Mentre i bombardamenti aerei israeliani incessanti su Gaza hanno provocato fino ad ora più di 10.000 vittime, quasi tutte civili, ed il Medio Oriente si infiamma, col rischio che le tensioni sfocino in un pericolosissimo allargamento del conflitto, abbiamo realizzato un SONDAGGIO al quale hanno partecipato 1000 persone, l’80% delle quali musulmane.
Il 63% dei partecipanti considera l’attacco di Hamas del 7 ottobre legittima difesa contro un’occupazione che dura da più di 75 anni. Un attacco del genere, infatti, se contestualizzato, assume una connotazione di gran lunga lontana da quella che la stampa italiana sta cercando di venderci.
A Questo dato va poi aggiunto il 24.3% che considera l’attacco del 7 ottobre sempre un’operazione militare ma si distingue affermando che si siano verificati dei crimini di guerra. La somma di questi due dati ci dice che quasi l’88% degli intervistati non considera quella di Hamas un’operazione terroristica bensì un’operazione militare nell’ambito della resistenza.
Quello che, se calato nel nostro contesto mediatico potrebbe sembrare un dato sorprendente, trova invece ampio riscontro in ciò che stabilisce il diritto internazionale ed è in linea con la posizione della maggior parte dei paesi del mondo.
Possiamo quindi osservare come l’aggettivo “terroristico” abbia una connotazione puramente politica in questo caso e come i musulmani nel nostro paese non la condividano perché non influenzati da una visione ideologica pro-sionista.
Per comprendere questa prospettiva bisogna sapere che in gran parte dell’area della Palestina storica, Israele è l’unica potenza governativa; le autorità israeliane privilegiano metodicamente gli ebrei israeliani e discriminano i palestinesi. L’obiettivo di mantenere il controllo ebraico-israeliano sul piano demografico, sul potere politico e sul territorio guida da tempo la politica del governo. Al fine di perseguirlo, le autorità israeliane hanno espropriato, confinato, separato con la forza e sottomesso i palestinesi in virtù della loro identità. In alcune aree, queste privazioni sono così gravi da configurarsi in crimini contro l’umanità dell’apartheid e della persecuzione.
Negli ultimi 54 anni, le autorità israeliane hanno facilitato il trasferimento degli ebrei israeliani nei territori occupati e hanno concesso loro qualsiasi tipo di diritto. L’intera Cisgiordania è considerata territorio occupato secondo la legge internazionale, inclusa Gerusalemme Est, che Israele ha annesso unilateralmente nel 1967.
Dal 7 ottobre, contestualizzare e storicizzare quanto sta accadendo fa scattare immediatamente un’accusa di antisemitismo. La deistoricizzazione di questi eventi aiuta Israele e i governi occidentali a perseguire politiche che in passato avevano evitato per considerazioni etiche, tattiche o strategiche.
Pertanto, l’attacco del 7 ottobre viene utilizzato da Israele come pretesto per perseguire politiche genocide nella Striscia di Gaza. È anche un pretesto per gli Stati Uniti per cercare di riaffermare la propria presenza in Medio Oriente. Ed è un pretesto per alcuni paesi europei per violare e limitare le libertà democratiche in nome di una nuova “guerra al terrorismo”.
Per L’autore del libro The Forgotten Palestines: A History of the Palestines in Israel, Ilan Pappe, l’operazione Hamas è considerata dagli israeliani (anche dai liberali) un modo per redimersi da tutti i crimini commessi da Israele contro il popolo palestinese a partire dalla Nakba, e la sfruttano per portare a termine la pulizia etnica della Palestina attraverso il genocidio del popolo di Gaza.
Ma ci sono diversi contesti storici che non possono essere ignorati. Il contesto storico più ampio risale alla metà del XIX secolo, quando il cristianesimo evangelico in Occidente sostenne la creazione di uno Stato ebraico in Palestina.
