Un ufficiale dell’esercito italiano, il generale dei paracadutisti Roberto Vannacci, uno spezzino di 55 anni, con un lungo e prestigioso curriculum militare, sul quale per amor di brevità sorvoliamo, scrive, si suppone nei momenti liberi dai suoi impegni militari, un libro contenente in buona sostanza i suoi pensieri in libertà relativamente a cosa pensa del mondo attuale e dei suoi mille problemi. Lo scrive e poi lo pubblica a sue spese con un editore Self Publishing trovato online. Un editore classico non l’ha trovato, ma è anche possibile che neppure l’abbia cercato. Anche su questo sarà criticato, dimenticando i suoi critici che, quando ancora pubblicare un libro da sé non era facile come oggi, autori come Proust, Svevo e Joyce non trovando un editore, avevano pubblicato a proprie spese.
Nella sua opera prima, l’uomo in divisa tocca per la bellezza di quasi quattrocento pagine, per l’esattezza 373,i più svariati temi: l’omosessualità, la patria e la famiglia, la proprietà privata, in special modo quella della casa e chi questa proprietà minaccia e usurpa, il diritto di chi è aggredito a difendersi, l’immigrazione, i cosiddetti nuovi italiani. Si occupa, en passant, anche dell’Enogu, la pallavolista, della quale lo sorprendono e un po’ l’inquietano i lineamenti non esattamente italici. I temi, come si vede, sono i più svariati, la carne al fuoco, tanta.
Vannacci non è un maître à penser, e però bisogna dirlo, neppure accampa questa pretesa. Non si sente Julius Evola, e neppure un novello Kant. Vannacci non è uno scrittore, un saggista, una celebrata firma di giornaloni. E si nota. La sua prosa, banalità a parte, è una prosa greve; vi si sente lo stile vagamente burocratico di chi è abituato per mestiere a stendere rapporti e relazioni ufficiali, non a scrivere romanzi e neppure articoli di giornali. Ma poi perché fargliene una colpa?
A questo proposito Il Corriere della Sera, uno degli organi di stampa che insieme alle altre due corazzate dell’impero Agnelli, La Stampa e La Repubblica, più ha messo sulla graticola il generale e il suo libro, si è perfino dato la pena di incaricare un linguista , un docente universitario, il professor Arcangeli, di leggere Il mondo al contrario, di passarne al setaccio le pagine, mostrarne la sintassi incerta e i numerosi strafalcioni, accusandolo anche di aver fatto svariati copia e incolla. Insomma il professore il libro del generale ha avuto l’incarico di demolirlo, e ha dato il meglio di sé per farlo. Ma diciamolo, c’era bisogno di arrivare a tanto?
Il generale Vannacci, con tutta probabilità, quando nei momenti di libertà ha voluto mettere nero su bianco i suoi pensieri, le sue considerazioni, insomma la sua personale Weltanschauung, quasi certamente non pensava che quella sua prima, e per ora unica, fatica letteraria avrebbe provocato lo sconquasso che ha provocato.
Il primo a dare avvio per Il mondo al contrario ad una formidabile campagna di marketing che ha proiettato l’opera stabilmente in testa alle classifiche di vendita, surclassando e doppiando un’autrice molto celebrata e alla moda come la universalmente compianta Michela Murgia, è stato il ministro della difesa Crosetto, il quale sobriamente, si dice senza averne letto neppure una riga, a proposito dell’opera di Vannacci, ha parlato di farneticazioni, per poi alle parole far seguire i fatti, rimuovendolo dalla carica di direttore dell’Istituto cartografico militare che presiedeva, indicandolo così di fatto al pubblico ludibrio.
Tutti i media che contano sono poi andati in soccorso al ministro della difesa, contribuendo in modo poderoso a far diventare l’opera di un dilettante e di un esordiente un grande best seller, a farne il caso letterario dell’anno. Ma lo strepitoso successo di Vannacci non può essere unicamente attribuito al goffo intervento del gigantesco ministro della difesa e alla campagna di stampa che ne è seguita.
