Lodovico Idris Zamboni è nato nel 1958, si è laureato in arabo presso all’università Ca Foscari di Venezia nel 1991. Nel 2005 fonda le “Edizioni Orientamento-Al Qibla, per, come recita il relativo sito web “per la conoscenza dell’Islam e del Tasawwuf, e della Tradizione Sacra in generale, letta alla luce della Grazia muhammadiana”.
Lo abbiamo intervistato sul suo lavoro, sul Tasawwuf e l’iniziazione.
Le Edizioni Orientamento – Al Qibla che animi e dirigi stanno offrendo ai Musulmani in Italia testi di primaria importanza, di grande profondità. Vuoi parlarcene?
Il lavoro che sto conducendo, coadiuvato da un gruppo di collaboratori, risale a metà degli anni ’90 e riguarda la traduzione di testi islamici con i loro commentari. Abbiamo cominciato con il Corano traducendo la Sura XIX, intitolata a Maria. Il testo, naturalmente, e due commentari per intero, uno diciamo exoterico, quello di Ibn Kathir, e per quanto riguarda l’esoterismo Al-Qashani; abbiamo poi citato quanto v’era di utile per una migliore comprensione del Testo sacro un’altra decina di tafasir (tafsir, pl. tafasir, commentario del Corano). I tafasir non sono propriamente una ‘esegesi’ come quella contemporanea, ma piuttosto rendono conto di come il Corano è stato letto e compreso dal Profeta Muhammad (pbsl), dai suoi Compagni e da quei sapienti che nel tempo sono a loro succeduti; ecco che piuttosto che essere opere di teologia razionale, sono supporti alla contemplazione.
Dunque il musulmano che legge il Corano con il tafsir lo legge alla luce dell’esperienza profetica, e di quella dei sapienti che lo hanno preceduto. Questo lavoro, molto gravoso e mai stato affrontato in Occidente in maniera organica, ci ha portato ad affrontare una mole immensa di dati tradizionali. Come dicevo poc’anzi abbiamo cominciato dalla Sura di Maria, poi abbiamo affrontato la Sura III, detta ‘della Famiglia di Imran’, perché entrambe contengono elementi importanti per chi proviene da un ambiente cristiano. In seguito abbiano pubblicato il tafsir della Sura Aprente, la Fatiha, ed attualmente abbiamo praticamente terminato il lavoro sulla seconda Sura, Al-Baqara, che ci ha impegnato per una decina d’anni. Oltre a ciò ci stiamo dedicando alla traduzione con relativo tafsir, per quanto meno approfondito, dell’intero Testo coranico e il prossimo anno ne inizieremo se Dio vuole la pubblicazione.
Quindi il vostro lavoro si rivolge al Corano…
Non solo. Ci sono anche gli ahadith, cioè i resoconti tradizionali dei detti e dei fatti relativi al Profeta Muhammad. Si tratta di lavorare su di un numero enorme di tradizioni profetiche (circa centomila le più importanti); abbiamo scelto la raccolta più famosa, il Sahih di Al-Bukhari, che comprende oltre settemila hadith. Per questa raccolta esistono commentari molto utili, che ci danno modo di approfondire la comprensione dei vari hadith: in questo modo possiamo presentare la traduzione dei vari resoconti tradizionali accompagnata da un commento che faccia comprendere tutto quanto è necessario per una comprensione più profonda del hadith.
Tu insisti sull’importanza dei commentari, ci puoi spiegare meglio questa importanza?
