Uomini più o meno giovani che abbandonano la propria terra d’origine, spesso la famiglia, la sicurezza e gli affetti, per correre a combattere in guerre che si svolgono in terre straniere, non sono un fenomeno nuovo.
Oggi, in un’epoca che ha fatto dell’inglese la sua lingua universale, i combattenti che vanno in terre e in guerre lontane a portare il loro coraggio, le loro braccia e spesso anche la loro vita, si chiamano Foreign Fighters.
In epoca risorgimentale, quando l’inglese non era ancora quella specie di Esperanto che è oggi, ed il fenomeno aveva preso grande forza con le guerre napoleoniche, non avevano un nome specifico, ma esistevano. Eccome. Furono decine, centinaia di migliaia, forse milioni i giovani europei che si unirono alle armate napoleoniche. Tantissimi furono gli italiani.
Uno dei più bei romanzi del nostro novecento, Il mulino del Po di Riccardo Bacchelli, romanzo che scorre come il fiume del titolo per migliaia di pagine, inizia con un sopravvissuto ferrarese alla campagna di Russia, Lazzaro Scacerni, che, tornato in patria con un piccolo tesoro rimediato in modo avventuroso, costruisce con i soldi ricavati dalla vendita dei gioielli che lo costituivano quel mulino sul Po da cui sgorgano le vicende di quattro generazioni di Scacerni.
Tra i più noti combattenti stranieri della prima metà del diciannovesimo secolo fu il piemontese Santorre di Santa Rosa, eroe della guerra di indipendenza Greca, che combattendo contro i turchi in Grecia trovò la morte. Con Santorre di Santa Rosa solo un mese dopo troverà la morte in quella stessa guerra anche il borgotarese Francesco Basetti.
Ma il nostro più famoso Foreign Fighter è senza alcun dubbio Giuseppe Garibaldi, che non a caso è stato chiamato l’eroe dei due mondi, per aver a lungo soggiornato e combattuto in Brasile, in Argentina e in Uruguay, prima di tornare in Italia e diventare con la spedizione dei mille, il nostro più popolare eroe nazionale.
Vi sono combattenti che accorrono da terre lontane in tutti i numerosi conflitti che punteggiano la storia europea a cavallo tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo.
La guerra civile spagnola fu una guerra combattuta dagli spagnoli dei due schieramenti, quello falangista e quello repubblicano, ma il contributo dei volontari provenienti dall’estero in quel conflitto fu davvero notevole. I rivoltosi falangisti di Francisco Franco furono appoggiati dai volontari e dalle armi di Hitler e di Mussolini, e in soccorso del governo repubblicano accorsero giovani dal mondo intero.
Nomi famosi furono quelli di George Orwell e di Ernest Hemingway, schierati coi repubblicani. Hemingway scrisse ambientandolo nella Spagna della guerra civile il romanzo Per chi suona la campana, il cui protagonista è un combattente americano, Robert Jordan, alter ego dello scrittore.
Numerosissimi furono gli italiani in entrambi gli schieramenti. Moltissimi antifascisti italiani parteciparono a quella guerra; ricordiamo tra gli altri Palmiro Togliatti, Giovanni Pesce, Pietro Nenni, Randolfo Pacciardi. In Spagna nel 1937 cadde colpito a morte, se da un colpo sparatogli alle spalle da un sicario stalinista o da una raffica di mitragliatrice falangista, gli storici ancora su questo dibattono, uno degli eroi della difesa di Parma dall’assalto dei fascisti di Cesare Balbo, Guido Picelli, il capo e il fondatore degli Arditi del Popolo.
I Foreign Fighters, che allora si chiamavano semplicemente volontari stranieri, non mancarono neppure nella seconda guerra mondiale. L’esercito nazista poté contare su intere divisioni SS formate da stranieri. Furono i francesi della divisione SS Charlemagne gli ultimi disperati e impavidi difensori del bunker di Hitler.
Ridotti a qualche decina di superstiti armati di soli Panzer Faust, sacrificarono la loro vita senza la minima speranza di successo opponendosi ad un nemico infinitamente più numeroso e potente.
Ernesto Che Guevara è il più iconico Foreign Fighter del ventesimo secolo. Argentino di nascita combatté a Cuba al fianco di Fidel Castro e dei suoi barbudos. Verrà assassinato in Bolivia dai militari governativi addestrati e armati dal governo statunitense e dalla sua agenzia di spionaggio internazionale, la CIA.
In seguito sarà l’Afghanistan, con la resistenza anti-russa, ad attrarre numerosi combattenti stranieri sovvenzionati sempre dalla CIA. I cosiddetti freedom fighters daranno poi vita alla celebre e famigerata Al Qaida.
Come abbiamo visto quindi, i Foreign Fighters non sono un fenomeno recente, tutt’altro; di recente nella loro storia c’è solo questo nome in inglese, lingua della globalizzazione, con cui oggi li si designa.
La guerra civile siriana, fin dai suoi esordi nel 2011, fungerà da tragica calamita per centinaia, migliaia di giovani occidentali, che, convertiti all’Islam, andranno in Siria per unirsi alle forze ribelli al regime di Assad. Ma non mancheranno quelli che, provenienti dal mondo sciita, si recheranno in Siria per difendere quel regime, e se Assad è ancora al potere, in grande misura lo deve a loro.
Con la nascita dell’autoproclamato “Stato Islamico”, nel giugno del 2014, e con le tragiche azioni di questa entità, frutto velenoso di una guerra civile fra le più tragiche e cruente che la storia ricordi, i combattenti stranieri che vi si erano uniti divennero passibili in Italia di pesanti pene detentive.
Grande timore hanno suscitato negli anni immediatamente successivi a quella guerra i cosiddetti Foreign Fighters dell’Isis di cui si temeva il ritorno nei paesi di origine. Di fatto i combattenti legati all’Isis ritornati in Europa sono un fenomeno numericamente trascurabile, perché molto rari sono i sopravvissuti, e con Daesh praticamente scomparso dalla scena internazionale, di loro i grandi media hanno da un pezzo cessato di parlare.
Così come non si sente più parlare dei volontari italiani che in Siria e in Iraq sono andati per unirsi ai combattenti curdi; quei curdi che la coalizione internazionale ha utilizzato per andare a completare sul terreno quello che le potentissime aviazioni occidentali anti-Isis avevano fatto bombardando dal cielo. Diverso però il trattamento riservato a chi è potuto ritornare in patria dopo aver combattuto a fianco dei curdi e degli occidentali. Nessuna incarcerazione, ma piuttosto la possibilità di pubblicare libri e di tenere conferenze pubbliche.
La Siria e la sua tragica guerra civile ha cessato da un pezzo di interessare ai nostri telegiornali. Ad essere al centro dell’attenzione mediatica in questi ultimi mesi è la guerra che Russia e Ucraina stanno combattendo dal febbraio dello scorso anno. Anche in questa guerra tutta nuova e recentissima, giovani entusiasti, generosi e avventurosi sono accorsi a dar manforte alle due parti in conflitto. Purtroppo numerosi sono stati i caduti, fra di loro anche qualche italiano.
La guerra da sempre, indifferente alla terra di origine, ha attratto a sé molto spesso uccidendoli, operando una crudele selezione darwiniana al contrario, i giovani più forti, più generosi ed idealisti.