Sotto i costanti bombardamenti dell’aviazione israeliana, che senza sosta martellano la striscia di Gaza dal 7 Ottobre, i dirigenti delle brigate Al Qassam, braccio armato di Hamas, si preparano allo scenario più difficile: l’invasione via terra delle truppe di Tel Aviv.
La geografia di Gaza
La striscia di Gaza è una lingua di terra di 365km quadrati abitata da più di 2 milioni di persone, incastonata tra il mar Mediterraneo a ovest, l’Egitto a sud e Israele ad est e Nord. È considerata una delle aree più densamente popolate a mondo, con circa 20mila abitanti per kilometro quadrato. Questo fazzoletto di terra è sotto embargo dal 2006 ed è controllato via mare e aria dalle forze israeliane, dove si stima che l’80% della popolazione viva grazie agli aiuti umanitari esteri. L’unica fonte di approvvigionamento sono i tunnel con l’Egitto, spesso bombardamenti da Israele. Vicoli stretti, scorciatoie, strade che si divaricano in vie laterali secondarie ed una fitta rete di passaggi non indicati nelle mappe che rendono la Striscia un labirinto a cielo aperto.
Non è un caso che le truppe israeliane abbiano intimato alla popolazione di sfollare a sud della Striscia per permettere ai militari israeliani di poterla occupare senza il rischio di un pantano militare, entrare con una densità abitativa così alta significa infatti dover combattere casa per casa, strada per strada, in un ambiente spettrale e pieno di macerie, con milioni di civili pronti ad imbracciare armi bianche o da fuoco. Un’impresa impossibile se non a costo di ingentissime perdite. Ed è proprio questo che vogliono le brigate Qassam come riporta il Abu Ubaida, il portavoce militare del movimento ad Al Jazeera: “vi aspettiamo a Gaza, vi aspetta l’inferno”
L’inferno di Gaza e la close combat
La Striscia è sotto il fuoco israeliano da 10 giorni, centinaia gli edifici distrutti, con migliaia di vittime palestinesi perlopiù civili. Un campo di battaglia costituito da macerie ed edifici pericolanti rendono il teatro del conflitto più complesso e pericolosissimo durante un’invasione terrestre: le truppe di fanteria israeliane e i tank saranno molto limitati e lenti nei movimenti, aspetto questo che renderebbe loro un facile bersaglio da parte della resistenza palestinese, abituata a muoversi in ambienti urbani ed estremamente frastagliati. Con piccoli gruppi attrezzati con rpg e granate anti- carro, i militari di Qassam avrebbero facilmente capacità di annientare le pattuglie israeliane, quest’ultime private di una protezione aerea per evitare di rimanere vittime di fuoco amico.
Nel 2014, l’ultima parziale operazione israeliana di terra aveva causato 66 morti tra le proprie fila, 2mila invece in quest’ultima guerra in corso prima ancora di iniziare un intervento via terra. I combattenti della resistenza palestinese molto probabilmente hanno disseminato in tutta la Striscia trappole ed ordigni esplosivi, in modo da rendere l’intero teatro un enorme campo minato dove ogni passo del nemico è potenzialmente fatale. È quella che gli strateghi chiamano la close combat, lo scontro ravvicinato corpo a corpo, dove si guadagna o si perde metro per metro, casa per casa come nella storica battaglia di Stalingrado. La presenza di civili rende tutto più complicato e potrebbe la Striscia trasformarsi in una strategica quanto micidiale sacca che chiudendosi a tenaglia permetterebbe un accerchiamento che romperebbe la superiorità militare israeliana. Come dice lo stratega cinese Sun Tzu “nell’arte della guerra”: “La peggiore scelta è attaccare le città”
Strategie sul campo
Si calcola che le truppe di al Qassam siano intorno alle 50mila unità, contro i 300mila soldati della stella di David. È vero che quest’ultimi hanno esperienza di scontri urbani in Cisgiordania ma Gaza con la sua geografia urbana è tutta un altra cosa. Attualmente pare che la strategia continui ad essere quella della “terra bruciata”: colpire sistematicamente e in maniera indiscriminata un territorio ristretto per creare shock e stordimento costante, caos, e terrore. È la stessa strategia messa in campo dalle truppe americane a Falluja, in Iraq e cioè stordire e creare scompiglio e terrore tanto da paralizzare il nemico prima ancora che reagisca. A Gaza però c’è anche un altro obiettivo: rompere il legame tra la resistenza armata e la popolazione locale. È proprio questo legame che ha determinato il successo dell’attacco del 7 Ottobre che ha preso totalmente impreparati i soldati israeliani. Increduli di una così ampia capacità militare, di intelligence e strategia militare, nonostante le migliaia di spie presenti a Gaza. Dunque l’invasione di terra è probabile che seguirà la stessa strategia dello shock.
La resistenza palestinese invece adotterà una strategia di più bassa intensità ma costante: rendere gli scontri brevi ma feroci, costanti e rapidi con l’idea di logorare il nemico e renderlo disorientato all’interno di un contesto molto avverso, sia geograficamente che socialmente. Qui l’aspetto psicologico sarà preminente. Inoltre la resistenza palestinese potrebbe chiamare altri gruppi ad aprire nuovi fronti, come quello libanese con Hezbollah e quello a est nei territori della Cisgiordania portando Israele ad una guerra di dissanguamento lenta.
Il dossier dei prigionieri
Sono circa 250 i prigionieri in mano ad al Qassam e il loro utilizzo è un arma molto insidiosa. Che siano utilizzati come scudi umani o come merce di scambio, la loro presenza a Gaza rende la scelta israeliana di colpire indiscriminatamente controproducente. E anche su questo si misura il braccio di ferro all’interno di una guerra che non ha nulla di tradizionale. Tutto si deciderà nelle strade di Gaza che come afferma Abu Ubaida, portavoce del movimento al Qassam, potrebbe trasformarsi per le truppe israeliane in una ecatombe collettiva.