Se in teoria basta conoscere l’arabo per tradurre il senso esteriore del hadith, in pratica per comprenderne i significati profondi (ed anche per non fare errori di traduzione) è invece necessario poter accedere ai commentari. Faccio un esempio: abbiamo tradotto un testo, “I Giardini dei devoti” (Riyadu s-salihin) di An-Nawawi, che è una ‘vulgata’ molto utile che raccoglie i principali hadith profetici, un libro che tutti i musulmani dovrebbero avere nelle loro case. Ora, questo testo era già stata tradotto da un musulmano serio, che conosceva l’arabo, eppure abbiamo potuto verificare che circa una metà degli ahadith erano stati tradotti in maniera sbagliata, o comunque scorretta, e questo, penso, perché non ci si era dato il tempo di studiare appunto i commentari. Inutile dire che in queste cose, tenendo conto dell’importanza che le fonti scritturali hanno per i Musulmani, gli errori e le imprecisioni nella traduzione possono nuocere gravemente al loro culto e alla loro vita tradizionale. Voglio anche ricordare che ci siamo avvicinati anche al fiqh, la giurisprudenza islamica, pubblicando la traduzione della Risala di Ibn Abi Zayd al-Qayrawani, un testo fondamentale di diritto malikita, ad anche alla ‘poesia sacra’ dell’Islam, con un poema molto conosciuto di Lode al profeta Muhammad, la cosiddetta Burda (o ‘Poema del mantello’) di Al-Busiri, nonché ad un argomento spesso tralasciato, quello della ‘Preghiera sul Profeta, con i Dalail al-khayrat di Al-Giazuli.
Quindi traducete e pubblicate solo opere per così dire classiche?
No, ci siamo dedicati anche alla traduzione dal francese di testi scritti da Charles-André Gilis, un autore allievo di Michel Valsan, che prende spunto dalle opere di Ibn Arabi. Per prima cosa un libro molto bello sul Pellegrinaggio, e un altro sulla concezione esoterica del califfato. Gilis compie un lavoro per noi fondamentale traducendo la terminologia ‘guenoniana’ in termini islamici e quella islamici in termini guenoniani, costruendo un ponte tra Ibn Arabi e i lavori di René Guenon, importantissimo per noi Musulmani dell’occidente e non solo.
A proposito di questi argomenti, vuoi parlarci di quella che voi chiamate iniziazione? Hai trovato dei riferimenti ad essa nei testi che hai studiato?
Faccio alcune premesse. Prima di tutto si deve ricordare che quello che di solito si conosce di questa materia è poco, e spesso deviato e fuorviante. Non parlo solo del ciarpame giornalistico, impegnato in polemiche tendenziose e comunque in ragionamenti del tutto superficiali, ma anche degli orientalisti, che purtroppo spesso cadono in banalizzazioni e non vanno a fondo delle cose.
Poi la terminologia: useremo ad esempio in mancanza di meglio i termini ‘exoterico’ ed ‘esoterico’, ad indicare due diversi ambiti, due modi diversi di vedere le cose; si tratta però di termini di origine greca che si possono applicare all’Islam solo con qualche cautela, ad esempio osservando come, pur essendo i due ambiti di cui s’è detto nettamente diversi, il passaggio dall’uno all’altro nell’Islam avviene a volte in modo quasi impercettibile, anche grazie alla Lingua sacra, l’arabo coranico, che permette sempre letture molteplici del Testo.
Così, Ibn Kathir, l’autore di un tafsir exoterico che abbiamo tradotto nei nostri lavori sul Corano, era ricollegato ad una confraternita, ed è sepolto a Damasco nel ‘cimitero dei Sufi’; il suo tafsir contiene spesso riferimenti alle Gerarchie esoteriche nascoste, e tutto questo a testimoniare come i due ambiti siano profondamente permeati. Altro pregiudizio che dovremmo superare è quello che in Islam ci sia una rottura radicale, un odio insanabile, tra exoterismo ed esoterismo.
Questa opposizione non esiste nei termini in cui la vediamo nel mondo cristiano, dove ad un dato momento della storia la Chiesa, e dunque la Religione esteriore, è andata da una parte, e l’iniziazione (nel caso di specie una iniziazione di mestiere, la Massoneria) dall’altra.
Nell’Islam questo non è mai esistito fino a poche decine di anni fa, quando una parte dell’intellighenzia musulmana ha paradossalmente introiettato, anche se in modo inconsapevole, certe idee veicolate da orientalisti maliziosi, come Massignon, che puntavano appunto a distinguere tra “Islam cattivo e Sufismo buono”, e più in generale ha fatto propri certi preconcetti tipici del mondo anglosassone e protestante, come l’idea di una ‘semplificazione’ della Religione, da cui viene espulso tutto ciò che non è conforme al modo di pensare dell’uomo ‘uniformato’ moderno.
