Il matrimonio islamico conserva una peculiarità, nel passato norma comune a varie tradizioni rivelate, oggi considerata simbolo di arretratezza: la poliginia che trova il suo fondamento nella Fitrah, ovvero lo stato originario della natura umana.
Lo stato di natura
Benché sussista una sorta di rispetto verso la spiritualità, nella mentalità comune si concepisce la cura dello spirito come qualcosa di slegato dalla legge. La religione, infatti, viene spesso rappresentata e vissuta come altro da sé, come un insieme di norme, ritenute arcaiche e calate dall’alto.
Si tratta per certo di una concezione estremamente distante dalla realtà della cosmovisione islamica, questo perché l’Islam è una fede naturale per definizione. Quello di Fitrah, infatti, è un concetto fondamentale nell’Islam e si riferisce alla natura intrinseca dell’uomo e alla sua inclinazione verso il riconoscimento dell’unicità di Dio e la ricerca della verità.
Il Corano, al riguardo, afferma: Rivolgi il tuo volto alla religione come puro monoteista, natura originaria che Dio ha connaturato agli uomini; non c’è cambiamento nella creazione di Dio. Ecco la vera religione, ma la maggior parte degli uomini non sa. ( Corano 30-30)
Data la sua origine divina, la natura umana, la Fitrah, è imperitura; il Creatore la conosce meglio di chiunque altro e la Salvezza non può prescindere dalle sue leggi, che sono in accordo con l’inclinazione umana in ogni tempo ed in ogni luogo.
Nell’esposizione coranica tutto il creato, inclusa la natura umana, costituisce un insieme di segni a testimonianza dell’esistenza di Dio e quindi del dovere dell’uomo di adorarLo e rispettarLo, per ottenere il successo nella vita terrena e nell’aldilà. Il Profeta Muhammad (che la pace sia su di lui) ha detto: “Tutti gli esseri umani sono nati in uno stato di Fitrah, poi i loro genitori li fanno diventare ebrei, cristiani o zoroastriani” (Sahih al-Bukhari).
Se ne deduce che il matrimonio, nella sua definizione islamica, non può fare eccezione; anch’esso è armonia con la natura del creato e con la volontà del Creatore. Dio ha riposto nel matrimonio un’elevata benedizione e di conseguenza una grande responsabilità. È questa unione che permette la continuazione della vita e soprattutto la formazione di esseri umani sani, forti ed equilibrati.
La poliginia
La poliginia, anche detta poligamia (questo secondo termine in realtà definisce in senso ampio la possibilità di contrarre matrimonio con più di una persona, senza specificarne il sesso) viene spesso presentata come un’eccezione islamica, quando non addirittura come un’eccezione in seno all’Islam stesso.
In realtà, invece, la possibilità di un uomo di sposare più donne è qualcosa che ritroviamo in quasi tutte le società, andando a ritroso nella storia, e a tutte le latitudini ed ha nuovamente a che vedere con la natura.
Infatti è risaputo che gli uomini e le donne hanno strategie riproduttive differenti, in quanto hanno una differenza biologica fondamentale: la donna può produrre un solo ovulo alla volta, mentre l’uomo può produrre milioni di spermatozoi in un solo atto sessuale.
Questo determina una significativa diversità nell’approccio alla riproduzione e di conseguenza all’unione matrimoniale, perché, tra le altre cose, le donne devono sostenere la gravidanza e nutrire il neonato, dovendosi preoccupare quindi di ottenere sicurezza e stabilità per sé stesse e per i figli, in un processo che richiede tempo e che le espone a numerosi rischi; sono quindi selettive nella scelta del loro partner sessuale, monogame e soprattutto ipergamiche, cioè ricercano un uomo che sia più forte di loro, più capace, più ricco, più intelligente o con uno status sociale più elevato. Questa propensione è fondata sulla ricerca di un vantaggio per la sopravvivenza della vita umana.
Gli uomini hanno la capacità di produrre molti spermatozoi e di concepire con molte donne contemporaneamente, senza dover investire il tempo e l’impegno personale necessari per la gravidanza e la cura del bambino. Ciò spiega perché gli uomini tendono ad essere più interessati alla quantità di partner sessuali rispetto alla qualità, in quanto possono aumentare le loro possibilità di diffondere i loro geni. Questo chiarisce anche perché gli uomini possono essere meno selettivi nella scelta del loro partner sessuale rispetto alle donne e anche questa propensione ha a che fare, evidentemente, con un vantaggio per la continuazione della vita sulla Terra.
In natura, quindi, potenzialmente l’uomo più forte, più bello o più ricco di un determinato gruppo può riprodursi con più donne garantendo così il miglioramento della progenie, mentre gli uomini meno dotati sarebbero penalizzati. Questo è ciò che è avvenuto per secoli in molte società ed in qualche modo avviene ancora oggi. I re, gli imperatori, i sultani, avevano corti ed harem e, con le dovute proporzioni, il fenomeno riguardava anche gli altri uomini di ricchezza e potere.