La teologia divenne politica verso la fine del XIX secolo e negli anni precedenti la Prima guerra mondiale spingendo il governo britannico a emanare la famosa, o famigerata, Dichiarazione Balfour nel 1917. Il progetto coloniale sionista mirava (e mira ancora) a giudaizzare la Palestina storica, ignorando il fatto che era abitata da una popolazione indigena, quella dei palestinesi.
Un altro contesto storico rilevante per la crisi attuale è la pulizia etnica della Palestina del 1948 che comprendeva anche l’espulsione forzata dei palestinesi nella Striscia di Gaza dai villaggi sulle cui rovine furono costruiti alcuni degli insediamenti israeliani attaccati il 7 ottobre.
C’è anche il contesto dell’occupazione israeliana della Cisgiordania e di Gaza. Negli ultimi 50 anni, le forze di occupazione hanno inflitto persistenti punizioni collettive ai palestinesi in questi territori, esponendoli a continue vessazioni da parte dei coloni israeliani e delle forze di sicurezza e imprigionando centinaia di migliaia di loro, anche bambini.
Dall’elezione dell’attuale governo israeliano fondamentalista, tutte queste dure politiche hanno raggiunto livelli senza precedenti. Il numero di palestinesi uccisi, feriti e arrestati nella Cisgiordania occupata è salito alle stelle. Oltre a ciò, le politiche del governo israeliano nei confronti dei luoghi santi cristiani e musulmani di Gerusalemme sono diventate ancora più aggressive. Nel 2005, Benjamin Netanyahu, allora ministro delle Finanze, disse: “Invece di rendere più facile l’ottenimento della cittadinanza da parte dei palestinesi, dovremmo rendere il processo molto più difficile, al fine di garantire una maggioranza ebraica”. Nel marzo 2019, questa volta come primo ministro, Netanyahu dichiarò: “Israele non è lo Stato di tutti i suoi cittadini”, ma piuttosto “lo stato-nazione del popolo ebraico e solo del popolo ebraico”.
Infine, c’è anche il contesto storico dell’assedio di Gaza, durato 16 anni, dove quasi la metà della popolazione è costituita da bambini. Già nel 2018 l’ONU avvertiva che la Striscia di Gaza sarebbe diventata un luogo inadatto all’uomo entro il 2020. È importante ricordare che l’assedio è stato imposto in risposta alle elezioni democratiche vinte da Hamas dopo il ritiro unilaterale israeliano dal territorio.
Ancora più importante è tornare agli anni ’90, quando la Striscia di Gaza era circondata da filo spinato e scollegata dalla Cisgiordania occupata e da Gerusalemme est in seguito agli accordi di Oslo. L’isolamento di Gaza, la recinzione attorno ad essa e la crescente giudaizzazione della Cisgiordania erano un chiaro segno che Oslo, agli occhi degli israeliani, significava un’occupazione alternativa, non un processo di pace.
Israele controlla i valichi di Gaza, monitora anche il tipo di cibo che entra – a volte limitandolo a un certo apporto calorico. Hamas ha reagito a questo assedio debilitante lanciando razzi su Israele.
Il governo israeliano sostiene che Hamas ha come obbiettivo l’uccisione degli ebrei ignorando il contesto sia della Nakba che dell’assedio disumano e barbaro imposto a due milioni di persone e dell’oppressione dei loro compatrioti in altre parti della Palestina storica.
Tuttavia, questo contesto non è stato ignorato da coloro che hanno partecipato al nostro sondaggio, che ci fornisce un’immagine rappresentativa dell’opinione e del sentire della comunità islamica italiana su questioni chiave come la natura di Israele, lo status di Hamas, le origini del conflitto e le possibili soluzioni al conflitto.
Hamas, per molti versi, è stato l’unico gruppo palestinese che ha promesso di vendicare o rispondere a queste politiche di persecuzione. È l’unico partito che si contrappone all’obbiettivo coloniale mostruoso di Israele. È l’unico gruppo che non ha mai abbandonato l’idea di liberare la Palestina da una forza occupante violenta nazista e cruenta.