Quello che invece esiste ed è ben conosciuto è la diffidenza che chi gode di un livello spirituale piuttosto limitato prova nei confronti di chi ha un grado superiore al suo, o d’altra parte gli errori che commettono coloro che pretendono di far parte dell’élite spirituale ma in realtà non ne fanno parte (o dei gradi elevati, realizzano solo alcuni aspetti e non altri). Non a caso si tramanda che il Profeta disse: “Non fa parte di noi chi non ha misericordia del piccolo tra noi, e non riconosce la nobiltà di chi è grande tra noi”, laddove si può intendere che il ‘piccolo tra noi’ è chi non arriva a conoscere certi aspetti elevati, e ‘il grande tra noi’ è invece chi li conosce e li realizza.
Ribadisco comunque che nell’Islam questa frattura tra ‘exoterismo’ ed ‘esoterismo’ non è mai stata reale: tra gli immigrati che frequentano le moschee in Italia ad esempio, ci sono molti credenti ricollegati ad una via esoterica, e talvolta a livelli di realizzazione anche elevati. Quando si parla del contrasto di cui sopra viene spesso citata la storia di Al-Hallaj, che sarebbe un martire dell’esoterismo ucciso dai letteralisti islamici.
In realtà le cose non stanno così, con buona pace di Massignon, perché è lo stesso Maestro indiscusso dell’esoterismo islamico, Ibn Arabi, a descrivere nelle Futuhat una propria ‘visione veritiera’ nella quale il Profeta rifiuta di perdonare Al-Hallaj, in ragione di una frase del tutto inopportuna pronunciata da questi.
Dopo queste premesse veniamo più direttamente alla tua domanda relativa all’iniziazione nell’Islam. Innanzi tutto sull’accesso alla via iniziatica dobbiamo considerare due concetti fondamentali, quello di silsila, la ‘Catena’ spirituale che nel caso dell’Islam risale al Profeta Muhammad e la ba‘ya, il Patto iniziatico che si stringe con qualcuno che abbia la funzione di trasmettere la baraka (la Benedizione, o Influenza spirituale): ne parlo subito da una parte perché è la prima cosa che si incontra quando si intende mettersi in Cammino, e dall’altra perché a volte viene messo in dubbio che cose del genere abbiano un fondamento nell’Islam.
Ora, tanto la silsila quanto la ba‘ya, sono due modalità universali del mondo tradizionale, che non riguardano solo l’ambito della Conoscenza metafisica (ma anche le Arti e i Mestieri, ad esempio), e non sono certo limitati all’Islam (anche in Italia per esercitare un mestiere si andava da un maestro e ci si sottoponeva alla sua guida, un maestro che aveva a sua volta preso da un altro maestro ecc., ciò che si trova ancora a volte implicitamente, ed altre volte anche esplicitamente, come in certe confraternite di fornai francesi, o di carpentieri tedeschi).
Quanto al ‘Patto’, o ba‘ya, esso si prendeva anche con il detentore dell’autorità pubblica (come risalta con chiarezza da molti hadith): in tal caso tale modalità riguardava l’aspetto sociale e politico! Ecco che, come si diceva, “tanto la silsila quanto la ba‘ya, sono due modalità universali del mondo tradizionale”, e piuttosto che chiedersi come mai esse vengono utilizzati nella Via iniziatica (tariqa in arabo, dove hanno la funzione di preservare la Trasmissione di un insegnamento che non è umano ma celeste), ci si dovrebbe chiedere piuttosto perché nel mondo moderno non vengono più utilizzate nella trasmissione dei saperi (per poi indagare quale sapere in realtà viene trasmesso, il che ci porterebbe a considerazioni amare, ma molto utili per sfuggire a certi pericoli oramai incombenti)!
Negli ultimi decenni nei paesi islamici l’invasione dei mass media da una parte e la scolarizzazione di massa dall’altra (tutto naturalmente basato su modelli occidentali, anche quando si procedeva ad una mascheratura ‘islamizzante’) hanno come inoculato nella società tutta una serie di ‘disvalori’ anti tradizionali e anti religiosi che hanno indotto una grande confusione e anche una regressione dal punto di vista spirituale.
