Mi sono già, piacevolmente, speso a parlare del digiuno nelle tradizioni diverse da quella islamica. In particolare nell’articolo Il digiuno nelle altre tradizioni: la creazione del corpo di luce, pubblicato sulla versione on line de La Luce nel corso del Ramadan 2022.
Del resto la tematica è, possiamo dire, inesauribile perché sono migliaia di anni che, nell’ambito delle diverse tradizioni religiose, si vivono pratiche affini (pur ciascuna con proprie peculiarità) di digiuno.
In ambito cristiano, ancora oggi, il digiuno viene particolarmente valorizzato nell’ambito della tradizione ortodossa, notoriamente più ascetica. Il luogo per eccellenza del mondo ortodosso è il Monte Athos: un territorio autonomo della Repubblica Ellenica — dotato, secondo l’articolo 105 della costituzione del paese, di uno statuto speciale di autogoverno — al confine con la Macedonia Centrale.
Lo Stato Monastico Autonomo del Monte Athos può essere visitato solo muniti di uno speciale permesso di soggiorno (Diamonitirìon) della durata di appena quattro giorni (eventualmente estendibili per altri due o tre). Tuttavia è espressamente vietato l’ingresso alle donne.
L’interdizione, spiegano su un articolo della BBC del 27 maggio 2016, si estende anche agli animali domestici di sesso femminile, ad esclusione di gatti, insetti e uccelli.
Il Monte Athos è probabilmente il posto al mondo dove è mantenuta maggiormente viva la tradizione dell’Esicasmo su cui intendo brevemente soffermarmi in quest’articolo.
Il termine proviene dal greco hesychia: calma, pace mentale e designa una tradizione che individua nella ricerca dell’abbandono completo a Dio il più alto dei suoi scopi.
La tradizione esicasta può essere fatta risalire ai padri del deserto. Viene divulgata nel quarto secolo da Evagrio Pontico, discepolo di Macario il Grande che raccolse attorno a sé un numero considerevole di “figli spirituali”, inaugurando una colonia monastica in una depressione desertica ubicata a circa 90 chilometri dal Cairo: Wadi El-Natrun, divenuta successivamente celebre — nella letteratura cristiana — con il nome greco di Scete. È oggi conosciuta come una delle regioni più sacre per la cristianità.
È diffusa l’ipotesi che il principale riferimento testuale dell’Esicasmo si trovi in Matteo 6:6, quando Gesù, stigmatizzando le ostentate preghiere degli ipocriti, esorta chiaramente ad una maggiore riservatezza con queste parole:
“Entra nella tua stanza, chiudi la porta e prega tuo Padre, che è invisibile. Allora tuo Padre, che vede ciò che è stato fatto in segreto, ti ricompenserà”.
La preghiera “solitaria” costituisce infatti la principale pratica dei seguaci della tradizioni esicasta e consiste nella ripetizione “incessante” della formula “Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore”. A questo riguardo credo meriti riportare che Giovanni Climaco (525/575 circa – 603/650; le date esatte di nascita e di morte sono incerte), uno dei più importanti autori esicasti, affermava: “Fa che il ricordo di Gesù sia presente assieme ad ogni respiro, così conoscerai il valore dell’ hesychia!”.
Personalmente trovo molto affascinante l’esperienza dei padri del deserto che dall’Egitto si sarebbe estesa in Asia Minore per poi giungere e fiorire — attraverso eremi e cenobi e a partire dal quinto secolo — in Italia (soprattutto in Abruzzo, in Umbria e nel Lazio dove se ne trovano ancora oggi interessanti vestigia).
Del resto è stata l’espressione di un cristianesimo “giovane”, ancora “vergine” ed il fascino della tradizione esicasta, non molto diffusa al di fuori dei confini dello Stato Monastico Autonomo del Monte Athos, si lega, a mio vedere, proprio al tentativo di mantenere viva una connessione con una cristianità “aurorale” che aveva tra le sue caratteristiche peculiari anche un frequente ricorso alla pratica del digiuno.
Citando dal mio articolo precedente Il digiuno nelle altre tradizioni: la creazione del corpo di luce , era abitudine comune presso gli eremiti e i monaci non solo digiunare di frequente (c’era, tra di loro, chi mangiava ogni due giorni o, soprattutto nei periodi prescritti, solo il sabato e la domenica) ma anche mangiare in maniera molto frugale, rinunciando alla quasi generalità dei prodotti di origine animale ed al vino:
“La loro alimentazione abituale era fatta di pane, sale e acqua, insieme a legumi, cavoli, verdure e frutta secca, come datteri e fichi. Gli eroi dell’ascesi monastica preferivano cavoli crudi e verdure cotte. Una frittata di verdure era già un piatto da festa”.
(Anselm Grün, Digiunare per il corpo e per lo spirito, p. 10)
Non a caso tesse ampie lodi del digiuno Atanasio di Alessandria che visse a lungo nel deserto con il proprio maestro Antonio Abate (considerato il fondatore del monachesimo cristiano) di cui scrisse la celebre biografia.
