La questione del Burkini, che riappare ad ogni estate nei media europei, sottende una domanda di grande portata. Molti esponenti del panorama politico europeo, inclusi alcuni della sinistra, tendono a cadere in tre stereotipi principali:
Non crede che i musulmani residenti in Europa possano essere parte di uno Stato nazione. Tuttavia, la stragrande maggioranza di loro ha vissuto in uno Stato nazione ed ha accettato la Costituzione del Paese dove vivono.
Non riescono a capire che si può appartenere ad uno Stato nazione senza avere tutti la stessa religione, usi e costumi. Cercando di assimilare con la forza i musulmani, compiono una inutile violenza contro cittadini che lavorano e pagano le tasse come loro, contribuendo anche dal punto di vista demografico al benessere del Paese.
Costruiscono il loro rapporto con l’Islam come una religione da dominare, da anestetizzare privandola della sua carica rivoluzionaria e separando i riti privati dalla vita pubblica. La donna credente, come voce del patriarcato, viene delegittimata nel discorso pubblico e trattata come una idiota. Le stesse femministe islamiche sono spinte, in nome dell’inclusività, ad accettare l’ideologia gender e queer.
Il Velo e la Donna Musulmana
In Francia, le donne che portano il velo sono spesso percepite come indesiderabili e non pienamente integrabili nella nazione: sono indisciplinate e devono essere educate e convertite. Se resistono, diventano pericolose e vengono stigmatizzate come tali: ora sono nemici musulmani. Si tratta di impedire loro in modo “civile” di evolversi nella società definendo, nell’accesso a certi spazi e a certe funzioni, regole di neutralità religiosa incompatibili con l’uso del velo. Leggi e regolamenti, discorsi e attacchi le rendono, agli occhi dei loro detrattori, spogliate della loro umanità e della loro femminilità, come afferma la sociologa Franco-maghrebina Hanane Karimi.
È importante prestare attenzione a questo atteggiamento, come chiaramente riflette nelle interviste che la sociologia ha fatto a donne musulmane residenti in Francia: “Estratti dalle interviste forniscono un vivido resoconto di come la dominazione islamofobica distorca i corpi delle donne interessate, alterando l’autostima che a volte porta al desiderio di distinguersi dal gruppo di coetanei stigmatizzati.”
Quindi, un invito a non giudicare chi si trova in questa situazione, visto che un cambiamento in senso positivo può avvenire solo attraverso l’acquisizione della consapevolezza del proprio valore di fronte ad Allah ed agli altri.
Durante l’occupazione francese dell’Algeria, era normale costringere le donne algerine, mogli e figlie di notabili, a svelarsi, cosa che provocò una resistenza sorda e tenace.
Integrazione o Assimilazione?
Purtroppo, l’Europa ha una storia di emigrazione di braccia che non devono diventare cervelli, a differenza dei paesi anglo-sassoni dove basta essere buoni cittadini per essere accettati con la tua fede e cultura, senza dover rinunciare ad una parte di se stessi o celare la propria appartenenza.
Non solo i fautori del suprematismo bianco tolgono la libertà alle donne musulmane, ma anche un certo femminismo, quando delegittima la voce della donna credente dicendo che attraverso di lei parla un uomo. È una violenza, quando una donna parla, ritenere che sia un uomo a parlare in sua vece, se dice cose che non ci piacciono, e metterla così a tacere. Una violenza che passa come difesa del progressismo o dei valori occidentali.
Nessuno, che sia uomo o donna, dovrebbe avere il diritto di stabilire il significato dell’abbigliamento di una donna, se non la donna stessa, anche se comunque criteri come il decoro ed il buon senso dovrebbero fare parte della personalità di ognuno.
La questione del Burkini è un falso problema, afferma la sorella Maryam Sirignano in un’intervista (dalla quale dissento su diversi aspetti). Quello del Burkini è un non-problema, buono solo ad alimentare odio e diffidenza verso le donne musulmane occidentali, poiché molte delle discussioni avviate da presunti esperti del Medio Oriente e dell’Islam sono scollegate dalle abitudini tipiche di europei, americani e australiani riguardo alla frequentazione delle spiagge.
Vietare il Burkini o l’uso di un costume integrale è sostanzialmente un attacco all’Islam occidentale, alle abitudini e ad uno stile di vita che appartiene anche alle altre religioni, senza contare che sono molte le donne non musulmane ad acquistarlo.
Forse proprio perché è popolare, lo vogliono vietare, e perché paradossalmente rappresenta invece un fatto positivo per donne attive lontane dallo stereotipo della donna semi-analfabeta chiusa in casa. Donne musulmane coscienti ed acculturate come questa ragazza sono molto difficili da colonizzare.
C’è certamente un attacco al Burkini che è un attacco alle donne che vivono qui ma anche a quelle che, non solo in Occidente, lo portano. Le spiagge turche sono piene di donne col Burkini.
Il Burkini oltre i Confini
Sono diversi anni che va avanti una assurda polemica contro l’uso, da parte delle credenti, del costume da bagno islamico (Burkini). Da anni, ad ogni estate, soprattutto nel Nordest dell’Italia, i sindaci portano avanti una vera e propria crociata contro questo indumento, pretendendo che le donne musulmane restino chiuse in casa o si svestano. Il Burkini viene utilizzato anche da donne ebree ortodosse, induiste e cristiane mormoni, oltre che da persone che non intendono abbronzarsi in paesi dell’Asia Orientale. In Corea del Sud, sia uomini che donne portano costumi coprenti per una motivazione culturale.