Ora le persone in tutto il mondo (con l’eccezione di alcune zone più interne, rurali, dell’Africa e dell’Asia) in linea di massima fanno molta fatica a pensare che esista qualcosa di diverso dall’uomo ordinario: e come potrebbe essere diversamente se a scuola hanno studiato una storia in cui non esiste l’intervento di Dio, una psicologia dove non esiste lo Spirito, una medicina in cui viene disprezzato il tentativo di tenersi in salute rispettando le Norme divine, praticando l’Invocazione ad Allah e l’Esempio profetico, ed avendo lo sguardo rivolto all’Oltre, o ancora delle scienze esclusivamente materiali, della letteratura che deve solo ‘esprimere sentimenti’ e non Verità? Ecco che chi appare non consono al modello imperante, e ad una concezione del tutto ristretta dell’essere umano, diventa addirittura sospetto ai loro occhi.
Come sorprendersi del resto che vi siano dei nemici dell’iniziazione i quali sostengono di non essere contrari alla Religione ma che oltre a quella (intesa in modo del tutto esteriore) non c’è bisogno di altro? Anzi, si potrebbe dire che è già molto che venga comunque salvaguardata la Religione esteriore! Bisogna infatti considerare che questa nostra Religione islamica è costruita provvidenzialmente: se il musulmano è sincero, sarà la pratica rigorosa della Religione accompagnata al suo studio approfondito a portarlo in alto, e a dargli il desiderio di accedere agli stati più elevati, dal momento che Allah l’Altissimo dice nel magnifico Corano (versetto 282 della Sura Baqara): “Temete Allah, e Allah vi darà Conoscenza (wa ttaqu llaha wa yu‘allimu-kumu llah).”
Ci fai un esempio di come l’iniziazione sia in qualche modo prevista nel Corano, almeno per quello che hai avuto modo di studiare a fondo?
Devo osservare come prima cosa che tutto l’Islam è per così dire sotto l’autorità della suddivisione tra i tre livelli indicati dal Profeta in un notissimo hadith: quello dell’Islam esteriore, quello della Fede (iman) e quello della Perfezione (ihsan), laddove al primo livello si mettono in atto i riti esteriori, mentre al livello dell’iman si comincia un’opera adesione interiore alle indicazioni profetiche e divine, e al livello dell’ihsan (che è quello propriamente iniziatico, potremmo dire) si adora Allah “come se Lo si vedesse”, in una ricerca diretta della Presenza divina e in uno sforzo totale di adeguarsi ad essa volontariamente.
Ecco che non c’è nessun versetto del Corano che non possa essere letto da questi tre punti di vista, e che indichi chiaramente (o alluda implicitamente) a ciò che serve nei tre diversi stati spirituali (anche se si dovrà sempre considerare che chi è fermo all’islam esteriore non capisce come ragiona chi è al grado dell’iman o dell’ihsan, mentre chi è al grado della Fede non capisce chi è al grado della Perfezione, ma capisce perfettamente chi è al grado dell’Islam esteriore, e infine chi è al grado della Perfezione capisce perfettamente i gradi degli altri due, perché li ha già realizzati, ma non è capito da loro).
Ecco che ci si dovrebbe chiedere forse come possa mai esistere un versetto del Corano che non contenga spunti per tutti e questi livelli… Detto questo, mi viene in mente in particolare un versetto della Sura Baqara che ho avuto modo di studiare recentemente, e che citerò, assieme a quel che se ne deduce, a solo titolo di esempio. Si tratta del versetto 249 della Sura Baqara: «E quando Tâlût,» identificato in genere col Saul della Bibbia, «partito con l’esercito, disse: “Invero Dio vi mette alla prova con un fiume: chi ne berrà non è da me, mentre è da me chi non ne gusterà; eccezion sia fatta per chi prenderà un sorso con la mano.” Ma essi ne bevvero, al di fuori di pochi di loro. E quando lui e coloro che avevano avuto Fede assieme a lui lo attraversarono, dissero: “Non abbiam la forza oggi di affrontare Giâlût», Golia, «ed il suo esercito!” Ma quanti pensavano che andavano ad incontrare Dio dissero: “Quante piccole schiere hanno vinto schiere numerosissime, col Permesso di Dio! E Iddio è con i pazienti.”»
