Lo storico israeliano Ilan Pappe ha affermato che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu potrebbe emergere da questa guerra ancora più debole di prima, sottolineando la sua preoccupazione per la comunità ebraico-israeliana che non è pronta a cambiare la sua posizione nei confronti della Palestina e del popolo palestinese.
Pappe ha aggiunto – nel suo incontro con Al Jazeera – che le aspettative riguardo alla controversia politica in Israele o al conflitto al suo interno sono che tutto ciò che è stato documentato prima del 7 ottobre rimarrà presente fino alla fine della guerra.
Pappe sostiene che continuerà ad esserci un conflitto tra lo “Stato di Giuda”, intendendo lo Stato occupante che vuole che Israele sia più religioso, fanatico e teocratico, e lo “Stato di Israele”, intendendo gli israeliani più laici, come Ehud Barak (primo ministro di Israele dal 17 maggio 1999 al 7 marzo 2001), ad esempio, considerato più democratico.
Prosegue affermando che questi due Stati (il modello dello “Stato di Giuda” e il modello dello “Stato di Tel Aviv”) non sono democratici nei confronti dei palestinesi, la possibile democrazia nel caso di uno “Stato di Israele” è solo per gli ebrei e non per i palestinesi.
L’autore del libro The Forgotten Palestines: A History of the Palestines in Israel (Università Yale 2011) spiega: “Penso che il conflitto interno ebraico-israeliano continuerà. È certo che Netanyahu finirà questa guerra molto più debole di quanto non lo sia.” Lo era anche prima, ma dobbiamo ricordare che ha ancora un forte consenso. “All’interno di Israele, potrebbe ancora essere sostenuto, o forse potrebbe perdere le prossime elezioni, o potrebbe anche ritornare, nulla è certo per quest’uomo.”
Ha aggiunto: “Ma la radice del problema non è Netanyahu. Il problema è che abbiamo una comunità ebraica israeliana che non è pronta a cambiare la sua posizione nei confronti della Palestina e dei palestinesi, e questo è molto inquietante“.
L’accademico, che a causa delle sue idee ha lasciato l’insegnamento all’Università di Haifa nel 2006, continua dicendo: “Non possiamo aspettarci un cambiamento dall’interno, ciò di cui abbiamo bisogno è, come ho detto prima e lo ripeterò ancora e ancora, una forte pressione da parte della regione e della comunità internazionale se vogliamo veramente porre fine alle sofferenze dell’occupazione e del colonialismo sionista. Ecco perché sostengo i palestinesi”
Nei primi giorni della guerra israeliana a Gaza, lo storico israeliano scrisse un articolo per il sito web Palestine Chronicle intitolato “Amici israeliani: ecco perché sostengo la Palestina”, affermando che una persona dovrebbe temere le politiche coloniali di Israele contro i palestinesi, anche se è cittadino ebreo in Israele.
Il direttore del Centro Europeo per gli Studi sulla Palestina dell’Università britannica di Exeter ha considerato – nel suo articolo pubblicato in inglese e francese – che il quadro più ampio del confronto è la storia di un popolo colonizzato che lotta per sopravvivere, soprattutto nell’era di un governo che vuole accelerare il processo di pulizia etnica della Palestina e non ne riconosce il suo popolo, cosa che ha spinto Hamas ad agire il 7 ottobre.
L’autore del libro Bureaucracy of Evil: A History of the Israeli Occupation (Oxford 2012) ha osservato che l’operazione di Hamas è considerata dagli israeliani (anche dai liberali) una sorta di sanatoria per tutti i crimini commessi contro il popolo palestinese dopo la Nakba, e un modo per portare avanti il genocidio a Gaza senza essere ostacolati o contestati.
Lo storico israeliano colloca il recente confronto in un contesto storico più ampio, sottolineando che dal 1967, un milione di palestinesi sono stati imprigionati almeno una volta nella loro vita, con le violazioni e le torture che ciò ha comportato. Dal 2007, Israele ha imposto uno stretto assedio Gaza, e nella “Cisgiordania occupata è continuata l’uccisione di bambini”.
La violenza israeliana che abbiamo visto in questo mese non è una novità, poiché è stata il volto permanente del sionismo sin dalla fondazione di Israele
L’autore del libro La pulizia etnica della Palestina (2006) ritiene che il governo israeliano non possa calarsi in continuazione nel ruolo di vittima, soprattutto perché un gran numero di civili in occidente conoscono la storia, seguono i social e non si fanno ingannare dalle menzogne e dell’ipocrisia di Israele, soprattutto se tutto ciò viene messo a confronto con l’Ucraina.
Per Pappé la forza non è la soluzione, l’alternativa è invece una Palestina libera dal sionismo, libera e democratica, dal fiume al mare, che accolga i rifugiati e costruisca una società che non faccia discriminazioni tra i suoi membri basandosi sulla cultura, sulla religione o sulla razza, una Palestina che possa correggere i mali del passato, come il furto della proprietà e la negazione dei diritti, inaugurando una nuova era per l’intera regione del Medio Oriente.