È quindi importante comprendere e sottolineare che la rivelazione coranica interviene a limitare e a regolamentare una pratica che prima – spesso – non aveva limiti. E’ noto che il Profeta Salomone (pace su di lui), ad esempio, ebbe centinaia di mogli.
Nelle altre rivelazioni e tradizioni
Come abbiamo già detto, la poliginia, ovvero la pratica di avere più mogli, ha una lunga storia che si estende fino ai nostri giorni. Questo fenomeno non è legato a un singolo popolo o cultura, ma è stato da sempre praticato in molte parti del mondo.
L’Antico Testamento testimonia come la poliginia fu praticata da alcuni patriarchi e re, come ad esempio Abramo, Giacobbe e, appunto, Salomone.
Nel mondo induista, in particolare nei Veda, testo sacro induista, si afferma che un uomo può avere più di una moglie solo se è in grado di trattarle tutte in modo equo; mentre nel Mahabharata, uno dei più importanti testi sacri dell’induismo, è menzionato il numero di mogli che un uomo può avere, in base alla sua casta. Secondo il testo un brahmana può avere fino a tre mogli, mentre uno kshatriya può averne fino a due. In India la poliginia è stata vietata dalla legge solo nel 1955.
In alcuni paesi a maggioranza buddista, come la Birmania (Myanmar), è in vigore una legge civile che consente la poligamia per gli uomini buddisti. Nella pratica la poligamia è rara ma, in generale, la maggior parte dei buddisti in quella regione segue il Vinaya Pitaka, testo che vieta la poligamia per i monaci e le monache, ma non per i laici. Nel buddismo oggi, così come per l’induismo, la poliginia non viene praticata ed è anzi di fatto bandita ma, come vediamo sia nei testi che nelle tradizioni antiche, sono evidenti testimonianze di una pratica che persiste in alcuni contesti particolari.
Per quanto riguarda la tradizione ebraica, il Talmud permette la poliginia a patto che un uomo abbia le risorse finanziarie e la capacità di prendersi cura di più mogli. Nel Talmud ci sono diverse fonti che discutono della poligamia. In particolare, il Talmud babilonese (Mishnah, Kiddushin 4:4) afferma che un uomo può sposare più di una moglie, ma non più di quattro.
Indicazione ricorrente, visto che nel Talmud (Yevamot 65a) si afferma che un uomo può prendere diverse mogli aggiuntive, purché abbia i mezzi per sostenerle tutte.
Dalla Torah si apprende che Giacobbe sposò sia Rachele che Lia, le due sorelle, ed ebbe figli da entrambe (Genesi 29-30). Anche Davide ebbe molte mogli e concubine.
La prima dichiarazione esplicita che mise al bando la poligamia per gli ebrei venne da Rabbeinu Gershom, un famoso talmudista francese che, intorno all’anno 1.000 d.C., dichiarò il divieto della poligamia; divieto che valse, però, solo per gli askenaziti, in quanto i sefarditi continuarono a praticarla.
Napoleone, nel garantire i diritti della minoranza ebraica in Francia, si preoccupò di non autorizzare con tali garanzie la pratica della poligamia. Il Concistoro degli ebrei francesi s’impegnò dunque a uniformare gli usi e costumi degli ebrei alla legge francese, dichiarando in particolare che gli ebrei solitamente non praticano la poligamia. Ciononostante le comunità orientali di origine sefardita hanno continuato a praticarla praticamente fino ai giorni nostri, come ancora avviene, ad esempio, nello Yemen.
Basti pensare che lo Stato di Israele ha proibito la poligamia nel vicino 1977 e comunque ne concede la possibilità a chi volesse accedervi per esigenze particolari, che devono essere vagliate dal tribunale rabbinico.
In ambito cristiano i più noti ad aver mantenuto vigente la pratica del matrimonio poliginico sono stati i mormoni, sebbene la maggioranza di loro l’abbia abbandonata sotto pressione dello stato secolare. Negli Stati Uniti ci sono alcuni gruppi che si definiscono “mormoni fondamentalisti” o “mormoni della poligamia” che continuano a praticarla. Questi gruppi sostengono che la poligamia sia stabilita nella Bibbia e che la proibizione della poligamia nella Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni sia una deviazione dalla vera fede.
Le loro argomentazioni religiose si basano principalmente su alcune narrazioni bibliche di personaggi che avevano più di una moglie. Come nella storia di Abramo, Giacobbe e Davide – tutti personaggi biblici che ebbero più di una moglie – dove la poligamia viene spesso citata come esempio di pratica accettata da Dio.