Nel tafsir si propone il seguente racconto tradizionale, che aiuta a comprendere questo passaggio coranico: “Quando i figli d’Israele videro l’Arca dell’Alleanza che era discesa a confermare la regalità di Tâlût, non ebbero alcun dubbio sulla vittoria e fecero a gara per andare alla guerra santa. Ma Tâlût disse loro: “Non uscirà a combattere con me il vecchio, il malato, l’uomo che sta costruendo una casa e non l’ha terminata, il commerciante occupato con il suo commercio, l’uomo che ha debiti, l’uomo che si è sposato ma non è ancora stato con la propria moglie. Non voglio altri che il giovane pieno di energia e privo d’impegni.” Si riunirono a lui quanti aveva in tal modo scelto, ottantamila soldati. C’era una gran calura e percorrendo una zona desertica chiesero ad Allah che facesse scorrere un fiume per loro. Pochi traversarono il fiume e meno ancora si batterono ma quelli che lo fecero vinsero.”
In questo racconto sono presenti quelli che Guénon definisce i tre livelli, o condizioni successive, dell’iniziazione: quello della qualificazione, quello della trasmissione iniziatica e quello del lavoro iniziatico. Vediamo infatti nella storia di origine coranica che abbiamo menzionato che non tutti quelli che si presentano vengono accettati: infatti solo quelli che sono qualificati trarranno vantaggio dall’ingresso nella Via iniziatica, mentre agli altri essa non avrebbe portato giovamento; si tratta naturalmente di una impostazione che cozza con gli pseudo-principi egualitari tanti cari ai nostri contemporanei, e questo non per un partito preso di tipo ‘elitario’ (Ibn Arabi diceva “Vorrei che tutte le creature fossero al mio Grado!”), ma perché è un dato di fatto che la Via iniziatica non può essere percorsa da tutti.
Il secondo livello è quello della trasmissione iniziatica rappresentata dal passaggio del fiume: Talut ordina infatti ai soldati di passare il fiume senza bere, e alcuni racconti tradizionali dicono che solo quattromila armati su ottantamila lo passarono: questi rappresentano coloro che entrano realmente nella via iniziatica.
Si noti bene il divieto di bere: nella consuetudine ordinaria nessun esercito impedisce ai propri soldati di bere quando ve n’è il bisogno, e prima di una battaglia. Questo mostra che si tratta di un passaggio al di là della dimensione fisica, ed anche della razionalità individuale, o diciamo al di là del dunya: si è passati dunque alla dimensione spirituale, e quelli che avranno bevuto saranno arsi dalla sete, mentre chi si è astenuto dal bere non sentirà affatto la sete.
Poi abbiamo il terzo passaggio: molti di quelli che hanno passato il fiume dicono di non aver la forza per combattere Golia e le sue truppe. Cosa significa questo passaggio? Significa che anche tra coloro che sono iniziati ci sono persone che non sono in grado di affrontare il lavoro iniziatico vero e proprio.
La tradizione riferisce il numero di quelli che affrontarono davvero il nemico, 314, lo stesso numero dei Musulmani che combatterono a Badr: essi sconfissero una armata ben più numerosa e meglio armata e montata. Alla fine però arriva la Vittoria suprema, Wa Qatala Dāwūdu Jālūta, «e Davide uccise Golia»: il nemico interiore è vinto, e si apre la porta della Realizzazione spirituale. Un altro esempio che mi viene in mente è quello del sacrificio della Vacca la faridun wa la bikr ‘awanun bayna dhalik «né vecchia né giovane, ma di un’età intermedia tra le due», ciò che da il nome alla seconda Sura, detta appunto della ‘Vacca Sacrificale’: ebbene, secondo molti commentatori tale vittima sacrificale rappresenta l’anima (la nafs).
Tenendo conto che nelle dottrine tradizionali in generale e nell’Islam in particolare l’uomo non ha una composizione duale (corpo e anima), ma è composto di tre parti (corpo, animo e spirito), laddove l’animo rappresenta l’aspetto psichico, ecco che il sacrificio della nafs è necessario nell’iniziazione, si potrebbe dire. affinché essa rinasca sotto l’egida dello Spirito (ruh): la morte iniziatica in altre parole è propedeutica alla trasformazione dell’essere.
