Lei è cresciuto in Italia dove ha studiato e si è laureato, poi è stato eletto deputato al parlamento tunisino. Conosce bene la politica dei due paesi. Attualmente la Tunisia rappresenta per l’Italia una minaccia o un’opportunità?
Io ho studiato principalmente a Roma e poi mi sono laureato Università La Sapienza in scienze politiche e relazioni internazionali, e le relazioni con la Tunisia sono importantissime, è il paese africano più vicino alle coste europee, una Tunisia stabile rappresenta una grande opportunità, mentre una Tunisia che torna al passato, alla dittatura alla repressione dell’opposizione e del popolo tunisino, lontana dalla democrazia e dal rispetto dei diritti umani significa solo instabilità.
Questo porterà ad una fuga dal paese che per l’Europa si traduce in flussi migratori fuori controllo e la situazione di crisi sarà terreno fertile per l’estremismo, una situazione di grande rischio per la Tunisia e per i paesi della regione.
Dai media ai social, si sente spesso parlare di “decennio nero” per riferirsi ai dieci anni che hanno seguito la Rivoluzione del 2011, a cosa ci si riferisce esattamente?
Si tratta dei dieci anni della transizione democratica, qualsiasi paese al mondo che attraversa una fase di transizione così importante è esposto a difficoltà. Il passaggio da un regime autoritario ad una democrazia è molto complicato, ci sono tante forze che remano contro questo percorso, tanti interessi ostili alla democrazia.
Ci sono state poderose forze sia interne che esterne che hanno fatto di tutto per farlo fallire.
Ciononostante le forze politiche democratiche hanno ottenuto un grande successo riuscendo ad approvare una costituzione democratica e quindi a stabilire le basi di un sistema nuovo.
Purtroppo però queste forze non erano preparate a prendere la guida del paese in un contesto che vedeva la necessità di difficilissime riforme economiche e sociali.
Queste riforme necessitano di governi forti, stabili e capaci di affrontare le grandi aspettative sociali della popolazione dopo la caduta di Ben Ali e del suo clan mafioso.
In più il sistema dei partiti era troppo giovane e fragile e soprattutto le forze democratiche, avevano un’esperienza maturata esclusivamente sulla questione della democrazia ma non avevano sviluppato competenze sulle questioni economiche e finanziarie che si sarebbero presto rivelate il principale campo di azione.
L’ultima parte di questi 10 anni poi è coincisa con la guerra civile in Libia e quindi un paese confinante instabile e gli attentati terroristici che colpirono il turismo e l’economia tunisina.
Il covid19 con il conseguente inasprimento della crisi economica è stato la goccia che ha fatto traboccare il vaso della rabbia popolare, rabbia poi sfruttata dal presidente Kais Saied per compiere il suo colpo di Stato.
Il 25 luglio 2021 si è assistito a festeggiamenti per la presa dei pieni poteri del presidente Kais Saied. Questo entusiasmo è stato condiviso da tutto il paese?
Il 25 luglio 2021 è stato il giorno in cui il presidente ha chiuso la sede del Parlamento e la sede del governo con i carri militari. È vero tante persone erano contente, la crisi era pesante e le persone volevano un cambiamento, solo che lo stesso Kais Saied non avendo un progetto per il paese e non riuscendo a risolvere i problemi concreti ha presto perso il sostegno che aveva.
Sono iniziati gli arresti dei politici ma anche di tante persone comuni che avevano espresso delle semplici critiche con dei post su Facebook. Dall’altra parte la crisi economica e sociale del paese si è fatta più grave e sono iniziati a scarseggiare i generi alimentari di base come il grano. L’erosione del sostegno a Kais Saied è dimostrata in modo molto evidente dalla bassissima partecipazione al referendum per l’approvazione della nuova costituzione, scesa ulteriormente in occasione del voto per il Parlamento che ha registrato un misero 11% di partecipazione.
La notte del 25 luglio, a difendere l’Assemblea dei Rappresentanti del Popolo chiusa manu militari da Kais Saied si sono presentati soltanto il suo Presidente, Rashid Ghannouchi, e un piccolo gruppo di politici. Quanto ci tengono i Tunisini alla democrazia?
I tunisini ci tengono alla democrazia, ne sono convinto. Bisogna considerare che in quel momento il COVID aveva colpito quasi tutte le famiglie tunisine e che l’élite politica non ho saputo ascoltare e rispondere alle problematiche delle persone in difficoltà.
La gente sperava solo in un cambiamento mettendo in secondo piano la Costituzione ma oggi i tunisini hanno capito che la democrazia e il rispetto delle istituzioni sono anche sostanza, non solo forma.
Lei è stato responsabile per la comunicazione del partito Ennahdha. Conosce quindi da vicino i meccanismi di formazione dell’opinione pubblica in Tunisia. Qual è stato il ruolo dell’intellighenzia tunisina – intellettuali, universitari, giornalisti, artisti – dopo la Rivoluzione e dopo il colpo di Stato?
