, su quella brutalità esercitata su gente ormai inerme, in Italia si è taciuto, e ancora oggi si sorvola. Ci sono voluti i libri di Gianpaolo Pansa, tra cui il più famoso è senz’altro Il sangue dei vinti, usciti agli esordi del nuovo millennio per aprire una breccia nel muro compatto di una versione dei fatti ufficiale molto celebrativa, ma parziale e incompleta; breccia peraltro presto pudicamente richiusa, poiché oltre a qualche ministeriale cerimonia rievocativa, con l’istituzione del giorno della memoria per le vittime delle foibe, non si va.
Secondo lo storico Renzo De Felice, autore di una monumentale opera su Mussolini e il fascismo, uno dei rari studiosi che fu capace di affrontare una materia tanto complessa e spinosa col dovuto distacco e imparzialità, e per questo non gli furono risparmiate accuse di “revisionismo” se non peggio, nessun regime totalitario trionfante e coevo del fascismo in Europa può confondersi col regime mussoliniano. Non il nazismo tedesco, non il falangismo spagnolo, non la Guardia di ferro di Codreanu e il regime di Antonescu in Romania, e ovviamente, neppure il comunismo staliniano imperante in quell’epoca in Unione Sovietica.
Vi sono certo dei punti in comune; ma il regime italiano non fu mai, a differenza di quello tedesco e di quello comunista in Russia, padrone assoluto del paese. Il potere del fascismo fu mitigato dalla presenza di una chiesa Cattolica mai ridotta al silenzio e molto ben radicata in Italia, con la quale nel 31 andò in rotta di collisione per il controllo della gioventù, e da una monarchia che, dopo averlo di fatto messo al potere, lo fiancheggiò e condivise con lui anche le scelte più sciagurate, tra cui le leggi razziali antiebraiche promulgate nel 38, l’aggressione all’Etiopia e la dichiarazione di guerra del giugno del 40 a Francia e Gran Bretagna.
Quella monarchia sabauda, impersonata da un piccolo re, Vittorio Emanuele III, piccolo in tutti i sensi, il 25 luglio del 43, con un colpo di Stato, destituì e fece arrestare Mussolini. L’otto settembre fu reso noto l’armistizio con gli angloamericani. Dopo un’ingloriosa e tragica fuga, tragica soprattutto per le forze armate lasciate a se stesse, con una giravolta acrobatica il re si alleò con quelli stessi angloamericani che erano stati nemici fino al giorno prima, sotto i cui bombardamenti l’Italia era stata martoriata, e combattendo i quali erano morti soldati italiani a decine di migliaia.
Il fascismo non fu, sempre secondo il grande storico Renzo De Felice, come per molto tempo si è creduto, accreditando la versione principalmente diffusa in ambito socialcomunista, un movimento reazionario creato, finanziato e armato dal grande capitale agrario e industriale in funzione antiproletaria, ché grande capitale e latifondisti agrari, colta l’occasione, semmai lo fiancheggiarono, ma certo non lo crearono; fu piuttosto un grande movimento di massa, la cui base era costituita in grande maggioranza da una piccola e media borghesia spaventata, dopo il cosiddetto biennio rosso, dal pericolo socialcomunista, e la cui ideologia di base fu un vitalismo filosofico, condito da suggestioni socialistiche e soreliane associate a un nazionalismo esasperato nutrito dal mito della vittoria mutilata, e si ingrossò e crebbe anche militarmente grazie all’apporto di un gran numero di reduci tornati disillusi dalle trincee della prima guerra mondiale e di altri scontenti.
Mussolini, che ne fu fino alla sua morte il leader carismatico indiscusso, soppresse la democrazia liberale, che fino a quel momento era stata il sistema di governo in Italia, per sostituirla con un regime dapprima autoritario che poi, dopo l’assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti, si fece nel tempo regime totalitario, ma che non mancò, specie verso la metà degli anni trenta del secolo scorso, di godere di un consenso praticamente plebiscitario.
Quella fascista fu una vicenda umana e politica tragica, in primis per i suoi stessi protagonisti, ma fu tragica soprattutto per l’Italia e per il popolo italiano a cui per circa vent’anni furono tolte libertà essenziali e fu condotto obtorto collo in una guerra catastrofica.
L’Italia è dunque dalla fine del secondo conflitto mondiale, ed in forza di una carta costituzionale che lo sancisce, una repubblica antifascista nata dalla Resistenza, cioè dall’azione militare delle forze antifasciste scese in guerra contro il regime e i suoi alleati tedeschi.
Il fascismo, come si è detto, morì una volta per sempre in quei giorni di una primavera ormai lontana quasi ottant’anni. Morto e sepolto. Un’esperienza politica, quella del ventennio, molto peculiare, irripetibile, se vogliamo molto italiana, che non ebbe e non ha equivalenti nel mondo.