Un’altra cosa da specificare è la seguente: spesso i Musulmani più letteralisti (e in generale i Musulmani di mentalità moderna) criticano le confraternite iniziatiche dell’Islam sostenendo che a loro avviso non c’è nel Corano nessun ordine specifico rivolto ai credenti affinché seguano un Maestro (Shaykh) che li guidi. Ora, come s’è detto il fatto di essere guidati da uno Shaykh rappresenta una delle modalità generali di tutto il mondo tradizionale, e nell’ambito della Via spirituale tale necessità di essere guidati diventa una necessità stringente, se non altro perché andare fuori strada e illudersi è purtroppo molto facile.
Detto questo, se nel Corano e nella Sunna non v’è nulla di preciso e specifico che ordina una tale obbedienza, questo è dovuto da una parte al fatto che si tratta di una cosa scontata (e che si può dedurre da un’infinità di situazioni presenti ad es. negli hadith, come quelle in cui i Compagni obbediscono sempre e comunque al Profeta, o l’obbligo rituale di avere sempre un Imam nella preghiera), e dall’altra all’esigenza di evitare il rischio di esagerazioni: il fine dell’iniziazione infatti, come dice Shaykh Abdu l-Wahid Yahya Guénon, è quello di liberare un certo essere dai legami della contingenza, e non di imporgliene dei nuovi! È noto il detto secondo il quale l’iniziato “deve essere nelle mani del suo Shaykh, come il cadavere nelle mani di chi lo lava”: una cattiva comprensione di questa metafora (che in sé è corretta, ed è da leggere in analogia all’esempio del bambino con sua madre, o secondo l’età con suo padre) può condurre a delle limitazioni e può produrre degli ostacoli sulla Via (come accade con ogni evidenza quando lo Shaykh non invita a seguire la Religione), ciò che è fortemente stigmatizzato in particolare da Guénon. Il servizio, la compagnia che si fa al maestro o a chi lo rappresenta, soprattutto nella prima parte della Via iniziatica, discende dalla venerazione tradizionale, e l’obbedienza che gli è dovuta è assolutamente necessaria perché il discepolo impari ad essere veramente ‘Abdu-llahi, servo di Dio.
Ma qual è lo scopo dell’iniziazione? Hai trovato rispetto a questo delle indicazioni nei Testi che hai tradotto?
Secondo la definizione guenoniana, l’iniziazione ha due scopi: primo quello della restaurazione dello stato edenico, o primordiale, dell’uomo, e poi quello della Liberazione, o diciamo prender possesso coscientemente degli stati superiori dell’essere, e quindi esser condotti oltre ogni stato condizionato, quella che in termini islamici si chiama Prossimità (qurb) a Dio. Naturalmente rispondere alla tua domanda su dove di possa trovare indicazione di questo nell’Islam presenta una difficoltà nel fatto che cose del genere sono estremamente sottili, se non propriamente ‘incondizionate’, e dunque incomunicabili: come potrei mai ‘definire’ qualcosa che è al di ogni limite (e quindi di ogni de-finizione)? Tuttavia abbiamo un notissimo hadith qudsiyy che allude in maniera esatta a quello che è il fine dell’iniziazione (e nota che è un hadith presente nelle principali raccolte delle tradizioni profetiche, e che viene studiato nei programmi delle scuole elementari dei paesi islamici). In esso Iddio l’Altissimo dice: “Chi è ostile ad un Mio Amico (walî), Io gli dichiaro guerra. Il Mio servo non Mi si avvicina con qualcosa che Io amo maggiormente di quando Mi si avvicina con ciò che gli ho imposto come obbligatorio. E il Mio servo non cessa si avvicinarsi a Me con le opere supererogatorie sino a che Io lo amo; e quando lo amo, divento l’udito con cui ascolta, la vista con cui vede, la mano con cui afferra e il piede con cui cammina. Quando Mi chiede Io gli do, e quando cerca rifugio in Me, Io glielo accordo.” Ecco che qui l’uomo diventa un luogo di manifestazione divina; e si tratta di quello che Guénon chiama ‘Identità suprema’.
Quali sono i metodi iniziatici nell’Islam?