Non si può negare che il clima di tensione esistente nel dibattito politico e tanto meno i conflitti ideologici creati da alcuni media approfittando di alcuni errori e dichiarazioni assolutamente inopportune. Tutto ciò ha aumentato la polarizzazione dello scenario politico e quindi anche la divisione nella società oltre ad indebolire partiti pro rivoluzione e democrazia che avevano vinto le elezioni per l’assemblea costituente nel 2011.
La transizione democratica in Tunisia ha patito la polarizzazione politica di tutti gli attori sociali, tutti si sono schierati, mentre questo tipo di processi necessitano di esperti al di sopra delle parti, tecnici equilibrati e fedeli allo Stato, non ad interessi di lobby o di partito.
Insomma non si può guidare la commissione elettorale o la Corte Costituzionale con la tessera di partito in tasca.
La Rivoluzione del 2011 ha colto l’Europa di sorpresa: la Tunisia era considerata un paese tranquillo, vicino all’Europa e soprattutto alla Francia che fino all’ultimo ha puntato su Ben Ali. Quanto è realistica l’immagine che l’Italia ha oggi della Tunisia?
In realtà non solo la Francia ha sostenuto Ben Ali fino all’ultimo, anche l’Italia con il suo ministro degli affari esteri ha fatto una dichiarazione di sostegno proprio poche ore prima che cadesse il regime dittatoriale di Ben Ali. Avendo vissuto gli ultimi dieci anni in prima linea posso dire che la Tunisia è il paese più vicino all’Italia e che L’Italia ha investito pochissimo sforzo a favore dei rapporti bilaterali e degli interessi comuni.
Si poteva fare molto di più ma purtroppo ci si interessa alla vicina Tunisia solo quando c’è una crisi migratoria, e dopo tanti anni non si capisce che è un problema strutturale è che ci sarebbe un enorme vantaggio se l’Europa sostenesse un governo democratico che realizzi vere riforme economiche e sociali. Tanti anni sono passati e queste riforme avrebbero potuto consolidare e migliorare la nascente democrazia tunisina.
Qual è il bilancio di questi quasi due anni in cui Kais Saied ha esercitato i pieni poteri?
È un bilancio disastroso su tutti i fronti, ha praticamente annullato la democrazia tunisina cancellando la costituzione, sciogliendo il Parlamento, il governo e le istituzioni indipendenti, ha organizzato elezioni fasulle.
Anche sul piano economico, che rappresenta il vero punto dolente del popolo tunisino, Kais Saied non ha fatto niente. Non sto dicendo che ha fatto scelte sbagliate, sto dicendo proprio che non ha fatto proprio niente, è incapace di comprendere i problemi del paese.
Se noi abbiamo avuto difficoltà a fare le riforme, Kais Saied non le sa proprio fare, anzi ha dichiarato che non le vuole fare. Tutto questo a nostro avviso sta spingendo il paese verso una vera esplosione sociale. Nelle regioni interne le persone iniziano ad avere realissime difficoltà a trovare da mangiare anche a trovare il pane. Alcune volte mi viene da pensare che dall’Occidente in fondo preferisce un regime autocratico una sola persona con cui dialogare, ma non si capisce che questo schema non è più sostenibile e che i regimi dittatoriali di una volta non a lungo termine non sono sostenibili.
Quali sono stati i rapporti della Tunisia con i suoi vicini del Nord Africa, a ovest (Algeria e Marocco) e ad est (Libia e Egitto) dopo la Rivoluzione? Dopo il 21 luglio Kais Saied ha impresso un qualche cambiamento a questo rapporto?
È chiaro che la Tunisia post rivoluzionaria ha indirettamente influito nei cambiamenti dei regimi vicini però si è sempre cercato di mantenere rapporti orientati agli interessi comuni, questo è stato un po’ più difficile da realizzare con un regime come quello egiziano di Al Sisi.
Con la vicina Libia grazie fortissimi rapporti tra i due popoli si è cercato di sostenere un cambiamento civile elettorale lontano dalle guerre e dalle armi. Con l’Algeria il rapporto era chiaro, le relazioni sono basate su alcuni interessi estremamente strategici: la collaborazione economica e la battaglia contro il terrorismo in primis. Con il Marocco ci sono rapporti commerciali fortissimi.
Posso riassumere dicendo che la politica estera tunisina dopo la rivoluzione ha cercato di sostenere un cambiamento democratico nella regione senza però allontanarsi dalla politica diplomatica dello Stato tunisino dall’indipendenza in poi. Con Kais Saied tutto questo è stato messo seriamente a repentaglio. Ha creato problemi con tutti i paesi della regione allontanandosi da quelle che sono state storicamente le priorità strategiche e le linee guida della politica estera tunisina nella regione.