Evidentemente i temi toccati e la figura di chi il libro ha scritto, un militare tutto d’un pezzo, hanno potuto intercettare una sensibilità e uno stato d’animo, diciamo così , “di destra” molto diffusi in Italia; stato d’animo che il partito principale oggi al governo, Fratelli d’Italia, per quanto formalmente anch’esso di destra, con l’inopportuno intervento di Crosetto ha mortificato.
Invece la Lega con Salvini, annusata l’aria, più furbescamente, si è subito inserita in questa storia difendendo Vannacci e il suo libro, nella più che evidente speranza di ribaltare, o quantomeno modificare a proprio vantaggio, alle prossime elezioni gli attuali rapporti di forza intergovernativi.
In questa vicenda agostana, venuta alla ribalta in un’Italia accaldata e intenta a godersi le ferie, il primo elemento che si evidenzia è che anche un governo di destra è del tutto succube di quell’insieme di pensieri e di regole non scritte che va sotto il nome di politicamente corretto e di spirito del tempo. E in nome del politicamente corretto si è pensato di punire Roberto Vannacci per la grave colpa di aver espresso i suoi pensieri in un libro e averli in qualche modo resi pubblici.
Questo nonostante che nella Costituzione italiana all’articolo 21 ci sia scritto che Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
Tutti, nessuno escluso, e pare evidente che quel tutti includa anche i militari.
Tuttavia, non è certamente la prima volta che il principio costituzionale della libertà di pensiero viene conculcata in Italia. Già la legge Mancino pone una serie di limiti a questa libertà. In Italia poi è di fatto vietato per esempio pensarla in modo non conforme rispetto alla versione ufficialmente stabilita dello sterminio degli ebrei nel secondo conflitto mondiale, esternando al riguardo opinioni definite negazioniste.
Il deputato di Sinistra e Libertà Bonelli ha recentemente proposto di introdurre nel nostro ordinamento giuridico il reato di negazionismo ambientale, cioè diventerebbe un reato negare la supposta origine antropica del cosiddetto riscaldamento globale e del cambiamento climatico.
Con il DDL Zan, che fortunatamente non è passato in parlamento, ma che prima o poi verrà riproposto, la libertà di opinione nei confronti degli omosessuali e del loro mondo sarebbe stata pesantemente limitata.
Ma il momento in cui la libertà di pensiero è stata calpestata senza ritegno alcuno è stato durante il periodo pandemico, quando sui maggiori quotidiani e sulle maggiori reti televisive veniva propagata una sola versione, quella ufficialmente autorizzata dal complesso politico-sanitario, e ogni voce dissidente o era assente dai dibattiti e dalle trasmissioni televisive, oppure era oggetto dello scherno generale. Si pensi solo al trattamento ricevuto da un luminare e un premio Nobel della medicina come Luc Montagner, definito senza pudore alcuno un vecchio rimbambito.
Il noto filosofo italiano Giorgio Agamben, un intellettuale di grandissima fama, si è visto rifiutare dal Corriere della Sera di cui era stato un regolare collaboratore ogni intervento sul tema Covid e sulle politiche adottate in materia dal governo per il semplice fatto che la sua voce non si allineava alla versione ufficiale sulla pandemia. A differenza di quanto è avvenuto per il generale dei paracadutisti Roberto Vannacci, messo rumorosamente alla berlina, per Agamben si scelse il silenzio assoluto; si scelse per lui l’oblio.
Ovviamente i casi di Vannacci e di Agamben non sono paragonabili per i temi trattati, per valore, per peso morale ed intellettuale, ma sono però accomunati da una censura, che centri di potere di gran peso in Italia, come i media mainstream e la politica, in modi diversi, hanno scelto di operare nei loro confronti.