Innanzi tutto dobbiamo ricordare che nell’Islam l’iniziazione si basa sulla Religione (diversamente da quanto è rimasto dell’iniziazione in occidente, che si radica invece sul mestiere): dunque i metodi utilizzati si trovano tutti necessariamente anche nella Religione esteriore. Prima di tutto abbiamo il Dhikr, il ‘Ricordo’ incantatorio di Dio (che tra l’altro è un privilegio assoluto dell’Islam, almeno tra le Religioni monoteiste, dal momento che per gli Ebrei è addirittura vietato, e nel Cristianesimo è sottoposto a cautele, come si evince anche dall’ordine “Non nominate il Nome di Dio invano”). Si può dire che il Dhikr è un elemento fondante dell’Islam in generale, tanto exoterico che esoterico; nella Via iniziatica esso viene ripetuto ed intensificato, con l’aiuto di uno Shaykh, ed aiuta fortissimamente nell’ascesa spirituale. A volte esso viene ritmato collettivamente nei riti che vengono definiti Hadra (‘Presenza’), e viene accompagnato da movimenti egualmente ritmati del corpo, ciò che è estremamente efficace nell’‘armonizzare’ il credente con l’incessante rivelarsi di Allah; anche questo comunque trova la sua origine nella Sunna, in quanto, come è riportato a più riprese nel Sahih di Al-Bukhari, durante una delle Feste dell’Islam degli Abissini danzarono armati davanti al Profeta dentro la Moschea, cantando nella loro lingua, mentre l’Inviato di Allah li incitava; lui chiese cosa stessero dicendo nel loro canto, e gli fu detto che cantavano “Muhammad ‘abdun salih (Muhammad è un servo buono ed integro).” Anche la recitazione ‘intensificata’ del Corano in alcune Turuq (confraternite) è un metodo preparatorio molto praticato, come anche, in altre, la poesia sacra (che ha il pregio di esprimere concisamente determinati significati metafisici, in modo che siano più facilmente intuibili, e che spesso è associata, con la recitazione del Corano, alla Hadra), o particolari formule di salat ‘ala n-Nabi (preghiera sul Profeta ﷺ).
E v’è anche altro, ma sempre su base ‘religiosa’. Tieni anche conto che chi è nella Via iniziatica deve comunque praticare l’Islam comune (preghiere, digiuno, pellegrinaggio, zakat ecc.), e che anche questa normalissima e doverosa pratica islamica può costituire per chi è sulla Via un ulteriore supporto per il suo lavoro iniziatico.
Dunque per entrare nella Via iniziatica bisogna per forza essere Musulmani?
La risposta è abbastanza semplice, visto che, come abbiamo visto, le Organizzazione iniziatiche islamiche prendono la loro base sulla Religione, nel senso specifico che i loro riti, per quanto intensificati, sono tutti presenti nei dati fondamentali del Din. Da questo consegue che quando si entra in una tariqa vengono assegnate certe attività rituali che sono sì di tipo iniziatico secondo modalità che potremmo dire ‘incantatorie’, ma che consistono in pratica nella ripetizione di Nomi divini, o della ‘Testimonianza di Fede’ la illaha illa Allah, o ancora nella ‘Preghiera sul Profeta’: tutte cose che implicano di per sé l’entrata nell’Islam, nel senso preciso che entrare nell’Islam consiste proprio nel pronunciare tali formule, che si identificano poi alle due formule della Shahada (ashhadu, ‘testimonio, vedo direttamente’, an la illah illa Allah, ‘che non c’è divinità all’infuori di Dio’, e ashhadu anna Muhammadan rasuluLlah, ‘testimonio che Muhammad è inviato di Dio’)! Ecco che per chi intende entrare nella Via iniziatica senza essere musulmano si possono dare due casi: o lui non crede affatto nella veridicità di tali formule, e allora sta prendendo in giro se stesso, e recita delle formule vuote che non possono essere supporto di nulla. Come si fa infatti a dire cento volte la ilaha illa Allah senza crederci? Che senso ha? L’altro caso, indubbiamente più complesso, è quello di chi in realtà crede nella Verità nei supporti rituali da utilizzare, ma per qualche motivo vuole continuare ad aderire ad un’altra Religione, o comunque non vuole entrare nell’Islam e non intende praticare l’exoterismo tradizionale. Ora, un tale approccio si identifica nei fatti ad una sorta di sincretismo (ciò che è formalmente interdetto dal Profeta), ed ha l’effetto di provocare una frattura nell’essere che se ne fa portatore, il quale non si rende conto degli effetti di ogni ordine (spirituale, sottile ed anche pratico) della menzione in sincerità d’intenti delle formule sacre che ha il compito di seguire, dalla quale deve conseguire la pratica della Legge sacra.