In effetti è quantomeno curioso che il cristianesimo decreti illecita la poliginia mentre la Bibbia la descrive quale pratica di profeti e pii uomini di Dio. D’altro canto nemmeno nei Vangeli si trova un riferimento esplicito riguardo a tale presunto divieto. I cristiani dovettero, quindi, sconfessare i profeti biblici per far proprio il modello matrimoniale dei loro persecutori pagani, i romani.
L’intervento regolatore della rivelazione coranica
La rivelazione che Dio affidò a Muhammad è considerata dai musulmani il sigillo della profezia e giunse a regolamentare il matrimonio con precisione, in un contesto in cui non c’erano limiti, ponendoli ora con chiarezza, affidando questo compito a questo versetto del Corano: “E se temete di essere ingiusti nei confronti degli orfani, sposate allora due o tre o quattro tra le donne che vi piacciono; ma se temete di essere ingiusti, allora sia una sola o le ancelle che le vostre destre possiedono, ciò è più atto ad evitare di essere ingiusti.”
Dio limita a quattro le donne con le quali un uomo può essere al contempo sposato e stabilisce come condizione che vi sia la possibilità da parte dell’uomo di garantire una condizione di equità, tanto affettiva che materiale.
Anche se alcune tendenze moderniste ricorrono a forzature interpretative per piegare la legge divina ad esigenze culturali, il matrimonio islamico comprende il diritto alla poliginia. Ciò è suffragato in primis dall’esempio profetico, poi da quello dei Compagni e successori del Profeta, così come da secoli di consuetudine e di conferme nei pareri giuridici dei sapienti e dei giurisperiti.
Si può affermare, dunque, che i tentativi di vincolare questa possibilità a condizioni particolari (come la guerra) o di subordinarla (come avvenuto in Marocco) al consenso della prima moglie, si configurano come innovazioni che non trovano riscontro alcuno nelle fonti sacre.
Se legge sacra e società viaggiano su due binari diversi
Affinché la società umana sia allineata alla legge di Dio, questa legge dev’essere applicabile. A tal fine si deve far nuovamente ricorso al concetto di Fitrah, con piena coscienza delle diverse caratteristiche e necessità di donne e uomini, e delle differenze che sussistono anche tra gli uomini stessi. La poliginia non è quindi per tutti, ma è una possibilità concreta che si presta a soluzione di numerose esigenze sociali.
Attualmente, ancor più che nei secoli scorsi, la monogamia è solo un enunciato teorico in quanto ben sappiamo come siano diffuse le relazioni extraconiugali. La negazione di questa realtà a favore di una posizione che non ha alcuna sostenibilità reale, comporta una serie di problemi che affliggono in primis le donne, che finiscono per essere sfruttate e private di qualunque tutela.
La funzione positiva della poliginia è disconosciuta, anzi appare assurda, quando Dio e la Sua legge perdono definitivamente rilevanza e nella società domina il relativismo di comodo. A quel punto la legge può essere rinchiusa in un libro impolverato e così privata di ogni valenza, esponendo la vita dell’uomo a mode sempre cangianti e del tutto incuranti del Sacro.
Ecco allora che si generano perniciosi paradossi: quando la legge religiosa stabilisce una sola moglie, nelle società occidentali diventa normale avere più amanti; quando la legge della Chiesa predica la castità prematrimoniale, ci si sposa dopo i trent’anni e fino a quel momento tutto è socialmente permesso ed incoraggiato; quando la legge sacra teorizza il matrimonio indissolubile, non solo proliferano i divorzi, ma non ci si sposa nemmeno più. Così affianco alla monogamia ufficiale prolifera la prostitizione, l’omosessualità e la pornografia.
Quando il sesso viene slegato dal matrimonio diventa superfluo chiedersi se il modello di matrimonio monogamico ed indissolubile sia congruo o meno con la natura umana.
Allo stesso modo, se anche la legge di natura viene disconosciuta e la biologia non ha nessuna importanza, fino a negare ogni legame tra il sesso ed il cosidetto ruolo di genere, diventa incomprensibile la ratio della norma divina e inaccettabile la sua applicazione.
La spasmodica corsa di alcune chiese e religioni all’inseguimento di queste ideologie moderne finisce per delegittimare il loro ruolo e legittimare quel che al cospetto di Dio è totale aberrazione.
Nelle diverse tradizioni religiose e sociali di molti popoli si osserva come le regole del matrimonio, istituto legato a una dimensione sacra, nel corso della storia siano cambiate per uniformarsi a quelle di un modello dominante. La modernità ha decretato l’allontanamento dal modello naturale, quello poliginico, in ogni cultura del pianeta, con l’eccezione – almeno sul piano dottrinale – dell’Islam.
L’Islam con la sua coerenza, la persistenza delle sue norme fondamentali custodite dall’immutabilità del Corano – memorizzato e quotidianamente recitato da oltre un miliardo di musulmani – non permette all’uomo di rendere lecito l’illecito e illecito ciò che è lecito e per questo si offre all’umanità come unico baluardo contro la degenerazione dilagante.