Insomma, quasi tutto il mondo si copre, e anche chi non lo fa in genere rispetta il prossimo. La Lega ha addirittura presentato al Parlamento Europeo nel 2016 una interrogazione parlamentare per vietarlo, equiparandolo al burka e ritenendo che la copertura del corpo femminile sia un attacco ai diritti della donna stessa. In pratica, condividendo l’impostazione ideologica laicista della Francia.
Si consideri che il Burkini, come il burka, rappresenta una manifesta discriminazione di genere che mette in pericolo i diritti delle donne in Europa e che l’Europa fonda la sua nascita sui principi di laicità e di uguaglianza. Si rilevi inoltre che l’ostentazione dell’appartenenza all’Islam può causare problemi di ordine pubblico.
A parte l’assurdità del riferimento alla tutela dell’ordine pubblico visto che portarlo non è reato, la Lega dimentica che il velo e la copertura del corpo in spiaggia esistevano nella tradizione italiana, il primo da più di mille anni ed il secondo almeno da quando Susanna Agnelli si vestiva alla marinara. Infatti, durante la Belle Époque, le donne si coprivano quasi interamente in spiaggia per mantenere il decoro.
Ma parlare di pudore, discrezione e decoro o magari anche di scelta dettata dalla fede religiosa a gente che si è fatta strada urlando è totalmente inutile. Poche settimane fa, l’eurodeputata leghista Tovaglieri aveva fatto saltare l’evento organizzato dalle donne musulmane all’acquapark di Limbiate, evento in cui, tra l’altro, le donne potevano accedere come volevano, visto che non c’era presenza maschile. E nonostante ciò, la leghista ha tuonato: “Non possiamo più accettare l’alibi della discriminazione e dell’integrazione difficile, quando sono gli stessi immigrati musulmani a volersi isolare dalla società in cui hanno scelto di vivere, perpetuando usi e costumi incompatibili con i nostri, che stridono con le conquiste e con i diritti faticosamente raggiunti dalle donne in Occidente.”
Qui non si tratta di una questione di usi e costumi, ma di obbedienza ad Allah Subhana Wa Talaa, che ha stabilito chiaramente nei versetti coranici e nella Sunna, il dovere della copertura dell’awrah femminile indipendentemente dai tempi e dagli usi e costumi del Paese in cui vive la credente. I diritti della donna non c’entrano nulla, non esiste il diritto di nudità, e per quanto riguarda i diritti e le conquiste delle donne occidentali, stanno per essere distrutte dal neoliberismo e dall’ideologia gender, non certo da chi porta il velo o il Burkini. Quanto ai valori, non so con quale coraggio ne parla, visto che fa parte di un partito che difende la guerra, che si oppone a qualsiasi ipotesi migliorativa dello stato sociale per i poveri, e che in passato voleva spaccare in due l’Italia, che non è mai stato con quegli uomini e quelle donne che vorrebbe rappresentare, include le madri sole o le precarie sfruttate nel mercato del lavoro informale.
E siccome non c’è due senza tre, l’ultima sparata la mette in atto la sindaca di Monfalcone, sempre leghista, (ma con cognome non proprio italiano, visto che quella friulana è una minoranza linguistica a tutti gli effetti), si chiama Anna Cisint ed è nota alle cronache perché appena eletta, tra l’altro, voleva escludere una sessantina di bambini poveri dalla mensa scolastica comunale. Ora si prende di mira le bagnanti troppo vestite, in particolare le donne del Bangladesh, che sono in quella città la componente migratoria più importante, vista la presenza dei cantieri navali dove lavorano diverse centinaia di operai stranieri, in gran parte musulmani, con qualifiche che molti giovani italiani disoccupati non hanno.
Discriminazione post-coloniale
La sindaca, in una lettera scritta ai cittadini musulmani e alle loro rappresentanze istituzionali, definisce il bagno con indosso i vestiti un “comportamento inaccettabile” e promette provvedimenti “a tutela dell’interesse generale della città e dei concittadini”, in quanto vedere donne vestite in spiaggia abbasserebbe il valore turistico del luogo. E alla fine afferma: “Chi viene da realtà diverse dalla nostra ha l’obbligo di rispettare le regole e i costumi. La pratica di accedere sull’arenile e in acqua con abbigliamenti diversi dai costumi da bagno deve cessare”.
Si sottolinei tra l’altro che il Burkini è confezionato in genere con la stoffa del bikini e ne esiste una versione brevettata adatta alle Olimpiadi ed alle altre gare sportive di nuoto. Detto ciò, non vedo in quali termini si possa porre una questione di igiene per chi lo porta, questione surrettiziamente sollevata sia in Francia che nel nostro Paese dagli abolizionisti.
Ed in generale questo discorso puzza assai di discriminazione post coloniale e di razzismo contro le altre culture.
E poi c’è un discorso legato strettamente all’economia, lo stesso che rinforza l’emarginazione dei poveri estremi italiani e non. La libertà non finisce affatto in Occidente. E poi c’è un discorso economicista e classista, lo stesso che veniva portato avanti in Germania contro gli immigrati italiani negli anni ’50.
In sostanza, sembra che ci sia una tendenza a valutare positivamente i musulmani come forza lavoro, ma allo stesso tempo a preferire che siano meno visibili nella società, in modo simile all’atteggiamento verso un senzatetto di fronte a Wall Street. Ma siccome vestirsi secondo la propria fede non è reato per nessuno, la sindaca dovrà alla fine rassegnarsi oppure subire qualche causa da chi giustamente è stufa di vedere negati i propri diritti di essere umano e di credente.