Il raggiungimento di stati elevati, rende i riti quotidiani ininfluenti? Abbiamo conosciuto sedicenti maestri che sostenevano di aver raggiunto ilm al-yaqin (la ‘Scienza della Certezza’) e quindi di non avere più l’obbligo di pregare regolarmente o di digiunare come prescritto.
‘Aysha, sposa del Profeta Muhammad, gli chiese perché si sottoponesse ad una pratica religiosa così gravosa che gli si gonfiavano i piedi per le troppe prolungate veglie di preghiera e di recitazione del Corano, visto che Dio gli aveva perdonato le sue mancanze passate e future. Egli allora rispose: “a fa la akuna ‘abdan shakuran Non son forse un servo riconoscente?” No, l’exoterismo tradizionale non deve essere abbandonato.
Uno potrebbe dire: entro, eseguo i riti e poi quando ho avuto accesso a stati che mi permettono una certa libertà, posso smettere di uniformarmi alla pratica religiosa comune. Su questo lo stesso Guénon è stato molto chiaro, e ha scritto testualmente: “Nella Via iniziatica l’exoterismo non deve essere abbandonato, ma semmai trasformato in misura corrispondente al grado dell’iniziato, che diviene sempre più capace di capirne le ragioni profonde.”
E forse non molti sanno che sempre Guénon (Shaykh Abdu l-Wahid Yahya) nei giorni estremi della sua vita, nonostante la malattia gli avesse tolto la possibilità di muoversi liberamente, continuò fino all’ultimo momento a fare tutte le Salat in piedi, e a praticare il Dhikr: quindi di cosa stiamo parlando? Ho incontrato moltissime persone di grado molto elevato nella Via praticare l’Islam ed essere molto rigorosi, dedicandosi anche alle forme più faticose della devozione. Sempre Guénon ha fatto l’esempio della costruzione di un edificio: prima faccio le fondamenta, che rappresentano appunto l’exoterismo tradizionale, la Religione comune, poi proseguo coi vari piani del palazzo, che rappresentano livelli di comprensione sempre più elevati: e quando ho finito il mio edificio, e mi sono stabilito all’ultimo piano, che senso avrebbe distruggere le fondamenta? Semmai il mio intelletto, o diciamo il mio cuore, approfitterà per volare liberamente, come nel verso di una Qasida che dice:
“Nell’Amore per il Profeta il mio intelletto vola verso i Giardini di quanti
son pieni di desiderio: qui rimango orientato all’Imam degli Inviati.”
Qual è il messaggio finale che vuoi dare ai nostri lettori?
Voglio invitarli alla Fede ed alla Legge sacra, concepite entrambe come trascendenti il semplice ‘exoterismo’. La Fede secondo Al-Bukhari è “parola e opera (qawlun wa fi‘lun)”, è cioè un fatto operativo, o diciamo un ‘atteggiamento attivo’, per usare un’espressione cara a Guénon: io credente devo sempre essere attivo nei confronti del mio essere conformandomi all’esempio profetico. Michel Vâlsan parlando della Fede dice: “Nell’Islam la Fede non ha un significato di una credenza, ma ha una valenza operativa; il suo dominio non è limitato all’exoterismo, ma si estende alle modalità esoteriche ed iniziatiche della via spirituale ad un livello eminente, senza che ciò provochi un’alterazione di qualità intellettuale.” D’altra parte la shari‘a, al di là delle sue formalizzazioni, pur necessarie, non è altro che adeguarsi all’Uomo universale muhammadiano; essa in realtà comprende, sempre secondo Vâlsan, “tutti i domini e tutti i gradi della vita spirituale e temporale, compresi i principi e i metodi della Conoscenza metafisica.” Un ultimo consiglio: la Religione è una cosa bellissima ed anche piuttosto complessa; oggi in occidente è molto raro trovare un insegnamento orale adeguato, ciò da cui consegue la necessità di studiarla a fondo, e intendo sui libri, che sono l’unico strumento che garantisce la necessaria concentrazione!