Nel dicembre 2021 lei è stato raggiunto da un divieto di espatrio mentre stava per prendere un volo per l’Italia. In Tunisia attualmente sono soggetti al divieto di espatrio numerosi politici e uomini di affari. Altri sono all’estero e non possono rientrare in Tunisia perché colpiti o minacciati da mandato di arresto. Qual è la sua situazione corrente?
Mi è stato impedito di viaggiare per quattro volte senza nessuna decisione giudiziaria, senza nessuna motivazione dichiarata, semplicemente un blocco da parte della polizia di frontiera.
Esercitando pressione mediatica sono riuscito a partire mentre altre volte sono riusciti ad impedirmi di partire. Oggi la mano dura e poliziesca del regime di Kais Saied si è rinforzata, tantissimi membri dell’opposizione sono in carcere accusati di alto tradimento contro lo Stato e con pena che può arrivare alla condanna a morte.
In questo momento qualsiasi membro dell’opposizione democratica se prova a partire all’aeroporto, viene dirottato direttamente verso il carcere, come è successo all’ onorevole Sahbi Atig. In questo momento sono impegnato a difendere la democrazia e Tunisia dall’estero assieme alla società civile e ad altri membri dell’opposizione democratica di diversi orientamenti politici.
E’ possibile che la Tunisia venga dichiarata “porto non sicuro” e “paese terzo non sicuro”, come hanno chiesto il FTDES e altre associazioni, aprendo la strada allo status di rifugiati politici a tutti i migranti tunisini irregolari e all’impossibilità di respingimenti e rimpatri?
Purtroppo siamo tornati alla Tunisia degli anni 90, tanti membri dell’opposizione democratica sono scappati in alcuni paesi europei hanno chiesto asilo politico. Quindi è chiaro che nella Tunisia di oggi, tanti giovani, anche cantanti ed artisti, vengono arrestati e messi in carcere per delle semplici critiche al governo postate sui social.
Nel 2011 Ennahdha ha vinto le prime elezioni democratiche del paese e nel 2021, nonostante avesse perso consensi, era ancora il partito di maggioranza relativa. Ciò ha deluso una parte dell’opinione pubblica e politica sia in Tunisia sia in Europa. Per questi settori il colpo di Stato di Kais Saied è parsa l’occasione di eliminare quella che definiscono “l’anomalia dell’islam politico”. Oggi Kais Saied ha fatto arrestare uno dei suoi più autorevoli esponenti a livello mondiale, Rashid Ghannouchi e preso misure che di fatto mettono al bando Ennahdha.
L’eliminazione del cosiddetto “islam politico” può contribuire alla stabilità politica e sociale in Tunisia?”
Sono convinto che l’esclusione di qualsiasi componente politica della Tunisia porterà verso un maggiore estremismo, questa è l’essenza della democrazia: offrire uno spazio civile per il confronto. Se si chiudono queste porte e non si dà possibilità alla gestione civile di questo conflitto, ci sarà esclusione e questo porta importanti componenti del paese ad agire fuori dalle istituzioni.
Questo è grave, bisogna fare di tutto per impedirlo. Rashid Ghannouchi è stato arrestato per alto tradimento proprio perché ha detto questa frase, proprio perché ha avvertito del rischio che comporta l’esclusione politica di qualsiasi componente importante della società, un fatto che potrebbe portare verso la guerra civile.
Non ci sarà reale stabilità in Tunisia se non si torna ad una vera democrazia stabile, capace di fare le riforme dove si rappresentano tutte le famiglie politiche del paese.
Quale alternativa esiste attualmente a Kais Saied ai fini di una stabilizzazione del paese, una fuoriuscita dalla crisi economica e un contenimento dei flussi migratori?
L’attuale presidente si è rivelato una persona difficilissima da gestire per l’Occidente, vogliono convincerlo a fare le riforme e ad ottenere importanti finanziamenti dal Fondo Monetario Internazionale ed altre istituzioni Internazionali, ma lui sta rifiutando tutte queste offerte.
Sta portando il dibattito soltanto verso un ricatto sulla questione migratoria: finanziamenti in cambio della gestione di questa crisi. Su questo si fa un grandissimo errore, perché in Tunisia non ci sono delle milizie come in Libia, ci sono strutture di polizia statali difficilissime da gestire su questo tema.
Non vedo Kais Saied realmente capace di gestire i confini, sia quelli nel deserto che quelli marittimi.
Onestamente vedo la posizione dell’Italia difficile da comprendere, a mio avviso anche dando soldi a Kais Saied Non si riuscirà a fermare le grandi ondate migratorie che arriveranno in quanto si tratta di un fenomeno causato da una crisi economica, sociale e politica molto grave oltre che da condizioni di sicurezza davvero pessime, derivate dai conflitti armati nella regione.
I numeri parlano chiaro, da quando Kais Saied ha preso potere le cifre degli sbarchi sono schizzate in alto.