Nonostante viviamo in un mondo globalizzato, le notizie che viaggiano veloci e sono alla portata di tutti non sono sempre affidabili ed anzi spesso ci portano ad ignorare le ingiustizie, le disparità e le violazioni dei diritti più fondamentali. L’attuale crisi tra Palestinese-Israeliana solleva ancora una volta il dibattito sull’etica della difesa e sulla legittimità di azioni militari in risposta ad attacchi.
Osservando la situazione con occhi critici, è impossibile non notare un parallelismo inquietante: quello tra un aggressore, nello specifico uno stupratore, e la sua vittima. Quando una persona subisce un’aggressione, ci aspettiamo che l’aggressore venga punito e che la vittima venga protetta. Ma cosa succederebbe se, in un’incredibile inversione dei ruoli, l’aggressore iniziasse a difendersi dal contro-attacco della vittima, cercando giustificazione per le sue azioni? Suonerebbe assurdo, non è vero?
Eppure vediamo oggi una narrazione simile mentre osserviamo la situazione in Medio Oriente. Israele continua con impunità la sua punizione collettiva contro i palestinesi ed il suo genocidio e le strade sono inondate dal sangue di innocenti fatti a pezzettini dopo essere stati de-umanizzati e ridotti a ”sub-umani” e ”scudi umani”. Del resto fare a pezzi un sub-umano ed uno scudo suona meglio di far a pezzi una persona, no?
Per quasi un secolo, la comunità palestinese ha subito inaudite violazioni dei diritti umani, con denunce di pratiche di apartheid, abusi e violenze giunte da ogni livello della società civile ed istituzionale come l’ONU. I palestinesi, come una vittima che cerca di liberarsi dal suo aggressore, hanno lottato per anni per la propria libertà e dignità. Tuttavia, quando questo popolo decide di reagire, l’aggressore – Israele – rivendica un fantomatico diritto di difendersi nel modo più arrogante che si possa immaginare.
Il diritto alla difesa è un principio sacrosanto, ma come può un oppressore, che ha per anni perpetrato ingiustizie, rivendicare questo diritto nei confronti di chi cerca di liberarsi dal suo giogo? Allo stesso modo, come potrebbe uno stupratore difendersi dalla sua vittima, sostenendo di essere in pericolo?
L’Occidente, nel sostenere acriticamente Israele, rischia di ignorare questo sottile ma fondamentale dettaglio. La sovranità e la sicurezza sono importanti, ma quando si costruiscono sulla sofferenza e l’oppressione di un’intera popolazione, perdono ogni legittimità.
Le proteste propal, purtroppo censurate in varie nazioni, sono un grido di libertà e giustizia. Sono la voce di chi, come una vittima di violenza, cerca di rialzarsi e dire basta. Ma in un mondo dove l’aggressore può travestirsi da vittima, e la vittima viene ulteriormente demonizzata, è fondamentale che la verità emerga, che la giustizia prevalga e che ogni nazione rifletta profondamente su quali valori intende sostenere.
L’etica, la giustizia e i diritti fondamentali non dovrebbero mai essere compromessi per interessi geopolitici o alleanze temporanee. La vera domanda non è se Israele ha il diritto di difendersi, ma piuttosto se tale diritto può essere evocato mentre si perpetua una storia di oppressione.