La presenza in Italia di sparuti raggruppamenti extraparlamentari che confusamente si richiamano all’armamentario ideologico fascista, lungi dal rappresentare un segno della sua esistenza in vita, testimonia il contrario, cioè l’assoluta marginalità e irrilevanza di questa ideologia. E comunque nessun gruppetto genericamente etichettato come neofascista pensa seriamente di poter far rivivere in Italia il ventennio.
Il fascismo dunque è morto e sepolto, ma non è morto e tantomeno sepolto l’antifascismo, cioè l’opposizione ideale e non solo al fascismo. L’antifascismo in Italia è, e non da oggi, più che una tendenza politica, più che un’ideologia, una vera e propria religione. Come ogni religione che si rispetti, l’antifascismo non tollera che ne siano messi in discussione o contestati i dogmi.
Dogma principale di questa religione è che il fascismo non sia morto, ma sia sempre pronto a risorgere dalle sue ceneri e ogni buon antifascista è tenuto a vigilare perché non si verifichi questo evento sommamente infausto.
Il fascismo, nell’immaginario collettivo antifascista, ricorda Sauron, l’Oscuro Signore, la malefica entità del romanzo fantasy di Tolkien, che nonostante la sconfitta subita in un’epoca remota, risorge e minaccia e opera per la distruzione e la riduzione in schiavitù del mondo; degli uomini, degli hobbit, dei nani, degli elfi.
Altro dogma di questa religione è l’assunto secondo il quale la storia della Resistenza debba essere sempre e solo declinata come storia del bene assoluto contro il male assoluto. Inoltre il culto prevede, in questo supportata da tutto il mondo mediatico cosiddetto mainstream, che chiunque sottoponga ad analisi critica, o con leggerezza si pronunci su un episodio della stessa mettendo in discussione o criticando l’operato delle forze partigiane antifasciste, debba essere additato al pubblico ludibrio, censurato e costretto, se ci tiene al posto, a pubbliche scuse ed abiura.
Il recente episodio del presidente del senato Ignazio La Russa che incautamente, e a onore del vero con una certa leggerezza, ha criticato l’attentato di via Rasella, attentato che provocò una rappresaglia nazista costata 335 morti, è a questo proposito emblematico.
Così come emblematico è quanto accaduto a seguito dello scontro fisico che ha avuto luogo il mese scorso di fronte al Liceo Michelangiolo di Firenze fra studenti di sinistra e altri facenti parte di un’organizzazione giovanile vicina a Fratelli d’Italia, partito attualmente al governo. Scontro che ha fatto scattare l’allarme antifascista, come se quella che in fondo può essere derubricata come una banale rissa fra studenti fosse una spedizione punitiva delle risorte squadracce fasciste operanti nei primi anni venti del secolo scorso, e che ha avuto come automatica conseguenza una manifestazione nazionale ripresa da tutti i media, con annessa passerella per i maggiori rappresentanti dei partiti di opposizione, e occasione colta al balzo dalla nuova segretaria woke del PD, Elly Schlein, per debuttare in gran spolvero sulla scena politica nazionale.
L’Italia è dunque un paese antifascista, religiosamente antifascista: è antifascista il suo presidente, lo è la sua Costituzione, che qualcuno ha definito la più bella del mondo, lo sono le sue istituzioni.
Perfino il suo attuale Presidente del Consiglio, una signora ancora piuttosto giovane, cresciuta e formatisi politicamente in un partito che ancora ha una fiamma tricolore per emblema, e che è il diretto discendente del Movimento Sociale Italiano, il partito che raccolse nel dopoguerra i reduci e i sopravvissuti del fascismo, ha dichiarato e più volte ribadito di non aver nulla a che fare con quella storia e di non avere alcuna simpatia per Benito Mussolini.
L’ antifascismo è come si è visto, più che un’ideologia politica, più che una visione di fatti storici su cui ci si possa serenamente confrontare, è una mitologia di cui spesso il potere, quello vero, quello della politica, e dei media, si serve per crearsi una verginità fittizia.
Infatti, in questo nostro paese così radicalmente antifascista, non ci si è fatti scrupolo, conculcando i più elementari criteri di democrazia e di libertà personale, in barba al dettato costituzionale, nei due anni di pandemia, in nome della salute, di rinchiudere il popolo italiano agli arresti domiciliari; di costringere le persone a sottoporsi obbligatoriamente a un vaccino ancora sperimentale e incapace di impedire il contagio, e di negare a chi lo avesse rifiutato il diritto alla mobilità e al lavoro.
Sempre in questo nostro paese antifascista, con la Costituzione “più bella del mondo”, che rifiuta la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, il governo italiano, in questo supportato da tutto il mondo mediatico che conta, e da quasi tutta la totalità della politica, è intervenuto pesantemente con la fornitura di armi e con altri mezzi di appoggio militare in un conflitto sanguinoso, quello tra Russia e Ucraina, schierandosi con l’Ucraina, e affrontando il rischio di un diretto coinvolgimento in una guerra nucleare, senza che i cittadini italiani su una questione tanto seria e potenzialmente catastrofica siano stati minimamente consultati.