Le dichiarazioni di Giuseppe Valditara, ministro dell’Istruzione, riguardo i messaggi di alcuni gruppi studenteschi sul conflitto israelo-palestinese, sollevano preoccupazioni e polemiche.
Le recenti parole del ministro sono state definite da molti come inopportune, se non addirittura deliranti. Secondo le agenzie di stampa, Valditara avrebbe espresso l’intenzione di inviare ispettori in due scuole lombarde, a causa di studenti che hanno mostrato simpatia per la resistenza palestinese.
È sorprendente che il ministro sembri ignorare la mancanza di un rapporto gerarchico tra studenti e ministero, rendendo tali ispezioni irrealizzabili. Emerge l’ipotesi che l’obiettivo reale di questi interventi siano i docenti, come suggerito dalle parole del ministro stesso. La gravità delle affermazioni viene ulteriormente esacerbata dal suo appello all’intervento della procura e alla proposta di pene carcerarie per comportamenti che ha definito “di mentalità nazista”.
Tali affermazioni sembrano ancor più gravi e inappropriate quando vengono fatte in riferimento alla scuola. Ma forse questa è la naturale conseguenza di una politica troppo unilaterale.
Se da un lato il ministro ha condannato gli atti della resistenza palestinese, dall’altro non ha mostrato lo stesso livello di sdegno per le tragedie che stanno colpendo i civili a Gaza.
Molti studenti segnalano un clima in cui si evita di discutere di tematiche politiche nelle scuole. Ma, qual è lo scopo dell’istruzione? Non dovrebbe essa promuovere il dibattito e la formazione critica, invece di limitare la libertà di espressione?
Il silenzio della maggior parte del corpo docente è preoccupante. Tuttavia, organizzazioni come l’”Associazione Coscienze Critiche” e il “Sindacato Di.Co.Si. ContiamoCi!” hanno preso posizione, mettendo in discussione la visione restrittiva del ministro e dell’attuale sistema politico.
Affermare che in classe ci siano argomenti off-limits sembra un passo indietro nella formazione delle nuove generazioni. La speranza è che la comunità scolastica possa risvegliarsi e confrontarsi con questi tentativi di limitare la libertà d’insegnamento. Ciò che emerge è una crescente esigenza di rinnovare, se non completamente rifondare, l’approccio educativo italiano.