Quando Bin Laden, leader di al-Qaeda, giustificò gli attacchi terroristici negli USA la comunità islamica a livello globale lo denunciò e i dotti islamici chiarirono senza remore come tali attacchi fossero contrari allo spirito e alla lettera della legge islamica, che vieta di trattare come obiettivi militari i non combattenti.
Bin Laden se ne uscì presentando un’immagine distorta e bizzarra della lex talionis concedendo la possibilità di prendere di mira i non-combattenti non tanto perché la Shariah lo permettesse ma per pura rappresaglia.
Occhio per occhio, terrorismo per terrorismo
Per giustificare gli attentati terroristici attribuiti ad al-Qaeda, Bin Laden citò la presenza delle forze militari statunitensi nei paesi islamici e il sostegno degli Stati Uniti a Israele, menzionò anche casi specifici in cui le forze militari occidentali uccisero civili giustificando tali crimini come danno collaterale. In tal modo Bin Laden non stava solo promuovendo il terrorismo, ma intendeva giustificare il terrorismo per combattere un altro terrorismo, quello occidentale.
Una definizione comunemente accettata di terrorismo è quella che si focalizza sull’uso deliberato della violenza contro i civili al fine di raggiungere obiettivi politici o ideologici.
Un’altra definizione accademica diffusa è, invece, quella che definisce il terrorismo come un metodo che mira a indurre nella popolazione uno stato di angoscia ed è caratterizzato da azioni violente ripetute, utilizzate da attori individuali, di gruppi o Stati, per ragioni criminali o politiche.
Secondo quest’ultima definizione, le vittime immediate della violenza sono generalmente scelte a caso oppure selezionate e servono come generatori di messaggi. Processi di comunicazione basati su minaccia e violenza vengono utilizzati per manipolare il pubblico, trasformandolo in un bersaglio di terrore o attenzione; dunque, forme di intimidazione per finalità coercitive o propagandistiche. Questa definizione è stata proposta dall’esperto di terrorismo Alex P. Schmid nel suo libro: “Terrorismo politico” (Schmid, 1988).
Il non-monopolio del terrorismo
Studiosi e giornalisti, in larga parte occidentali, hanno ripetutamente dimostrato come le azioni militari occidentali abbiano contribuito alla radicalizzazione di gruppi estremisti e alla formazione di nuove formazioni terroristiche.
Moghadam Assaf fornisce un’analisi dettagliata della diffusione degli attacchi kamikaze e delle reti terroristiche in diversi paesi del mondo, evidenziando l’impatto delle azioni militari occidentali sulla radicalizzazione e sullo sviluppo di gruppi terroristici (Moghadam, 2008).
Le ricerche di Byman Daniel hanno messo in rilievo come la strategia delle uccisioni mirate causi molto spesso vittime civili, generando una maggiore radicalizzazione (Byman, 2011).
In questo contesto le invasioni e la conseguente destabilizzazione dei paesi invasi contribuiscono ad esacerbare il rischio di radicalizzazione come dimostrato pure da Marc Sageman e Audrey Kurth Cronin (Sageman, 2008; Kurth, 2011) .
Gli atti terroristici rappresentano dunque il triste culmine di un processo in cui si dà una combinazione di fattori esplosiva; fra questi le invasioni e le brutalità commesse contro la popolazione locale rappresentano un elemento primario.
Inoltre, gli esperti hanno mostrato come le politiche di “guerra al terrorismo” adottate dalle potenze occidentali, come l’utilizzo di droni e l’applicazione di sanzioni, abbiano inferto sofferenze terribili alle popolazioni locali, generando rabbia e frustrazione e alimentando il reclutamento di nuovi terroristi (Amnesty International, 2013).
Une tesi supportata dai fatti
Kalyvas Stathis fornisce un’analisi dettagliata della logica della violenza nei conflitti civili, evidenziando come le azioni militari occidentali contribuiscano alla radicalizzazione e allo sviluppo di gruppi terroristici in contesti di guerra civile. L’autore esplora i meccanismi attraverso i quali le azioni militari occidentali generano una maggiore radicalizzazione e un aumento della violenza (Kalyvas, 2006).
