L’attacco di Israele rischia di mettere fine alla lunga storia della comunità cristiana nell’enclave.
Striscia di Gaza – Quando le bombe israeliane hanno cominciato a martoriare le strade di Gaza City, che un tempo erano frenetiche e vivaci, Diana Tarazi e la sua famiglia si sono rifugiati nella Chiesa della Sacra Famiglia, l’unico luogo di culto cattolico romano nella Striscia di Gaza.
La 38enne palestinese cristiana, insieme a suo marito e ai suoi tre figli, si strinse assieme ad altri fedeli nella chiesa, ai vicini musulmani e agli amici, cullando i loro bambini per farli addormentare, esausti tra il fragore delle bombe, e sussurrandosi parole d’incoraggiamento a vicenda.
“Insieme, cerchiamo di resistere alla guerra fino a quando finirà – e tentiamo di uscirne vivi,” ha dichiarato Tarazi ad Al Jazeera.
La loro sensazione di sicurezza è svanita il 19 ottobre, quando Israele ha bombardato la vicina Chiesa di San Porfirio, la più antica di Gaza, uccidendo almeno 18 persone. L’esercito israeliano ha dichiarato in un comunicato che la chiesa non era l’obiettivo dell’attacco.
“Il missile è caduto direttamente sulla chiesa” ha affermato Tarazi riguardo al sito greco-ortodosso. “Non crediamo che non fosse il loro obiettivo.”
Due giorni prima, un’esplosione ha colpito l’Ospedale Al-Ahli Arab, un’istituzione anglicana situata a pochi isolati di distanza, causando, secondo le autorità sanitarie palestinesi, centinaia di morti e feriti. Hamas ha attribuito l’esplosione a un raid aereo israeliano, ma Tel Aviv ha sostenuto che è stato causato dal malfunzionamento di un razzo lanciato dal Jihad Islamico Palestinese, un gruppo armato con base a Gaza.
Nonostante la città di Gaza e i campi profughi adiacenti siano circondati dalle forze terrestri israeliane e i raid aerei colpiscano la zona, Tarazi si rifiuta di andarsene.
“Non accettiamo la deportazione del nostro popolo dalla nostra terra e dalle nostre chiese” ha dichiarato. “Lascerò la mia chiesa solo quando finirò nella tomba.”
Minaccia di estinzione
Almeno 10.569 palestinesi sono stati uccisi negli attacchi israeliani a Gaza dal 7 ottobre.
Si stima che vivano ancora solo 800-1.000 cristiani a Gaza, costituendo la comunità cristiana più antica del mondo, risalente al I secolo.
Mitri Raheb, un pastore evangelico luterano e fondatore dell’Università Dar al-Kalima di Betlemme, ha dichiarato che è probabile che il conflitto attuale possa segnare la fine della lunga storia della comunità cristiana in questa striscia di terra.
“Questa comunità è sotto minaccia di estinzione”, ha detto Raheb ad Al Jazeera.
“Non sono sicuro che sopravvivranno ai bombardamenti israeliani, e anche se sopravvivono, penso che molti di loro vorranno emigrare.”
“Sappiamo che entro questa generazione, il Cristianesimo cesserà di esistere a Gaza”, ha aggiunto.
La regione più ampia della Palestina antica è il luogo di nascita del Cristianesimo e il contesto di molti eventi riportati nell’Antico e nel Nuovo Testamento.
Nel IV secolo, Gaza, situata lungo un’importante via commerciale con accesso ad un porto molto attivo e con una città cosmopolita, divenne un importante centro di missione cristiana.
Dopo il 1948, quando fu istituito lo stato di Israele e 700.000 palestinesi furono sfollati dalle loro case, in quella che divenne nota come la Nakba o catastrofe, molti cristiani palestinesi si unirono alla comunità nell’enclave costiera.
Le stime suggeriscono una diminuzione del numero di cristiani a Gaza negli ultimi anni rispetto ai 3.000 registrati nel 2007. Questo declino si è verificato quando Hamas ha preso il completo controllo della striscia, dando il via al blocco israeliano e accelerando l’emigrazione dei cristiani dalla zona, già segnata dalla povertà.
Gli attacchi in Cisgiordania “quadruplicati”
In Cisgiordania, la comunità cristiana conta su una base più solida, con oltre 47.000 residenti secondo il censimento del 2017. Tuttavia, anche in quel contesto, la comunità è stata colpita da violenza e persecuzione.
“Gli attacchi contro il clero e le chiese sono quadruplicati quest’anno rispetto all’anno scorso”, ha dichiarato Raheb, il cui istituto accademico documenta tali eventi.
Il 1° gennaio, pochi giorni dopo che Israele ha insediato il governo più di estrema destra nella storia del paese, due uomini non identificati sono entrati nel cimitero protestante del Monte Sion a Gerusalemme e hanno profanato più di 30 tombe, ribaltando lapidi a forma di croce e sfasciandole con rocce.
Il 26 gennaio, una folla di coloni israeliani ha attaccato un bar armeno nel quartiere cristiano della Città Vecchia di Gerusalemme, gridando “Morte agli arabi… Morte ai cristiani”.
Un paio di giorni dopo, degli armeni che lasciavano un servizio commemorativo nel Quartiere armeno, furono attaccati da coloni israeliani armati di bastoni. Un armeno fu irrorato con lo spray al pepe mentre i coloni scalavano le pareti del loro convento, cercando di abbattere l bandiera li affissa, che aveva una croce.
L’intensificarsi degli attacchi è stato in linea con gli sforzi israeliani di “sopprimere le voci dei palestinesi all’interno di Israele”, ha spiegato Raheb.
“Sono coloni terroristi ebrei, ma la comunità internazionale non li riconosce come tali perché condivide la stessa mentalità coloniale” ha dichiarato, esprimendo preoccupazione che la costante minaccia di violenza alla fine possa spingere il cristianesimo a lasciare la Terra Santa.
I miei figli erano gravemente feriti, sfigurati, e non ce l’hanno fatta
Tornando a Gaza, Ramez al-Souri sta cercando di elaborare la perdita dei suoi tre figli, Suhail, Majd e Julie, nell’attentato alla Chiesa di San Porfirio.
“L’edificio ospitava civili che non erano legati a loro”, ha dichiarato, facendo riferimento al gruppo palestinese Hamas, responsabile dell’attacco a sorpresa nel sud di Israele il 7 ottobre, che ha poi portato al bombardamento israeliano.
Al-Souri aveva sperato che i suoi cari fossero al sicuro in un luogo sacro, ma nemmeno la sacralità del luogo è stata in grado di proteggere la sua famiglia dal bombardamento israeliano. È noto che l’esercito israeliano ha preso di mira anche scuole dell’ONU che ospitavano donne e bambini sfollati, così come ospedali, ambulanze e forniture di aiuti.
“I miei tre figli sono usciti deturpati dagli effetti del missile e delle schegge”, ha detto, ancora visibilmente sotto shock giorni dopo.
“Non posso credere che non parlerò e giocherò più con loro nella mia vita.”