Il 23 ottobre del 1922, un regio decreto proclama il 4 novembre festa nazionale e giornata delle Forze Armate. Con quel provvedimento, si vuole ricordare il giorno in cui, quattro anni prima, a villa Giusti, presso Padova, fu firmato l’armistizio con l’impero austroungarico, armistizio col quale l’Italia ottenne il Trentino, l’Alto Adige, la Venezia Giulia, l’Istria e la sovranità su alcune città dalmate.
L’avventura bellica italiana era iniziata il 24 maggio del 1915, circa tre anni e mezzo prima. La guerra in Europa aveva preceduto l’intervento italiano di quasi un anno; le ostilità fra i più importanti paesi europei erano infatti iniziate il 14 agosto del 1914.
Per l’Italia l’entrata nel conflitto non era stata una scelta facile. Innanzitutto, anche allora, benché non ci fosse stato il brutale cambio di campo che sarebbe occorso nel secondo conflitto mondiale, nel settembre del 43, il nostro paese aveva abbandonato l’iniziale accordo con la triplice alleanza formata da Germania e impero austro-ungarico, per allearsi in seguito con Francia, Russia e Inghilterra, cioè con la cosiddetta Triplice Intesa.
Ma ancor più che sulla scelta del campo in cui schierarsi, molto più difficile e dolorosa fu la stessa decisione dell’entrata in guerra, giacché il Paese era su questo punto profondamente diviso.
Fu contraria all’entrata in guerra quella che di fatto costituiva la maggioranza degli italiani di allora, e cioè: un politico influente come Giolitti, la chiesa cattolica con quel papa, Benedetto XV che aveva implorato che si fermasse quella che aveva definito “un’inutile strage”, e poi le grandi masse cattoliche e socialiste con i loro rappresentanti politici e istituzionali.
Vi si opponeva, chiedendo l’entrata in guerra, una minoranza aggressiva e supportata dal complesso militare-industriale: i nazionalisti di Enrico Corradini, alcuni gruppi di intellettuali, tra cui spiccano i cosiddetti futuristi del poeta Marinetti, gli irredentisti delle terre italiane ancora sottoposte al dominio austriaco come Trento e Trieste, i sindacalisti soreliani e inaspettatamente il capo della sinistra socialista, l’allora direttore dell’Avanti, Benito Mussolini.
Gli interventisti ebbero la meglio e il nostro paese prese parte al conflitto schierandosi con Francia e Inghilterra, dichiarando guerra dapprima all’Austria, poi alla Turchia e infine, nel 1916, all’impero tedesco.
In quel terribile conflitto l’Italia perse circa 680.000 combattenti, la stragrande maggioranza dei quali giovani fra i 18 e i 30 anni, e quasi un milione furono i feriti e i mutilati.
Non c’è in Italia paese grande o piccolo, non c’è quartiere cittadino, non c’è villaggio di montagna, dove ancora oggi non si possa osservare un monumento, una lapide, un viale alberato, un parco che ricorda quei ragazzi caduti negli anni più belli.
Quella guerra inaugurò a livello europeo e per l’Italia una nuova e spaventosa dimensione bellica. Non si trattava più di eserciti che schierandosi in campo aperto si infliggevano reciprocamente perdite sanguinose, ma che sostanzialmente risparmiavano le popolazioni civili.
In quel conflitto la dimensione guerresca assunse un carattere squisitamente industriale; le armi raggiunsero un livello distruttivo come mai prima, e furono terribili i massacri di soldati mandati a ondate all’assalto sotto il fuoco nemico per conquistare il nulla o al massimo una inutile collina.
Fecero su tutti i fronti la loro comparsa ordigni mai visti prima come i carri armati, e la mitragliatrice divenne, con la sua terribile potenza di fuoco e con la sua micidiale capacità omicida, un’arma diffusa ovunque. Furono usati per la prima volta su tutti i fronti i gas asfissianti, e per la prima volta, incuranti delle vittime civili, gli aerei di tutti i belligeranti sganciarono bombe sulle città.
I combattenti di entrambi gli schieramenti andarono al fronte nell’illusione di combattere l’ultima guerra della storia umana. Era molto diffusa la convinzione che quella guerra avrebbe posto fine a tutte le guerre, perché la pace che ne sarebbe seguita sarebbe stata una pace perfetta. Si sbagliavano.
Gli anni che seguirono furono solo una breve parentesi relativamente pacifica. Alla fine del conflitto seguì invece una pace ingiusta, che avrebbe profondamente umiliato la Germania, e avrebbe posto le premesse perché l’Europa e poi il mondo una ventina di anni dopo ripiombassero nell’incubo.
Le trincee di quella guerra fecero da incubatrice a regimi totalitari come il fascismo, il nazismo e il comunismo, e pare anche che, sempre in quelle trincee, nelle quali le condizioni igieniche furono disumane, ebbe origine quella spaventosa pandemia di un morbo, l’influenza detta Spagnola, che uccise molte più persone di quelle uccise dalla stessa guerra.
Oggi, 4 novembre, un giorno da ricordare.