Le sanzioni economiche usate come arma sono anch’esse rilevanti. Le sanzioni possono essere efficaci nell’ottenere dei risultati nel breve termine, ma causano anche danni collaterali nel medio e lungo termine contro i civili, favorendo le condizioni per la radicalizzazione. Inoltre, le sanzioni sono frequentemente percepite come ingiuste e punitive dalle popolazioni colpite, creando ulteriori tensioni e generando il terrorismo piuttosto che prevenirlo.
I video e le informazioni pubblicate grazie al lavoro di Julian Assange attraverso Wikileaks hanno mostrato la brutalità delle invasioni occidentali. I video di soldati americani che – sghignazzando – bombardavano dagli aerei i civili e i cortei funebri hanno fatto il giro del mondo.
Dopo vent’anni di invasioni americane il bilancio è costituito da centinaia di migliaia di morti civili ed una montagna di abusi commessi, alcuni emersi gradualmente e molti altri ancora insabbiati.
Questi abusi non sono stati commessi da soldati NATO impazziti, fanno invece parte della strategia calcolata ed intenzionale degli invasori per garantire il raggiungimento degli obiettivi ad ogni costo ed in cui il massacro della popolazione era un elemento voluto e dichiarato, come nell’invasione dell’Iraq significativamente chiamata “shock and awe” (“colpisci e terrorizza”).
L’impatto del terrorismo occidentale genera altro terrorismo
Alla luce di quanto discusso, le invasioni occidentali non possono essere considerate che forme di terrorismo, soprattutto se analizziamo i casi recenti di Iraq ed Afghanistan. La devastazione, i morti, e la sofferenza che questo terrorismo ha causato superano di gran lunga quanto causato dal terrorismo cosiddetto islamico, ma che di islamico non ha null’altro che il nome.
Se da un lato la guerra è uno strumento necessario per combattere le ingiustizie ed i soprusi e difendere la popolazione di un paese e gli interessi vitali dello stesso, essa non può essere giustificata quando adotta metodi più brutali e devastanti dei crimini che dichiara di voler combattere.
I civili fatti a pezzi dai bombardamenti e brutalizzati dalle squadre della morte del terrorismo occidentale vengono considerati uno spiacevole inconveniente, un “danno collaterale”, ma a questi vanno aggiunti gli imprigionamenti arbitrari ed il sistematico uso della tortura, in particolare da parte delle forze americane.
Ai popoli colpiti, dopo aver perso tutto, non restano che rabbia e desiderio di giustizia. Questo desiderio può certamente essere manipolato per generare atti poi presentati come follia omicida e irrazionale che porta agli attacchi terroristici contro l’Occidente.
Ciò su cui è importante riflettere non riguarda solo le radici del terrorismo spesso figlio di quello occidentale, il nesso causale c’è ed è dimostrato. Va messa anche in rilievo la totale mancanza di efficacia delle azioni militari occidentali e la forte componente ideologica che le promuove.
Questa logica sostiene che le azioni militari sono giustificate se i benefici che ne derivano sono considerati come superiori ai costi, anche se questi costi includono la morte di civili innocenti. L’utilitarismo filosofico è stato spesso utilizzato in contesto militare per giustificare invasioni e massacri di civili in molte operazioni militari americane, almeno a partire dal Vietnam, al Golfo Persico e all’Afghanistan, ma prima ancora nel bombardamento nucleare contro Hiroshima e Nagasaki.
Che si sia trattato di sconfiggere il comunismo oppure tutelare i propri interessi economici e garantire l’accesso alle fonti di energia oppure combattere il crimine, il terrorismo degli Stati si è sempre basato su un gelido e disumano utilitarismo, invocato per giustificare la soppressione dei diritti umani e la violazione del diritto internazionale, sempre in nome di un fantomatico “bene superiore”.