In una svolta sorprendente degli eventi, pochi giorni dopo la fiduciosa proclamazione del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu alle Nazioni Unite su un nuovo Medio Oriente con Israele al centro, il regime apartheid ha dovuto affrontare un’offensiva inaspettata da parte dei territori palestinesi.
Le forze palestinesi, guidate principalmente da Hamas, hanno eseguito un attacco coordinato da Gaza, comprendendo strategie aeree, navali e terrestri. Insieme agli attacchi missilistici, i militanti palestinesi hanno preso di mira sia le zone militari che quelle civili nel sud di Israele, provocando perdite significative e numerosi ostaggi.
Le ragioni dietro questa strategia aggressiva di Hamas sono molteplici. Una delle motivazioni principali è quella di vendicarsi delle politiche di lunga data di Israele, inclusa l’occupazione e la presunta profanazione dei siti religiosi palestinesi. Un altro fattore trainante è l’aspirazione a negoziare il rilascio di numerosi prigionieri palestinesi dalla detenzione israeliana.
Il contesto più ampio rivela una lunga storia di sottovalutazione da parte delle autorità israeliane. Anche casi passati, come l’attacco arabo del 1973 o le Intifada della fine del XX secolo e l’inizio del XXI secolo, avevano colto Israele alla sprovvista. Quest’ultima operazione di Hamas sottolinea ulteriormente le potenziali lacune nelle capacità di intelligence e sorveglianza di Israele.
Tuttavia, le conseguenze per Israele non si limitano ai soli aspetti militari e di intelligence. L’impatto psicologico e politico è immenso. La percepita invulnerabilità di Israele ha subito un duro colpo, sollevando interrogativi sulle sue aspirazioni come leader regionale. Le immagini diffuse di civili israeliani in fuga in preda al panico lasceranno probabilmente un segno indelebile nella psiche nazionale.
Con la pressione crescente, Netanyahu deve affrontare il compito arduo di gestire le percezioni sia nazionali che internazionali. Anche se Israele potrebbe rispondere con una maggiore aggressione militare nei confronti di Hamas, questa potrebbe non essere una soluzione sostenibile nel lungo periodo.
Si ipotizza anche una possibile rioccupazione dei territori palestinesi da parte di Israele, una mossa che potrebbe soddisfare alcune delle fazioni più intransigenti all’interno di Israele ma potrebbe intensificare il conflitto a livelli senza precedenti.
Tali mosse aggressive potrebbero anche alienare Israele a livello internazionale. Anche gli alleati occidentali, che storicamente hanno sostenuto Israele, potrebbero riconsiderare le loro posizioni. Inoltre, le nazioni arabe che hanno recentemente normalizzato i legami con Israele potrebbero rivalutare le loro posizioni, data l’attuale volatilità.
Mentre le tensioni continuano a crescere, l’attenzione si sposta oltre la leadership, verso le popolazioni più numerose di entrambe le nazioni. Con i palestinesi che dimostrano la loro determinazione a lottare per la giustizia, è imperativo che entrambe le parti rivalutino il loro approccio per una pace duratura.
Strategicamente è difficile che l’offensiva palestinese possa ottenere un successo materiale ma potrà ottenere quello psicologico. La percezione dell’invincibilità di Israele è già storia; l’attitudine passiva dell’Occidente sarà messa in dubbio; e quegli Stati arabi che si sono aperti alla normalizzazione con Israele sperando di ottenere benefici dagli USA dovranno pensarci due volte messi ora sotto il riflettore di un’opinione pubblica araba che in massa mostra il suo supporto per la resistenza palestinese.