Anselm Grün riporta la seguente citazione di Atanasio:
“Vedi dunque cosa fa il digiuno! Guarisce le malattie, libera il corpo dalle sostanze superflue, scaccia gli spiriti maligni, espelle i cattivi pensieri, dà allo spirito una più grande chiarezza, purifica il cuore, spiritualizza il corpo, in una parola fa accedere l’uomo dinanzi al trono di Dio… Grande forza è il digiuno, e porta a grandi vittorie!”.
(Anselm Grün, op. cit., p. 17)
Di conseguenza, la pratica del digiuno ha un ruolo di tutto rispetto nella stessa tradizione esicasta e, difatti, Nicodemo l’Agiorita (1749-1809) che si spese non poco per la sua riscoperta, parlando nella sua opera Encheiridion di coloro che la inaugurarono, li qualifica come divini Padri Digiunatori.
L’opera più importante di Nicodemo l’Agiorita, tuttavia — scritta insieme a Macario di Corinto e pubblicata, in greco, a Venezia nel 1782 — è la celebre Filocalia, considerata oggi una delle opere principali della tradizione cristiana ortodossa.
La Filocalia è una raccolta di brani di diversi esponenti dell’ascesi cristiana, prendendo le mosse dagli anacoreti egiziani del IV secolo (a partire dallo stesso Evagrio Pontico) per giungere fino ai monaci del Monte Athos del XV secolo.
Credo possa essere definita un “condensato di insegnamenti di mistica cristiana” in cui non può mancare una valorizzazione del digiuno come argine alle deviazioni delle passioni corporee.
Del resto, per citare un brano di Evagrio Pontico presente nell’opera in questione:
“Il regno dei cieli è lo stato dell’anima libera dagli impulsi passionali, accompagnato dalla conoscenza oggettiva delle realtà create”.
In due passaggi di poco successivi, sempre attribuiti ad Evagrio Pontico, leggiamo:
“Le divagazioni mentali sono placate dalla lettura dei libri sacri, dal non indulgere alla sonnolenza fisica, dalla preghiera. La lussuria bruciante è domata dalla fame, dal lavoro manuale, e dal vivere solitario”.
“Quando l’istinto si mostra bramoso di varietà di cibi, confinalo a pane e acqua; diverrà grato anche di una sottile fetta di pane. La sazietà porta al desiderio di cibi raffinati; la fame considera benedizione un po’ di pane”.
Della Filocalia si parla abbondantemente in un altro “classico” della spiritualità ortodossa, un testo scritto tra il 1853 e il 1861 da un certo Nemytov: Racconti di un pellegrino russo. È la storia di un giovane russo, rimasto invalido durante l’infanzia e dunque impossibilitato a muovere il braccio sinistro.
Dopo aver perso la casa e, soprattutto, la moglie inizia a pellegrinare nella sua terra sconfinata.
Colpito dal passo della Prima Lettera ai Tessalonicesi in cui San Paolo esorta a “pregare senza interruzione”, peregrina da paese a paese vivendo varie esperienze e traversie di cui sono ricchi i suoi Racconti.
Nella sua bisaccia una vecchia Bibbia, una vecchia copia della Filocalia e pane secco, il suo principale nutrimento quando non digiunava.
Sappiamo che il digiuno che si pratica nella tradizione islamica, nel corso del mese sacro di Ramadan, non è figlio di una visione così duramente penitenziale.
Il Ramadan viene infatti definito, in inglese, un mese di fast and feast, in cui si digiuna durante il giorno ma si condivide gioiosamente un pasto abbondante, la sera, con membri della propria famiglia, amici e, talora, anche persone fino a quel momento sconosciute.
Naturalmente quella che si vuole enfatizzare qui è la dimensione comunitaria delle cene di Iftar e non, come purtroppo capita non di rado, quella della grande abbuffata che non è in linea con gli insegnamenti che ci sono stati tramandati. Sappiamo difatti che il Profeta Muhammad (pbsl) rompeva il digiuno con appena pochi datteri e acqua, rappresentando un modello di sobrietà cui è bene, pur con qualche concessione ai piaceri del palato, ispirarsi.
Della necessità di vivere il mese di Ramadan, pur senza mortificare la dimensione della convivialità, in maniera sobria e attenta all’ambiente abbiamo parlato in diversi articoli precedenti. Credo meriti segnalare il seguente sulla versione on line de La Luce: Attenti a plastica e carne: guida per un Ramadan eco-sostenibile da cui è anche possibile (e raccomandabile) scaricare la Guida ad un Ramadan eco-sostenibile, cercando poi di aderire a quanto vi viene suggerito.
In conclusione, credo che una consapevolezza del digiuno nelle altre tradizioni (nel caso specifico quella esicasta) possa essere ispirante ed aiutare, ad esempio, a perseverare in quei momenti della giornata in cui si fatichi maggiormente a rinunciare al cibo e all’acqua.
La stessa “lussuria bruciante”, affermava come abbiamo visto Evagrio Pontico, “è domate dalla fame”. Tale è l’auspicio di ogni musulmano ogni mese nel mese in cui, durante il giorno, è richiesta la rinuncia ad ogni attività sessuale oltre che ai pasti. Le rinunce del giorno renderanno, del resto, più liete (pur con attenzione alla sobrietà di cui sopra) le celebrazioni serali.